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Cassazione penale, sez. VI, 21 maggio 2008, n. 20326

Redazionedi Redazione21 Maggio 2008
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iscrizione contemporanea a due albi professionali

FATTO E DIRITTO

Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Bari, in accoglimento dell’appello proposto da D.M.M. nei confronti dell’ordinanza del Tribunale di Trani del 24 aprile 2007, con la quale era stata applicata al medesimo la misura interdittiva della sospensione dall’esercizio del pubblico servizio, revocava l’ordinanza stessa, ritenendo la insussistenza di gravi indizi di colpevolezza e di esigenze cautelari.
All’indagato – dipendente del Comune di Trani – era stato contestato il reato di peculato perchè si serviva del computer dell’ufficio, cui era collegato un masterizzatore DVD, per uso personale usufruendo della rete elettrica e informatica del Comune: navigava in internet su siti non istituzionali, scaricando su archivi personali dati e immagini non inerenti alla pubblica funzione – prevalentemente materiale di carattere pornografico – con danno economico dell’Ente.
Sul computer in questione e sul sopporto esterno, venivano rinvenuti circa 10.000 documenti di cui solo una minima parte di natura lavorativa.
Il Tribunale, nel revocare la misura cautelare, osservava che il reato di peculato tutela il patrimonio della P.A. e che lo stesso non poteva essere depauperato a seguito dei collegamenti in questione di un computer “comunque e sempre collegato alla rete elettrica e telefonica indipendentemente dall’uso e dalla navigazione”. Con particolare riferimento al collegamento alla rete elettrica, non si era “indicato il danno patrimoniale”, atteso che “i computers sono sempre collegati alla rete elettrica, nè può ritenersi ulteriore consumo di energia elettrica per il fatto che a un computer siano collegate una o più periferiche”.
II Tribunale disconosceva anche la sussistenza di esigenze cautelari perchè “pur ritenendo un danno patrimoniale per l’ente per la navigazione in internet sino al 2003” (il consulente tecnico aveva accertato che la navigazione in internet si arrestava al giugno 2003) non era ipotizzabile un pericolo di reiterazione “in considerazione della sua illibata personalità e dell’atteggiamento pacatamente esplicativo tenuto in occasione del suo interrogatoria.
Avverso la predetta ordinanza propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bari il quale richiama tutta la giurisprudenza di questa Corte di cassazione che ritiene che con il reato di peculato non sia offeso solo il patrimonio dell’ente pubblico, ma anche il buon andamento degli uffici della pubblica amministrazione il quale può non essere turbato solo da un uso occasionale della cosa pubblica, ma non in caso di condotta reiterata e consolidata nel tempo. Peraltro, non risultava affatto accertato agli atti del processo se il contratto del Comune con l’ente gestore di internet prevedesse un uso illimitato del servizio con tariffa fissa, circostanza per nulla verificata da parte dei giudici di merito, ma solo supposta. Del tutto inadeguata appariva infine la motivazione sulle esigenze cautelari sopra riportata.
Premesso che l’ordinanza impugnata sembra quasi trascurare la circostanza che la disposizione dell’art. 314 c.p., oltre a tutelare il patrimonio della pubblica amministrazione mira ad assicurare anche il corretto andamento degli uffici della stessa basato su un rapporto di fiducia e di lealtà col personale dipendente, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il Tribunale del riesame da per scontato un dato che non emerge affatto dagli atti, cioè che il computer fosse perennemente collegato alla rete elettrica e telefonica in modo da comportare costi fissi per la pubblica amministrazione indipendente dalla navigazione in internet. Ora, a parte il fatto che tale assunto è errato per ciò che attiene alla energia elettrica, che viene consumata in quanto l’apparecchio sia acceso, ciò che più conta è che da nessun dato si ricava che il tipo di convenzione con il provider prevedesse un accesso costante al web a un costo fisso anziché un accesso di volta in volta consentito solo previo contatto telefonico, non occorrendo spendere parole per dimostrare come in questo secondo caso l’indagato si sarebbe appropriato anche delle energie appartenenti all’ente sotto forma di telefonate di volta in volta eseguite per la navigazione in internet per finalità totalmente estranee alla pubblica funzione (masterizzazione di DVD audio e scaricamento di immagini e di film).
L’ordinanza impugnata da la prima ipotesi come appartenente al notorio ma ciò è del tutto arbitrario, specie in considerazione che tale tipo di convenzione si è diffusa recentemente, mentre i fatti di cui è causa risalgono all’anno 2003, onde la questione avrebbe dovuto formare oggetto di dimostrazione precisa. L’ordinanza va quindi annullata in punto di gravi indizi di colpevolezza con rinvio al Tribunale di Bari perchè spieghi non solo per quali motivi ha ritenuto la insussistenza dei gravi indizi del reato solo in relazione al danno cagionato (asseritamene mancante), ma anche da quali dati probatori concreti relativi al caso di specie abbia desunto l’esistenza di un certo tipo di convenzione con l’ente gestore del servizio telefonico.
Ma l’ordinanza impugnata va annullata anche in punto di esigenze cautelari perchè la incensuratezza, considerato il tipo e la reiterazione del reato di specie, non ha un significato decisivo;
significato men che meno attribuibile all’”atteggiamento esplicativo” avuto dall’indagato in sede di interrogatorio. Il Tribunale dovrà motivare se sussista un pericolo di reiterazione, tenuto conto del fatto che sono stati trovati sull’apparecchio in questione e sul disco esterno ben 10.000 files, di cui solo una modestissima parte di natura attinente alle funzioni esercitate.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Bari per nuovo esame.

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