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Penale Procedura Penale Sentenze

Cassazione penale, sez. III, 26 giugno 2015, n. 27055

Avv. Gianluca Lancianodi Avv. Gianluca Lanciano22 Settembre 2015Aggiornato il:22 Settembre 2015
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iscrizione contemporanea a due albi professionali

RITENUTO IN FATTO

1.1 Con sentenza dell’8 febbraio 2013 il Tribunale di Locri in composizione monocratica dichiarava S.A.P., imputato dei reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 83 e 95 (capi a) e b) dell’imputazione) e del reato di cui all’art. 44 lett. a) del medesimo D.P.R., colpevole del solo reato di cui al capo A), condannandolo alla pena di Euro 3.000,00 di ammenda con i doppi benefici di legge, oltre al risarcimento dei danni nei confronti delle costituite parti civili R.A. e R.E.M., mentre lo assolveva dai residui reati di cui ai capi B) e C), rispettivamente perché il fatto non sussiste e perché il fatto non costituisce reato.
1.2 Avverso la detta sentenza ha proposto appello il S. a mezzo del proprio difensore di fiducia limitatamente al reato di cui al capo A), lamentando la mancata assoluzione da parte del primo giudice con ampia formula liberatoria e la inadeguatezza della motivazione su tale punto. Con altro motivo la difesa ha lamentato l’eccessività della pena inflitta anche perché il Tribunale non avrebbe spiegato le ragioni per l’inflizione di una sanzione notevolmente distante dal limite minimo edittale.
1.3 Hanno altresì, proposto appello, ai soli fini civili, le parti civili dolendosi della erronea assoluzione da parte del Tribunale per i residui reati di ci cui ai capi B) e C), sussistendo invece specifiche ragioni per affermare anche per tali ipotesi contravvenzionali la responsabilità del S..
1.4 La Corte di Appello di Reggio Calabria, convertito l’appello del S. in ricorso, vertendosi in tema di sentenza inappellabile, disponeva la trasmissione degli atti a questa Corte Suprema.
1.5 Con memoria ex art. 121 c.p.p. depositata il 25 maggio 2015 la difesa del ricorrente S.A.P. insta per l’applicabilità – ritenuti i presupposti di legge – dell’art. 131 bis cod. pen. come introdotto dal D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28, art. 1 (non punibilità per la particolare tenuità del fatto).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso del S. va ritenuto infondato ancorchè non manifestamente. Ritiene il Collegio, in riferimento al primo motivo con il quale vengono formulate censure in ordine alla affermazione della responsabilità penale per i reato sub A) (per avere violato le disposizioni antisismiche di cui al combinato disposto del D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 83 e 95 avendo realizzato in riferimento a lavori di demolizione e ricostruzione di un fabbricato, nella duplice qualità di proprietario e committente, in luogo del prescritto giunto tecnico rispetto al fabbricato limitrofo di proprietà R., una trave di marcapiano a diretto contatto con il detto fabbricato – reato accertato e commesso il (OMISSIS)), che la motivazione resa dal Tribunale per affermare la colpevolezza del S. sia assolutamente adeguata e logica, ancorata com’è ai risultati della perizia tecnica di ufficio disposta nel corso del dibattimento. Le doglianze difensive fanno leva sull’opposta tesi di correttezza dei lavori suffragata da una consulenza tecnica di parte, tesi, peraltro, del tutto generica e prospettante una alternativa soluzione della vicenda non proponibile in sede di legittimità.
1.1 Non risulta, invece, infondato il motivo afferente al rigore del trattamento sanzionatorio essendo il Tribunale venuto meno all’obbligo di motivazione impostogli nei caso in cui la pena edittale applicata in concreto si discosti in modo eccessivo dal minimo, in ossequio al principio, più volte affermato da questa Corte Suprema, secondo il quale “in tema di determinazione della pena, quanto più il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dare ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale, indicando specificamente, fra i criteri oggettivi e soggettivi enunciati dall’art. 133 cod. pen., quelli ritenuti rilevanti ai fini di tale giudizio” (Sez. 6 12.6.2008 n. 35346, Bonarrigo e altri, Rv. 24189; Sez. 1 13.3.2013 n. 24213, Pacchiarotti e altri, Rv. 255825).
1.2 Invero in relazione alle modalità del fatto come ricavabili anche dagli esiti della perizia di ufficio, sarebbe stato preciso dovere del giudice tenere conto di una serie di dati (non solo afferenti al profilo materiale ma anche all’elemento soggettivo dell’autore del fatto) per giustificare una pena notevolmente distante dal minimo edittale previsto in Euro 206,00.
1.3 Ne conseguirebbe la necessità di annullamento della sentenza in parte qua con rinvio al Tribunale per una specifica motivazione sul punto.
1.4 Ragioni di economia processuale impongono però l’annullamento senza rinvio per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione (pari ad anni cinque comprensivi della proroga) maturata medio tempore il 20 novembre 2013, successivamente alla proposizione dell’appello, senza che ricorressero cause di sospensione.
1.5 Nella specie trova, infatti, applicazione il principio più volte affermato da questa Corte Suprema secondo cui nella ipotesi di maturazione del termine prescrizionale successivamente alla sentenza di appello è solo l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi a precludere la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen., non potendo considerarsi formato un valido rapporto di impugnazione (S.U. 22.1.2000 n. 32, De Luca, Rv. 217266; Sez. 4 20.1.2004 n. 18641, Tricomi, Rv. 228349).
1.6 Rimangono, ovviamente, confermate le statuizioni civili. Segue la condanna del S. alla rifusione delle spese del grado in favore delle costituite parti civili R.A. e R.E.M. che si liquidano in complessivi Euro 3.500,00 oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.
2. Questione nuova sottoposta all’esame di questo Collegio è quella introdotta per la prima volta dalla difesa con la memoria depositata ai sensi dell’art. 121 c.p.p. nella quale si insta per l’applicabilità dell’art. 131 bis cod. pen. come introdotto dal D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28, art. 2 (declaratoria di non punibilità per la particolare tenuità del fatto).
2.1 Va subito precisato che la memoria di cui si discute è stata tardivamente presentata a questa Corte, sicché essa non può essere presa in considerazione in ossequio al disposto di cui all’art. 611 c.p.p., comma 1, u.p..
2.2 Può, in aggiunta, osservarsi che, anche a voler ritenere sussistente il potere di questa Corte Suprema di pronunciarsi sulla ammissibilità in sede di legittimità della eventuale richiesta di applicazione del nuovo istituto codicistico, formulata per la prima volta nel giudizio di cassazione, nel caso in esame tale evenienza è da ritenersi preclusa essendo il reato in esame prescritto.
2.3 La ragione della impossibilità da parte della Corte Suprema di esaminare tale questione è collegata alla particolare struttura del nuovo istituto il cui testo implica valutazioni di merito sulla sussistenza della causa di non punibilità (causa, sia detto per incidens, non rientrante nel novero delle ipotesi contemplate dall’art. 129 c.p.p. che prevedono un proscioglimento dell’imputato secondo una delle formule enunciate nel detto articolo) che sono sottratte al giudizio della Corte di legittimità, una volta che il reato risulti prescritto.
2.4 Non è superfluo, in proposito, ricordare che è vero che il D.Lgs. in esame non contiene alcuna disciplina transitoria e che, trattandosi di norma più favorevole, va fatto richiamo ai principi generali in tema di successione delle norme nel tempo ex art. 2 c.p., comma 4 per verificare la possibilità di applicare il nuovo istituto ai procedimenti in corso. Così come è vero che, in ipotesi siffatte, è da ritenersi consentita alla Corte di Cassazione la possibilità di intervenire ex officio, indipendentemente quindi dalla tardività della memoria contenente la richiesta dell’imputato o anche in assenza di esso, in relazione al disposto di cui all’art. 609 c.p.p., comma 2 che prevede un intervento decisorio della Corte Suprema su questioni (oltre che rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del processo) “che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello”.
3. Ma è parimenti indubitabile che nel caso regolamentato dall’art. 131 bis cod. pen. il fatto viene pur sempre qualificato come “reato” (si richiamano i contenuti dell’art. 651 bis c.p.p. come introdotto dal citato D.Lgs. n. 28 dl 2015 e va ricordato anche che l’imputato viene dichiarato “non punibile”), sicché la causa di non punibilità di cui si discute va qualificata come atipica.
3.1 Ciò comporta, al di là della necessità, preclusa a questa Corte, di effettuare accertamenti di merito onde esaminare l’applicabilità del nuovo istituto in relazione alle condizioni richieste dalla norma, tanto in riferimento alla condotta ed alle sue conseguenze sul piano del grado dell’offesa, quanto alle modalità della condotta ed alla sussistenza di determinati requisiti soggettivi in capo all’autore del fatto, richiesti dalla norma di favore, la conseguenza che una eventuale declaratoria di estinzione del reato per prescrizione prevale in ogni caso su una declaratoria di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, sia in relazione alle diverse conseguenze scaturenti dalle due pronunce, sia in relazione al fatto che con la declaratoria di prescrizione il reato si estingue, laddove la declaratoria di non punibilità per la particolare tenuità del fatto lascia del tutto intatto il reato nella sua esistenza sia storica che giuridica.
3.2 Sulla base delle ragioni sin qui esposte, va dunque escluso in ogni caso che, rispetto a reato già estinto per prescrizione, la Corte di Cassazione possa essere chiamata a decidere, anche di ufficio, sulla eventuale ammissibilità della richiesta di applicazione del nuovo istituto penale prospettata per la prima volta in sede di legittimità e sulla meritevolezza di esso, implicante un genere di valutazioni non consentite in quella sede.
4. Quanto, invece, all’appello proposto ai soli fini civili dalle suddette parti civili in riferimento ai capi B) e C) per i quali è intervenuta, nei confronti del S., pronuncia assolutoria, l’impugnazione va convertita in appello con contestuale trasmissione degli atti alla Corte di Appello di Reggio Calabria.
4.1 Trova in proposito applicazione il principio affermato da questa Corte Suprema secondo il quale è sempre consentita alla parte civile, anche dopo le modificazioni introdotte dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 6 all’art. 576 c.p.p., la facoltà di proporre appello, agli effetti della responsabilità civile, contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio di primo grado.
(Sez. 1 19.12.2007 n. 2133, Di pasquale e altro, Rv. 238641; conforme S.U. 29.3.2007 n. 27614, P.C. in proc. Lista, Rv. 236539).

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo A) perché è estinto per prescrizione e conferma le statuizioni civili. Condanna il S. al rimborso in favore delle parti civili R.A. e R.E.M., delle spese del grado che liquida in complessivi Euro 3.500,00, oltre spese generali ed accessori di legge.
Converte in appello il ricorso delle parti civili per i residui reati di cui ai capi B) e C) e ordina la trasmissione degli atti alla Corte di Appello di Reggio Calabria Così deciso in Roma, il 26 maggio 2015.
Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2015

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