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Penale Procedura Penale Sentenze

Cassazione penale, sez. Unite, 25 maggio 2011, n. 27610

Redazionedi Redazione31 Gennaio 2016
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iscrizione contemporanea a due albi professionali

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 13 luglio 2010 il Giudice di pace di Savona ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di M. V., imputato del delitto di minaccia di cui all’art. 612 cod. pen., commesso in danno di D.S.R., per essere il reato estinto per remissione di querela che la parte offesa con dichiarazione orale ha presentato al Giudice negli atti preliminari al dibattimento.
Con la sentenza è stato ritenuto che il M. “con la propria assenza ha dimostrato di non essere interessato alla prosecuzione del procedimento a suo carico”, con ciò ponendo in essere un comportamento concludente espressivo di accettazione tacita della remissione.
2. Ricorre il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Genova deducendo violazione dell’art. 155 cod. pen. e art. 340 cod. proc. pen., rilevando che l’imputato è rimasto contumace al dibattimento e non è stato accertato che lo stesso avesse avuto conoscenza della remissione a suo favore. Rileva che il giudice di merito ha erroneamente ritenuto esservi stata accettazione tacita della remissione che non può essere desunta dalla mera contumacia dell’imputato e che la decisione è stata resa senza che nemmeno sia stato “posto il problema della conoscenza dell’imputato circa l’avvenuta remissione in suo favore”.
Il ricorrente osserva che le Sezioni Unite, con sent. n. 46088 del 30/10/2008, Viele, Rv. 241357, “hanno risolto l’analogo problema della remissione tacita di querela, escludendo l’integrazione della fattispecie nel caso di mancata comparizione del querelante, pur previamente avvisato che la sua assenza possa essere ritenuta comportamento concludente”.
Evidenzia che “un comportamento processuale che rientra nella facoltà dell’imputato, quale la contumacia, non può assumere che valenza neutra e quindi Né positiva (accettazione tacita della remissione) Né negativa (ricusa tacita)”; che “nel processo dinanzi al Giudice di pace è espressamente disciplinato un unico caso di remissione tacita, ove il querelato non si presenti (D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 21 e art. 28, comma 3)”; che “mentre la presenza del querelante, in quanto possibile testimone, può essere coercibile, tale non può essere quella dell’imputato contumace, con evidente difficoltà di conoscere la sua reale volontà se legata a un comportamento esclusivamente processuale”.
Conclude chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata con trasmissione degli atti al Giudice di pace perché proceda al giudizio.
2. Con ordinanza in data 22 gennaio 2011, la Quinta Sezione penale, assegnataria del ricorso, lo ha rimesso alle Sezioni unite, evidenziando un contrasto di giurisprudenza sulle formalità inerenti l’accettazione di remissione di querela.
La Sezione rimettente ha rilevato che “la disposizione dell’art. 155 cod. pen. che disciplina l’accettazione della remissione è molto diversa da quella dell’art. 152 cod. pen. relativo alla disciplina della remissione” e che “tale differente formulazione è stata chiarita dalla giurisprudenza”, la quale “ha precisato che per l’efficacia della remissione non è necessaria l’accettazione, essendo sufficiente che da parte del querelato non vi sia un rifiuto espresso o tacito della remissione stessa”. Rileva che “sembra che la legge non richieda una accettazione della remissione, essendo sufficiente per l’effetto estintivo il silenzio del querelato”, come si desume dal fatto che è “stabilito (…) che la remissione produca il suo effetto a meno che l’interessato non l’abbia espressamente o tacitamente ricusata”. Aggiunge che “tuttavia la rubrica dell’art. 155 cod. pen. che intitola la norma “accettazione della remissione” e sembra, quindi, richiedere un comportamento adesivo, ed il tenore dell’art. 340 cod. proc. pen., che disciplina le forme della remissione e della accettazione, hanno creato l’impressione di una analogia strutturale tra atto remissivo e risposta del querelato”.
L’ordinanza di rimessione richiama in dettaglio il contrasto sulla questione esistente nella giurisprudenza di legittimità e ne afferma la rilevanza “perché il querelato (…) non è comparso alla udienza, è stato dichiarato contumace e non è stato avvertito che la mancata comparizione sarebbe stata interpretata come accettazione tacita della remissione”.
3. Con decreto del 25 febbraio 2011, il Primo presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni unite, fissando per la trattazione l’odierna udienza.
(Torna su )
DIRITTO
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La questione di diritto per la quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni unite è la seguente: “se la mancata comparizione in udienza del querelato, ritualmente citato, integri la mancanza di ricusa della remissione della querela”.
2. Sul punto si registrano in giurisprudenza posizioni differenziate.
2.1. Un primo indirizzo giurisprudenziale è quello relativo alle decisioni che affermano, nell’ipotesi in cui non vi sia prova che l’imputato sia venuto a conoscenza della remissione di querela, che “la mancata comparizione dell’imputato all’udienza non può essere interpretata di per sè sola come volontà di accettare la remissione della querela” (Sez. 5, n. 15855 del 07/03/2006, Lanzafame, Rv.
234437; Sez. 5, n. 15613 del 26/02/2009, Angioni, Rv. 243605; Sez. 5, n. 4430 del 03/12/2009, dep. 02/02/2010, Chiaromonti, Rv. 246153;
Sez. 5, n. 16598 del 03/02/2010, Ballerini, Rv. 247245).
Sono decisioni che evidenziano che ogni comportamento deve essere volontario e consapevole, che la mancata prova della conoscenza dell’intervenuta remissione di querela non consente di trarre conseguenze giuridiche da comportamenti involontari ed inconsapevoli, che la mancata comparizione in giudizio del querelato costituisce espressione neutra del diritto del prevenuto di non partecipare al procedimento rimanendo contumace.
2.2. Altro indirizzo giurisprudenziale è quello che statuisce che la mancata comparizione dell’imputato – previamente avvisato, con atto notificatogli regolarmente, che la sua assenza all’udienza sarebbe stata considerata come tacita accettazione dell’avvenuta remissione – assume l’inequivoca valenza di manifestazione della volontà di accettazione della remissione. Ciò in quanto ai fini dell’efficacia giuridica della remissione di querela, non è indispensabile una esplicita e formale accettazione, cioè una manifestazione positiva di volontà di accettazione, ma è sufficiente, ex art. 155 c.p., comma 1, che non vi sia una ricusazione in forma espressa o tacita.
Allorchè alla remissione di querela effettuata dalla persona offesa segue l’assenza dell’imputato nella successiva udienza, appositamente fissata, come da avviso notificato regolarmente, in concreto l’imputato pone in essere un comportamento di mancata ricusa della remissione. In questo senso, v. Sez. 5, n. 34421 del 03/04/2007, Xapaa Milakh, Rv. 237704; Sez. 5, n. 4229 del 09/12/2008, dep. 29/01/2009, Ventimiglia, Rv. 242951; Sez. 5, n. 118951 del 04/01/2010, Milano, Rv. 246547; Sez. 5, n. 19568 del 31/03/2010, Falcone, Rv. 247501; Sez. 5, n. 35900 del 24/06/2010, Cannata, Rv, 248427.
2.3. Altre decisioni prescindono dall’accertamento in concreto della consapevolezza da parte dell’imputato dell’intervenuta remissione in quanto vedono nella mancata partecipazione dell’imputato al dibattimento un comportamento di indifferenza alle sorti processuali, che è espressione di assenza di rifiuto della remissione. In questo senso si sono espresse Sez. 5, n. 30614 del 26/06/2008, Orlandini, Rv. 240438; Sez. 4, n. 47483 del 13/11/2008, Mizzitelli; Rv. 242761; Sez. 5, n. 4696 del 05/12/2008, dep. 03/02/2009, Zatti, Rv. 242618; Sez. 5, n. 35620 del 27/05/2010, Apicella, Rv. 248884; Sez. 5, n. 2776 del 18/11/2010, dep. 26/01/2011, Cassano, Rv. 249084; Sez. 5, n. 3359 dell’11/11/2010, dep. 31/01/2011, Navarro, Rv. 249411; Sez. 5, n. 7072 del 12/01/2011, Castillo, Rv. 249412).
2.4. Deve essere segnalata una isolata decisione che afferma che “la mancata comparizione all’udienza del querelato contumace non integra accettazione tacita della remissione della querela neppure ove egli sia venuto a conoscenza di detta remissione” (Sez. 2, n. 34124 del 08/07/2009, Princich, Rv. 244949). Detta sentenza trae motivazione dal principio enunciato dalle Sezioni unite con la già ricordata sentenza Viele (n. 46088 del 30/10/2008) relativa alla remissione tacita con la quale è stato affermato il principio secondo il quale la mancata comparizione del querelante – pur previamente avvisato che la sua assenza sarebbe stata ritenuta concludente nel senso della remissione tacita della querela – non costituisce fatto incompatibile con la volontà di persistere nella stessa. La sentenza non ravvisa ragioni perché lo stesso principio non debba valere per l’accettazione della remissione della querela da parte del querelato, tanto più che neppure nel processo avanti il Giudice di pace (ove, in base al combinato disposto del D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 21 e art. 28, comma 3, è previsto un espresso caso di remissione tacita della querela nella ipotesi in cui il querelante non si presenti) è considerato alcun comportamento processuale concludente da parte del querelato in caso di remissione tacita.
3. La questione devoluta alle Sezioni unite può essere linearmente risolta sulla base dei dati normativi.
Il querelato può accettare espressamente la remissione della querela, con formalità analoghe a quelle previste per l’atto di remissione (art. 340 c.p.p., comma 1).
Ma, se non vi è un atto di accettazione espressa, perché si producano nondimeno gli effetti giuridici conseguenti alla remissione, la legge non pone come condizione che vi sia una “accettazione tacita”. Infatti, nonostante che la rubrica dell’art. 155 cod. pen. sia intitolata (impropriamente) “Accettazione della remissione”, ciò che normativamente si richiede (comma primo) è che il querelato non abbia “espressamente o tacitamente” ricusato la remissione; verificandosi la “ricusa tacita” “quando il querelato ha compiuto fatti incompatibili con la volontà di accettare la remissione”.
Il comportamento concludente preso in considerazione dall’art. 155 c.p., comma 1, non è, dunque, quello attraverso cui si renda percepibile una adesione del querelato alla remissione di querela, ma attiene a una tacita manifestazione di volontà diretta a impedirla:
non un comportamento positivo – di accettazione – ma uno negativo – di rifiuto -.
Può dirsi, allora, che l’accettazione si presume, purché non vi siano fatti indicativi di una volontà contraria del querelato che si trovi in grado di accettare o rifiutare.
Tanto ha consentito alla giurisprudenza ed alla dottrina di qualificare la remissione di querela un atto giuridico unilaterale che si perfeziona con la sua manifestazione e non necessita di accettazioni o adesioni del querelato, il quale può solo rifiutare e quindi rendere inefficace la remissione impedendo la declaratoria di improcedibilità.
4. Dalla ricusa della remissione e corrispondentemente dalla mancata ricusa derivano conseguenze rilevanti quali la prosecuzione del giudizio nella prima ipotesi e la condanna del querelato al pagamento delle spese processuali nel secondo caso, come disposto dall’art. 340 c.p.p., comma 4, modificato dalla L. 25 giugno 1999, n. 205, art. 13 (“Le spese del procedimento sono a carico del querelato, salvo che nell’atto di remissione sia stato diversamente convenuto”).
Ora, a parte l’eventuale interesse del querelato ad ottenere una positiva affermazione giudiziale della sua innocenza in ordine al fatto addebitatogli dal querelante, la previsione della sua condanna al pagamento delle spese processuali esige razionalmente che colui che la subisce sia posto nelle condizioni di ricusare la remissione della querela. Tale situazione non può dirsi sussistere quando il querelato non sia a conoscenza (o non sia stato messo in grado di essere a conoscenza) della intervenuta remissione; in detta ipotesi egli non può consapevolmente decidere se rifiutare (espressamente o tacitamente) la remissione e quindi proseguire il giudizio, nella prospettiva di ottenere una pronuncia sul merito del fatto-reato addebitatogli e, ad un tempo, di scansare l’onere delle spese processuali.
Per la decisione della questione in esame assume rilievo, allora, l’accertamento della conoscenza (o, almeno, della conoscibilità) della avvenuta remissione nei casi in cui l’imputato-querelato non sia comparso in udienza. Ed invero l’imputato, che sia a conoscenza o sia comunque posto in grado di conoscere l’intervenuta remissione della querela, e che omette di presentarsi in dibattimento non pone in essere un comportamento neutro che è mera espressione del suo diritto di non partecipare al dibattimento rimanendo contumace, ma, disinteressandosi della prosecuzione e dell’esito del procedimento, manifesta la propria volontà di non ricusare la remissione. La disciplina sostanziale che regola diversamente la remissione tacita di querela e la ricusa tacita della remissione non consente di sovrapporre le due fattispecie e di negare conseguenze alla mancata comparizione del querelato (come invece correttamente statuito con le Sez unite, Viele, per l’omessa comparizione del querelante con riferimento alla remissione tacita).
5. Deve quindi enunciarsi il seguente principio di diritto: “la omessa comparizione in udienza del querelato, posto a conoscenza dell’avvenuta remissione della querela o posto in grado di conoscerla, integra mancanza di ricusa idonea per la pronuncia di estinzione del reato per tale causa”.
6. Dalla analisi della concreta fattispecie risulta che il querelato, il giorno della remissione, coincidente con la pronuncia della sentenza resa immediatamente senza l’apertura del dibattimento e senza la sua presenza, non era venuto a conoscenza di quanto deciso dal querelante Né era stato posto in grado di manifestare la sua eventuale volontà di ricusa.
Deve quindi riconoscersi la fondatezza della censura mossa nel ricorso del Procuratore generale, che ha rilevato una violazione di legge a carico di una sentenza di improcedibilità per remissione di querela emessa senza che il querelato fosse stato messo in grado di opporsi a un simile esito del processo.
Tale violazione di legge, al momento della proposizione del ricorso, era produttiva di potenziali effetti lesivi della posizione del querelato, poiché, non essendo ancora scaduti i termini di impugnazione, il querelato avrebbe potuto a sua volta ricorrere contro la sentenza esprimendo una volontà di ricusa della remissione della querela.
Se spettava ancora al querelato l’esercizio della facoltà di manifestare la sua volontà di ricusa, era dovere e compito del P.m. censurare la declaratoria di improcedibilità pronunciata in violazione di legge; sollecitando così una pronuncia non meramente intesa alla astratta affermazione del diritto ma diretta a ottenere un risultato pratico corrispondente a una posizione giuridica rilevante; il tutto conformemente a quanto più volte affermate dalla giurisprudenza delle Sezioni unite in tema di interesse del pubblico ministero alla impugnazione (v. sentenze n. 29529 del 25/06/2009, De Marino, Rv. 244110; n. 42 del 13/12/1995, Timpani, Rv. 203093; n. 9616 del 24/03/1995, Rv. Boido, 202018; n. 6203 dell’11/05/1993, Amato, Rv. 193743).
7. Occorre però rilevare che, successivamente al ricorso del Procuratore generale, il querelato – cui la sentenza è stata ritualmente notificata – non ha proposto ricorso per far valere la lesione del suo diritto di esprimere la sua volontà di ricusa ai sensi dell’art. 155 cod. pen.: egli non ha cioè impedito alla remissione, pur essendo ancora nei termini, di perdere efficacia.
Consegue che, in assenza di ricusa espressa o tacita da parte del querelato, la remissione della querela da parte della persona offesa ha ormai prodotto, a norma dell’art. 152 cod. pen., l’effetto estintivo del reato; sicché il P.g. ricorrente non conserva più interesse all’annullamento della sentenza impugnata, che, se pure errata nel momento in cui è stata emanata, ha prodotto un effetto ormai consolidatosi.
8. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile per fatti sopravvenuti alla sua proposizione, a norma dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. a).
(Torna su )
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, il 25 maggio 2011.

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