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Sentenze Penale Procedura Penale

Cassazione penale, sez. V, 3 luglio 2020, n. 23127

Avv. Gianluca Lancianodi Avv. Gianluca Lanciano3 Aprile 2023
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iscrizione contemporanea a due albi professionali

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 14/02/2020 il Tribunale di Palermo ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello proposto nell’interesse di F.I. avverso il provvedimento con il quale il g.i.p. presso il medesimo Tribunale aveva rigettato la richiesta di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere.
Il Tribunale ha rilevato: a) che, ai sensi dell’art. 299 c.p.p., nei procedimenti aventi ad oggetto, come nel caso di specie, delitti commessi con violenza sulla persona, la richiesta di revoca o di sostituzione di misure coercitive o interdittive deve essere immediatamente comunicata, oltre che al difensore, anche alla stessa persona offesa; b) che dagli atti risultava che l’istanza era stata notificata soltanto ai difensori delle persone offese, tramite posta elettronica certificata (p.e.c.); c) che, secondo il costante orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, nel processo penale non è consentito alla parte privata l’uso della p.e.c. per la trasmissione dei propri atti alle altri parti, Né per il deposito presso gli uffici.

2. Nell’interesse del F. è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, con il quale si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 299 c.p.p., comma 2-bis, e del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16, comma 4, conv. con L. 17 dicembre 2012, n. 221, rilevando che quest’ultima norma, secondo altro orientamento di legittimità, non preclude alle parti private l’utilizzo della p.e.c., ma si limita a disciplinarne l’utilizzo da parte delle cancellerie. Al contrario, nel caso di specie, dovrebbe trovare applicazione il combinato disposto dell’art. 152 e il D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 48, comma 2. Siffatta soluzione si giustificherebbe in ragione del fatto che la p.e.c. offre le stesse garanzie di certezza della lettera raccomandata, quanto all’identificazione del mittente e alla dimostrazione della ricezione da parte dei destinatari, che, peraltro, nel caso di specie, avevano eletto domicilio presso lo studio del difensore.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.
Con riferimento al rilievo del provvedimento impugnato, secondo il quale la richiesta originaria avrebbe dovuto essere notificata direttamente alle persone offese, si osserva, innanzi tutto, che, in tema di misure cautelari, ai fini della ammissibilità della richiesta di revoca o di sostituzione del provvedimento applicato nei procedimenti per reati commessi con violenza alla persona, non proposta in sede di interrogatorio di garanzia, è sufficiente la notifica al solo difensore della persona offesa e, soltanto qualora questi non sia stato nominato, alla persona offesa (Sez. 3, n. 15609 del 21/02/2020, G, Rv. 27883901, la quale, in motivazione, ha precisato che il regime delle notifiche previsto dall’art. 299 c.p.p., comma 3, per la richiesta di revoca o di sostituzione si distingue da quello di cui al precedente comma 2-bis, come modificato dalla L. 19 luglio 2019, n. 69, art. 15, comma 4, che, per rafforzare il meccanismo di conoscenza della persona offesa, impone l’immediata comunicazione del provvedimento di accoglimento, anche parziale, della istanza de libertate alla stessa persona offesa, in aggiunta e non in alternativa al suo difensore).
In ogni caso, ai sensi dell’art. 33 disp. att. c.p.p., il domicilio della persona offesa che abbia nominato un difensore si intende eletto presso ques’ultimo.
In definitiva, in disparte la problematica - in questa sede non rilevante - della necessità o non di procedere alla notificazione alla persona offesa che non abbia provveduto a nominare un difensore o ad effettuare dichiarazione od elezione di domicilio (Sez. 1, n. 5552 del 17/01/2020, Gangemi, Rv. 27848301), dalle superiori considerazioni discende che non è conforme al sistema normativo la conclusione dell’ordinanza impugnata, la quale richiede letteralmente la notifica tanto al difensore delle persone offese che a queste ultime.
La seconda questione posta dall’ordinanza impugnata attiene invece alla possibilità che alla notifica al difensore della persona offesa si proceda a mezzo p.e.c..
Sul punto, ritiene il Collegio di dare continuità all’orientamento espresso sul punto da Sez. 2, n. 6320 del 11/01/2017, Simeoli, Rv. 26898401, che ha ritenuto valida la notifica tramite p.e.c. effettuata, ai sensi dell’art. 299 c.p.p., comma 4-bis, dal difensore dell’imputato a quello della persona offesa. La soluzione riposa sull’art. 152 c.p.p., a mente del quale “salvo che la legge disponga altrimenti, le notificazioni richieste dalle parti private possono essere sostituite dall’invio di copia dell’atto effettuata dal difensore mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento” e sul D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 48, comma 2, e successive mod. (c.d. codice dell’amministrazione digitale: c.a.d.), il quale prevede che “la trasmissione del documento informatico per via telematica, effettuata ai sensi del comma 1, equivale, salvo che la legge disponga diversamente, alla notificazione per mezzo della posta”.
L’art. 48 è destinato ad essere abrogato, ai sensi del D.Lgs. 13 dicembre 2017, n. 217, art. 65, comma 7, come modificato dal D.L. 14 dicembre 2018, n. 135, convertito con modificazioni dalla L. 11 febbraio 2019, n. 12, con l’entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri previsto dallo stesso comma 7 cit., ferma l’operatività dell’art. 6, comma 1, c.a.d., quanto alla equivalenza alle comunicazioni a mezzo raccomandata di quelle elettroniche indirizzate ai domicili digitali.
La conclusione giurisprudenziale sopra ricordata è stata criticata da Sez. 4, n. 21056 del 23/01/2018, D’Angelo, Rv. 27274101, secondo la quale, invece, nel processo penale, non è consentito alla parte privata l’uso della posta elettronica certificata per la trasmissione dei propri atti alle altre parti Né per il deposito presso gli uffici, perché l’utilizzo di tale mezzo informatico - ai sensi del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16, comma 4,, convertito con mod. dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221 - è riservato alla sola cancelleria per le comunicazioni richieste dal pubblico ministero ex art. 151 c.p.p. e per le notificazioni ai difensori disposte dall’autorità giudiziaria.
La decisione - che si occupava per vero del ricorso proposto avverso la sentenza dichiarativa dell’inammissibilità dell’opposizione al decreto penale di condanna proposta a mezzo di p.e.c. - ha rilevato che: a) “manca nelle disposizioni che regolamentano il processo penale, a differenza di quanto previsto per il procedimento civile, una norma che consenta l’inoltro in via telematica degli atti di parte”; b) che il citato D.L. n. 179 del 2012, ha introdotto e disciplinato l’obbligatorietà delle comunicazioni e notificazioni a carico della cancelleria in via telematica presso l’indirizzo di posta elettronica nei confronti di tutti i soggetti obbligati ex lege ad averlo, ma non ha disciplinato il deposito degli atti di parte; c) che, mentre nel processo civile, il procedimento di digitalizzazione, gradualmente introdotto, è sostanzialmente ormai concluso, in quello penale esso non è stato neppure avviato, sicché alla parte privata non è consentito l’uso del mezzo informatico in argomento per la trasmissione dei propri atti ad altre parti Né per il deposito presso gli uffici; d) che non esiste, ad oggi, nel procedimento penale un fascicolo telematico, “che costituisce il necessario approdo dell’architettura digitale degli atti giudiziari, quale strumento di ricezione e raccolta in tempo reale degli atti del processo, accessibile e consultabile da tutte le parti”; e) che l’art. 2, comma 6 del c.a.d. lascia intendere che le disposizioni dettate presuppongano l’operatività del processo telematico, con la conseguenza che, ove questo non sia instaurato, appare erroneo ipotizzare l’applicazione di talune delle norme che nell’intento del legislatore si iscrivono nella cornice di un processo organizzato in base agli strumenti digitali.
Ritiene il Collegio che siffatte obiezioni, pienamente calzanti, quanto al tema costituente oggetto del procedimento definito dalla citata 21506 del 2018, non siano idonee a scalfire la conclusione che si trae dal rapporto tra l’art. 152 e l’art. 48, comma 2, c.a.d., quando venga in questione la notifica di un atto da una parte privata ad altra parte privata.
Rispetto a siffatta problematica, il D.L. n. 179 del 2012, art. 16 si pone in rapporto di non interferenza, in quanto - con riferimento al processo penale - si limita a disciplinare l’uso della posta elettronica da parte della cancelleria, per le notifiche a persona diversa dall’imputato a norma dell’art. 148 c.p.p., comma 2-bis, artt. 149 e 150 c.p.p. e art. 151 c.p.p., comma 2.
D’altra parte, la clausola di salvezza che si rinviene nell’art. 48, comma 2, c.a.d., (a mente del quale la trasmissione del documento informatico per via telematica, effettuata ai sensi del comma 1, equivale alla notificazione per mezzo della posta “salvo che la legge disponga diversamente”) impone di verificare se sia prevista una esplicita esclusione della disposta equiparazione della raccomandata alla p.e.c. o se essa possa desumersi dal sistema.
Peraltro, è chiaro che l’espressa esclusione non può essere ravvisata sic et simpliciter nel fatto che l’art. 152 c.p.p.preveda che le notifiche richieste dalle parti possono essere sostituite dall’invio con lettera raccomandata da parte del difensore.
E ciò, in generale, perché l’art. 152 è proprio la norma base presupposta dall’art. 48, comma 2, c.a.d. che, nel quadro della semplificazione delle attività dei consociati e del loro adeguamento al progresso tecnologico, amplia le possibilità operative e non può essere paralizzata dalla più risalente regola legata ad altri contesti di trasmissione delle comunicazioni e che pure fu introdotta - come emerge proprio dalla Relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale - “per snellire la procedura”.
Né esistono - si ripete, con riguardo allo specifico tema oggetto del procedimento - controindicazioni sistematiche, quali, al contrario, emergono con riferimento alla problematica della proposizione delle impugnazioni.
A questo riguardo, la giurisprudenza di questa Corte è orientata nel senso di valorizzare il principio di tassatività dei modi di presentazione dell’impugnazione (v., ad es., Sez. 4, n. 10682 del 19/12/2019 - dep. 27/03/2020, Sayari, Rv. 27864901; Sez. 4, n. 52092 del 27/11/2019, Vlad Costei, Rv. 27790601; v., anche, quanto al tema della presentazione di motivi aggiunti al ricorso per cassazione, Sez. 1, n. 2020 del 15/11/2019 - dep. 20/01/2020, Turturo, Rv. 27816301), essenzialmente in vista della sicurezza di ricezione dell’atto da parte della cancelleria competente, ai sensi dell’art. 582 c.p.p..
Quest’ultimo obiettivo presuppone, invero, secondo quanto rilevato dalla citata Cass. n. 21506 del 2018, la piena operatività del processo telematico e, ancora prima, la verifica dell’esistenza di una efficiente e affidabile architettura del sistema, in grado di consentire il deposito di atti e la ricezione delle comunicazioni, lato sensu intese, da parte delle cancellerie competenti.
Non casualmente, infatti, laddove difettino esigenze rigorose di accertamento dei tempi di compimento di un atto processuale, in vista del procedimento che conduce alla irrevocabilità dei provvedimenti giurisdizionali, la giurisprudenza di legittimità mostre talora delle aperture, sia pure trasferendo sul mittente l’onere di allegare l’effettiva ricezione dell’istanza da parte del giudice (v., peraltro, in termini ancor più ampi, Sez. 2, n. 4655 del 08/01/2020, Belaissaoui, Rv. 27780001, che, argomentando dalla formulazione dell’art. 3 del codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati, conclude nel senso dell’ammissibilità della richiesta di rinvio per adesione all’astensione trasmessa a mezzo p.e.c.).
In questo senso, si colloca Sez. 6, n. 2951 del 25/09/2019 - dep. 24/01/2020, Di Russo, Rv. 27812701, in relazione ad un’istanza di rinvio per legittimo impedimento. Nella medesima prospettiva si rinviene la puntualizzazione di Sez. 1, n. 17879 del 22/03/2019, Faqdaoui, Rv. 27630801, secondo la quale sussiste l’onere, per la parte che intenda dolersi dell’omesso esame della sua istanza, di accertarsi della regolare ricezione della e-mail da parte dell’ufficio di cancelleria del giudice procedente (la stessa precisazione, quanto all’onere di verifica gravante sul mittente, si rinviene in Sez. 2, n. 21683 del 15/01/2019, Ferrara, Rv. 27701401, a proposito della nomina di difensore).
Ciò rivela quale è il vero punto critico della generalizzazione delle comunicazione telematiche da parte dei privati nel processo penale: l’assenza di un univoco punto di arrivo delle comunicazioni collocato in un efficiente flusso procedimentale che conduca la richiesta al giudice chiamato a provvedere. In tale prospettiva, si spiega anche perché sia stato ritenuto che, in tema di procedimento di prevenzione, non è consentito alla cancelleria del giudice di effettuare comunicazioni o notificazioni al pubblico ministero mediante l’utilizzo della posta elettronica certificata, atteso il mancato richiamo dell’art. 153 c.p.p. da parte del citato D.L. n. 179 del 2012, art. 16, commi 4 e art. 9, lett. c-bis, con la conseguenza che i termini per l’impugnazione del decreto di revoca della misura da parte del pubblico ministero decorrono dalla comunicazione eseguita nelle forme di cui all’art. 153 c.p.p., comma 2, ovvero, nel caso in cui si sia proceduto nelle forme della comunicazione digitalizzata, dal giorno in cui il pubblico ministero ha avuto materiale conoscenza del provvedimento (Sez. 5, n. 3181 del 14/11/2018 - dep. 23/01/2019, Raffaelli, Rv. 27541101).
Ma, nel caso di specie, alla luce della necessaria celerità che deve accompagnare la trattazione delle istanze de libertate e dell’assenza di qualunque correlazione tra istituzione del processo penale telematico e comunicazione via p.e.c. ad altro difensore della richiesta, non si ravvisa alcuna incompatibilità sistematica rispetto alla soluzione qui accolta.
D’altra parte, anche con riguardo al rapporto con uffici pubblici, questa Corte ha valorizzato le esigenze di celere espletamento di adempimenti a carico di privati. Si è così deciso, ad es., che, nel procedimento di convalida del divieto di accedere a manifestazioni sportive con obbligo di presentazione all’ufficio di p.s., è ammissibile la presentazione delle richieste e delle memorie delle parti al giudice competente tramite p.e.c., in quanto, da un lato, la L. n. 401 del 1989, art. 6, comma 2-bis, al fine di contemperare il regolare esercizio di diritto di difesa con l’estrema ristrettezza dei termini previsti per gli adempimenti in questione, non prescrive che i predetti atti debbano essere necessariamente depositati in cancelleria nella loro materiale fisicità e, dall’altro, il mezzo impiegato garantisce sicura affidabilità quanto alla provenienza e alla ricezione (Sez. 3, n. 17844 del 12/12/2018 - dep. 30/04/2019, Benigno, Rv. 27560001; v., anche Sez. 3, n. 14832 del 13/12/2017 - dep. 04/04/2018, Barzanti, Rv. 272692).
In Cass. n. 17844 del 2018 si legge che il principio risulta espressivo, da una parte, della esigenza di dare tutela al diritto di difesa e, dall’altra, di un indirizzo ermeneutico volto a consentire, senza sacrifici per altri significativi interessi contrastanti, la semplificazione e lo snellimento burocratico delle procedure giurisdizionali conseguente alla loro automazione, secondo il quale nel processo penale alle parti private può essere consentito di eseguire comunicazioni e notificazioni mediante l’utilizzo della posta elettronica certificata, nel caso in cui ciò sia necessario per rendere effettive le facoltà processali alle stesse riconosciute.
Così, ad es., nessun dubbio si pone nel caso in cui l’utilizzo della p.e.c. sia necessario per rendere effettive le facoltà processuali alle stesse riconosciute (Sez. 5, n. 55886 del 02/10/2018, Giustini, Rv. 27460301, che ha ritenuto ammissibile una richiesta di rimessione del processo ex art. 45 c.p.p., notificata dagli imputati alle parti civili a mezzo p.e.c., sul rilievo che tale modalità di notifica era stata previamente autorizzata dal giudice di merito, avuto riguardo al brevissimo termine di sette giorni entro cui i richiedenti avrebbero dovuto adempiere all’incombente nei confronti di numerosissimi aventi diritto).
La soluzione qui condivisa consente di soddisfare pienamente le esigenze di tutela della persona offesa, sottese all’art. 299 c.p.p., non essendo dubitabile che la comunicazione a mezzo p.e.c. costituisce uno strumento idoneo a portare un atto a conoscenza del destinatario e ad avere certezza sulla sua ricezione.
Alla stregua delle superiori considerazioni, il provvedimento impugnato va annullato con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Palermo.

P.Q.M.

Annulla il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Palermo. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all‘art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
In caso di diffusione del presente provvedimento, si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma delD.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, il 3 luglio 2020.
Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2020

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