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Home»Aree tematiche di MioLegale.it»Diritti fondamentali della persona
Diritti fondamentali della persona Penale Procedura Penale Sentenze

Cassazione penale, sez. III, 8 febbraio 2012, n. 4946

Redazionedi Redazione8 Febbraio 2012
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iscrizione contemporanea a due albi professionali

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 20 aprile 2011, il G.I.P. del Tribunale di Reggio Calabria rigettava la richiesta di emissione di decreto penale di condanna formulata dal Pubblico Ministero in sede nei confronti di M.S. per omesso versamento di contributi previdenziali quale legale rappresentante della BMA di B. V. & C. (nel periodo compreso tra il gennaio ed il marzo 2005, per complessivi euro 657,00) e, avuto riguardo alla data di consumazione del fatto, dichiarava estinto il reato per prescrizione, ai sensi dell’articolo 129 C.P.P.
Avverso tale pronuncia la predetta proponeva ricorso per cassazione.
Con un unico motivo di ricorso deduceva la mancanza della motivazione, premettendo che la società BMA era stata dichiarata fallita e della stessa ella era curatore fallimentare, come comunicato a far data dal dicembre 2005 alla Agenzia delle Entrate, cosicché non aveva mai assunto la qualità di titolare o legale rappresentante.
Aggiungeva che l’intero procedimento si era svolto a sua insaputa e senza la nomina di un difensore d’ufficio, tanto che ne aveva avuto conoscenza soltanto dopo la notifica della sentenza impugnata e che con la sottoscrizione del ricorso intendeva espressamente rinunciare alla prescrizione, trattandosi del primo momento utile per tale dichiarazione di volontà.
Rilevava, inoltre, che il G.I.P. aveva omesso qualsivoglia valutazione in ordine alla insussistenza di una causa di proscioglimento nel merito, che avrebbe prevalso sulla declaratoria di estinzione del reato ed all’esame del contenuto del fascicolo processuale.
Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è fondato.
La vicenda processuale in precedenza descritta, per la sua particolarità, non ha effettivamente consentito alla ricorrente, la quale si ritiene completamente estranea ai fatti, di manifestare la sua intenzione di rinunciare alla prescrizione.
Invero il Pubblico Ministero ha proceduto alla richiesta di decreto penale che il G.I.P., causa il decorso del termine di prescrizione del reato ipotizzato, non ha inteso accogliere, pronunciando contestualmente sentenza di non doversi procedere.
L’intera procedura ed il suo svolgimento, per quanto è dato rilevare dalla sentenza impugnata, è avvenuta senza che la ricorrente ne avesse notizia, in quanto la prima comunicazione dovutale è quella della sentenza emessa nei suoi confronti.
Ciò posto, occorre rilevare che la giurisprudenza di questa Corte ha escluso che la causa estintiva della prescrizione, se dichiarata con sentenza, possa essere oggetto di rinuncia nei gradi successivi, precisando che, ove ciò avvenisse, si incorrerebbe nella violazione del divieto di “reformatio in peìus” (Sez. Ili n. 20832, 25 maggio 2011).
Tale affermazione è stata effettuata ribadendo il principio precedentemente affermato (Sez. Ili n. 37583, 24 settembre 2009) e ricordando come, in motivazione, si era ricordato che la dichiarazione di rinuncia alla prescrizione va effettuata dall’imputato dopo che i termini massimi sono maturati ma prima della sentenza che conclude il giudizio in corso, in modo tale che il giudice, ormai esclusa per espressa volontà dell’imputato l’applicazione della prima parte dell’articolo 129 C.P.P., possa pronunciarsi “liberamente” sul merito della contestazione con affermazione di assoluzione o di condanna dell’imputato stesso. Una volta dichiarato estinto il reato per prescrizione, invece, non può ammettersi che nei successivi gradi di giudizio l’imputato manifesti per la prima volta la propria rinuncia alla prescrizione che, in presenza del principio del divieto di reformatio in peius, altererebbe la pienezza della valutazione del giudice e la parità tra le parti processuali.
Le conclusioni cui giungono le richiamate decisioni sono pienamente condivisibili, ma presuppongono la conoscenza del procedimento da parte dell’imputato e la sua partecipazione personale o a mezzo di un difensore di fiducia o nominato d’ufficio.
Ciò posto, deve rilevarsi che la rinuncia alla prescrizione, come osservato dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. II n. 23412, 21 giugno 2005), costituisce un diritto personalissimo dell’imputato che è a lui personalmente ed esclusivamente riservato e presuppone una dichiarazione di volontà espressa e specifica che non ammette equipollenti (Sez. V n. 45023, 22 dicembre 2010; Sez. Ili n. 14331, 15 aprile 2010).
A tali considerazioni si è giunti alla luce della sentenza della Corte Costituzionale (n. 275 del 31 maggio 1990) con la quale veniva dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’articolo 157 del codice penale nella parte in cui non prevedeva che la prescrizione del reato potesse essere rinunziata dall’imputato.
Osservava la Corte Costituzionale che è “privo di ragionevolezza rispetto ad una situazione processuale improntata a discrezionalità, che quell’interesse a non più perseguire (sorto a causa di circostanze eterogenee e comunque non dominabili dalle parti) debba prevalere su quello dell’imputato, con la conseguenza di privarlo di un diritto fondamentale”, affermando conseguentemente la rinunciabilità della prescrizione.
Date tali premesse, deve dunque ritenersi che con riferimento alla fattispecie in esame debba giungersi alla diversa conclusione secondo la quale, ferma restando la validità dei principi in precedenza affermati, è ammissibile la rinuncia alla prescrizione del reato quando questa sia stata già dichiarata con sentenza se l’imputato non sia stato in grado, senza sua colpa, di avere notizia del processo a suo carico, cosicché il primo momento utile per la manifestazione di volontà coincida con quello dell’impugnazione.
Considerato, dunque, che la ricorrente ha validamente espresso la propria rinuncia alla prescrizione, deve rilevarsi che la sentenza impugnata prescinde del tutto da ogni valutazione, seppure sommaria, in ordine alla riconducibilità della responsabilità per i fatti contestati alla persona dell’imputata.
Invero, il riferimento ai contenuti del fascicolo processuale riguardano esclusivamente la insussistenza di atti interruttivi del termine prescrizionale, mancando del tutto ogni considerazione in ordine alla eventualità di un pro-scioglimento nel merito, tanto più se la posizione dell’imputata rispetto alla società e gli altri elementi indicati in ricorso erano desumibili dall’incarto processuale.
Del resto, si è già avuto modo di osservare che, in presenza di una causa estintiva del reato, il proscioglimento nel merito va privilegiato sia in presenza di prova dell’innocenza dell’imputato, che nel caso in cui manchi del tutto la prova della colpevolezza e, quindi, non soltanto quando dagli atti risulti la prova positiva dell’innocenza dell’imputato, ma anche in difetto della prova della colpevolezza a suo carico (Sez. V n. 25648, 24 giugno 2008; Sez. V n. 17382, 6 maggio 2005).
La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Reggio Calabria Così deciso in Roma il 17 gennaio 2012.

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