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Famiglia Successioni Sentenze

Cassazione penale, sez. VI, 12 luglio 2011, n. 27117

Redazionedi Redazione12 Luglio 2011
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iscrizione contemporanea a due albi professionali

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- La Corte di Appello di Trieste con sentenza pronunciata il 18.3.2009 ha confermato in punto di responsabilità, limitandosi a concedere all’appellante il beneficio della non menzione della condanna, la decisione appellata dall’imputato, con la quale il 3.10.2006 il Tribunale di Udine, all’esito di giudizio ordinario, ha riconosciuto L.G. colpevole del reato di omessa somministrazione dei mezzi di sussistenza in favore del figlio minorenne Ga., affidato alla moglie separata Z.M. R.. Condotta integrata dall’omesso versamento dell’assegno mensile di Euro 210,00 e dalla omessa partecipazione (in misura della metà) alle spese scolastiche del figlio, secondo quanto stabilito con sentenza 8.7.2004 del Tribunale di Catania nella causa di separazione coniugale. Reato commesso ad Udine dal settembre 2004 fino al 3.10.2006, data della sentenza di primo grado, per cui il L. – concessegli le attenuanti generiche – è stato condannato alla pena di tre mesi di reclusione ed Euro 200,00 di multa con il beneficio della sospensione subordinato al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno (Euro 8.000,00) il favore della costituita parte civile Z. entro sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna.
Colpevolezza dell’imputato che le due conformi decisioni di merito – affermata la competenza territoriale del Tribunale di Udine, città in cui dopo la separazione coniugale la Z. si è trasferita da (OMISSIS) per ragioni di lavoro – hanno basato sulla conclamata inadempienza contributiva dell’imputato (ha versato al coniuge una tantum la sola somma di Euro 500,00 nell’agosto 2005), correlata all’immanente stato di bisogno del figlio minorenne privo di autonome fonti di reddito, dalla assenza di qualsiasi causa ostativa al rispetto dell’obbligo da parte dell’imputato (che risulta, come si desume dal suo libretto di lavoro, avere costantemente lavorato a far data dal 1982).
Il difensore del L. ha impugnato per cassazione la sentenza di appello e l’ordinanza con cui la Corte di Appello il 18.3.2009 ha respinto la richiesta di rinvio dell’udienza di discussione per coevo impegno professionale dello stesso difensore.
2.- Con sentenza in data 1.3.2010 la Corte di Appello di Trieste ha confermato la ulteriore sentenza del 27.5.2008, con cui – all’esito di giudizio ordinario – il Tribunale di Udine ha condannato L.G. per lo stesso reato di omessa somministrazione dei mezzi di sussistenza in favore del figlio minorenne nei medesimi termini appena indicati, ma relativamente al periodo dal 3.10.2006 (data della anteriore sentenza di condanna in primo grado) “in permanenza” fino al 27.5.2008 (data di tale nuova sentenza). Condanna alla pena – con le attenuanti generiche – di quattro mesi di reclusione ed Euro 300,00 di multa con il beneficio della sospensione, subordinato al risarcimento del danno (liquidato in Euro 6.300,00) alla parte civile Z.M.R., da eseguirsi entro tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza.
Anche in questo caso le due conformi decisioni di merito hanno ritenuto provata la responsabilità dell’imputato alla luce delle emergenze processuali, suffraganti sia l’oggettiva mancata corresponsione di alcuna somma di denaro nel periodo considerato dalla contestata accusa, sia l’assenza di cause impedienti per il L., che è risultato svolgere a (OMISSIS) attività lavorativa come carpentiere.
Contro la sentenza di appello il difensore dell’imputato ha proposto ricorso.
3.- Aderendo a specifica istanza del difensore dell’imputato L., il Primo Presidente di questa Corte ha disposto la riunione del secondo ricorso (avverso la sentenza di appello dell’1.3.2010) al primo ricorso (avverso la sentenza di appello del 18.3.2009), che sono stati – per tanto – unitariamente trattati nell’odierna udienza.
I due ricorsi prospettano motivi di censura intuibilmente omologhi e sovrapponibili, salva la critica rivolta all’ordinanza che ha respinto l’invocato differimento dell’udienza di appello nel primo giudizio definito con la sentenza del 18.3.2009. Le complessive ragioni di doglianza del ricorrente, incentrate su vizi di violazione di legge e di carenza ed illogicità della motivazione, possono essere riassunte, per i fini di cui all’art. 173 c.p.p., comma 1, nei termini che seguono.
1. Violazione dell’art. 486 c.p.p. (rectius art. 420 ter c.p.p.) e lesione del diritto di difesa dell’imputato determinante la nullità della sentenza della Corte di Appello giuliana del 18.3.2009. Il difensore fiduciario del ricorrente ha fatto pervenire alla Corte territoriale la copia di atti comprovanti un suo concomitante impegno professionale in un giudizio svolgentesi in prosecuzione davanti al giudice di pace di Bronte nella stessa data del 18.3.2009, prefissata anteriormente alla emissione del decreto di citazione per il giudizio di appello. I giudici di secondo grado, nondimeno, hanno disatteso senza valide ragioni il differimento dell’udienza del giudizio nei confronti del L..
2. Entrambe le sentenze di appello hanno violato il combinato disposto dell’art. 570 c.p.p., comma 2, e art. 8 c.p.p., in tema di confermata competenza territoriale del Tribunale di Udine. Competenza erroneamente stabilita, poiché – contestandosi al L. un contegno omissivo (mancato pagamento dell’assegno mensile stabilito dal giudice civile di Catania in favore del figlio minore)- la condotta criminosa è stata consumata nel luogo di residenza dell’imputato, cioè a (OMISSIS), luogo in cui hanno avuto inizio, per entrambe le contestazioni mossegli nei due processi, le omissioni contributive. Il giudice naturale chiamato a conoscere le accuse elevate nei confronti del ricorrente è, dunque, il Tribunale di Catania. Errano le due sentenze di appello nel ritenere che il luogo di consumazione del reato vada individuato in quello di residenza dell’avente diritto alla prestazione assistenziale.
3. In ambedue i processi non sono emerse affidabili e decisive prove degli elementi strutturali della contestata fattispecie criminosa di cui all’art. 570 c.p., comma 2, n. 2. Elementi formati dall’esistenza di un effettivo stato di bisogno del beneficiario della prestazione contributiva, da un lato, e dall’assenza di situazioni asseveranti l’incapacità economica dell’obbligato, da un altro lato. Le due decisioni di appello, adagiatesi sulle conclusioni raggiunte dalle sentenze di primo grado, non si sono fatte carico di esaminare i rilievi espressi con gli atti di gravame con specifico riguardo ai dati attestanti la condizione di disagio economico dell’imputato e l’assenza di una situazione di effettivo bisogno del figlio dell’imputato, affidato alla madre, che con la sua attività lavorativa è stata in grado fronteggiare le esigenze di vita del minore.
3.- Tutti e due i ricorsi proposti nell’interesse di L. G. vanno dichiarati inammissibili per la manifesta infondatezza ovvero (anche) per la genericità dei delineati motivi di impugnazione e la loro parziale indeducibilità (laddove prefigurano rilievi meramente fattuali sorretti da una personale reinterpretazione delle fonti di prova, non consentita nel giudizio di legittimità).
1. L’ordinanza in data 18.3.2009 con cui, nel primo processo di appello, la Corte territoriale ha rigettato la richiesta di differimento dell’udienza presentata a mezzo fax dal difensore dell’appellante imputato il 16.3.2009, cioè appena due giorni prima della prefissata udienza di discussione dell’appello, è immune, sul piano giuridico e della completezza di motivazione, dalle censure palesemente infondate esposte in ricorso. L’impugnata ordinanza della Corte di Appello, tralasciando ogni possibile inferenza sulla ritualità del deposito dell’istanza difensiva (inviata alla cancelleria a mezzo fax), ne ha così testualmente argomentato il rigetto: “La Corte, ritenuto che il difensore non ha tempestivamente trasmesso l’istanza di rinvio per legittimo impedimento, Né ha in alcun modo provato l’impossibilità di farsi sostituire innanzi al giudice di pace di Bronte, rigetta l’istanza”.
La decisione procedurale dei giudici di appello è corretta e conforme agli stabili indirizzi ermeneutici indicati da questa Corte regolatrice. In vero perché si configuri l’assoluta impossibilità a partecipare al dibattimento del difensore, a causa di altro impegno professionale costituente presupposto per il differimento dell’udienza (art. 420 ter c.p.p., già art. 486 c.p.p., comma 5), è indispensabile che il difensore istante precisi le ragioni che gli hanno impedito la designazione di un proprio sostituto processuale.
Né il difensore, perorando il rinvio del dibattimento per coevo impegno professionale, può limitarsi (come è avvenuto nel caso del difensore del L.) a documentare la simultanea esistenza di altro suo impegno difensivo, senza indicare – oltre alla impossibilità di sostituzione ed all’assenza di un codifensore nell’altro processo- i concreti motivi che imporrebbero la sua presenza nel processo “altro”, a causa della peculiare natura dell’attività difensiva che deve svolgervi, onde vanificare ogni possibile illazione sulle finalità meramente dilatorie del prospettato impedimento (cfr., ex plurimis, da ultimo: Cass. Sez. 5, 4.7.2008 n. 44299, Buscemi, rv. 241571; Cass. Sez. 5, 28.10.2010 n. 41148, Cutrale, rv. 248905).
2. Palese è la giuridica inconsistenza dei rilievi critici espressi con i due ricorsi sulla sussistenza degli elementi costitutivi del contestato reato di cui all’art. 570 c.p., comma 2, n. 2, con riferimento – per i due periodi temporali consecutivi considerati dalle due decisioni di secondo grado – alla pretesa mancata dimostrazione di un effettivo stato di bisogno del figlio minore del L. e, specularmente, alla incapacità economica dell’imputato nel far fronte alla obbligazione pecuniaria. I motivi di ricorso avverso le due sentenze di appello, privi di specificità (ricalcano ragioni di gravame vagliate e puntualmente disattese dai giudici di merito) e per più versi non consentiti (critiche in prevalenza fattuali), sono palesemente infondati e destituiscono di pregio i rilievi sulla carenza e illogicità dei percorsi decisori confermativi della colpevolezza dell’imputato.
Le deduzioni delle due sentenze di appello, aderenti alle risultanze probatorie emerse nelle istruttorie dibattimentali di primo grado, sono corrette e lineari in rapporto ad entrambi i ridetti temi di censura enunciati dal ricorrente.
È il caso di osservare, da un lato e come rilevano i giudici di appello, che l’obbligo di fornire i mezzi di sussistenza al figlio minore ricorre anche quando vi provveda in tutto o in parte l’altro genitore con i proventi del proprio lavoro od anche con l’aiuto di altri familiari, poiché tale sostituzione surrogatoria non elimina lo stato di bisogno in cui versa il soggetto passivo, da reputarsi presunto o comunque immanente nella sua condizione di minore età e di assenza di fonti di reddito personali (cfr.: Cass. Sez. 6, 13.11.2008 n. 2736/09, rv. 242858; Cass. Sez. 6, 3.2.2010 n. 14906, rv. 247022). Così, d’altro lato e come esattamente argomentano le due sentenze di appello, la semplice indicazione di uno stato di difficoltà finanziaria dell’obbligato non è sufficiente a caducare l’obbligo di fornire i mezzi di sussistenza ai figli di età minore, quando non risulti provato – come nel caso di specie, per l’arco di tempo considerato dalle due sentenze di appello – che le difficoltà economiche si siano tradotte in una situazione di vera e propria indigenza economica e nell’impossibilità di adempiere, pur in parte, alla prestazione. Sull’imputato grava, infatti, l’onere di allegare idonei e convincenti dati rappresentativi della concreta e totale impossibilità di far fronte ai propri obblighi (cfr. Cass. Sez. 6, 15.2.2005 n. 10085, Pegno, rv. 231453; Cass. Sez. 6, 13.11.2008 n. 2736, rv. 242853). Onere che il L. non ha in alcun modo rispettato, a tacere del fatto che, come osservano i giudici di merito, lo stesso risulta (libretto di lavoro) avere sempre svolto attività lavorativa.
3. Manifestamente infondate sono le censure espresse dal ricorrente nei due giudizi e reiterate con i due ricorsi in ordine alla asserita incompetenza territoriale del Tribunale di Udine. Non è revocabile in dubbio, in vero, che nell’ipotesi di cui all’art. 570 c.p., comma 2, n. 2, la competenza territoriale è determinata dal luogo di effettiva dimora dell’avente diritto ai mezzi di sussistenza. Nel caso di specie del figlio minore dell’imputato e, in nome e per conto dello stesso, della madre affidataria. La moglie del L. dopo la separazione coniugale è stata costretta a trasferirsi con il figlio ad (OMISSIS) per cause connesse alla sua attività lavorativa (insegnante di scuole medie superiori) e alla assoluta necessità di lavorare nel quadro del nuovo assetto familiare susseguente alla separazione dal marito.
Tale conclusione in tema di luogo di adempimento dell’obbligazione contributiva ex art. 570 cpv. c.p., è, del resto, funzionale alla specifica natura dell’obbligazione in parola. Si tratta di una obbligazione periodica geneticamente pecuniaria, o c.d. di valuta, integrata dalla corresponsione con scadenza mensile di una somma di denaro determinata dal giudice civile. L’obbligazione rientra nel novero delle obbligazioni definite “portable”, nel senso che debbono essere “portate”, cioè adempiute, presso il domicilio del creditore, secondo il generale principio fissato dall’art. 1182 c.c., comma 3, (“L’obbligazione avente per oggetto una somma di denaro deve essere adempiuta al domicilio che il creditore ha al tempo della scadenza”).
Ne discende, allora, che ai fini della individuazione dei forum destinatae solutioms (art. 20 c.p.c.) e – per ciò stesso – ai fini della localizzazione della competenza territoriale di un inadempimento dell’obbligazione penalmente rilevante (luogo di consumazione del reato di cui all’art. 570 c.p., comma 2, n. 2), non possa che aversi riguardo al luogo di residenza dell’avente diritto.
Luogo correttamente individuato dai giudici di merito, nel caso di specie, nella città di (OMISSIS), in cui hanno dimorato – nei periodi di tempo oggetto delle contestazioni penali – il figlio minore e la moglie separata (aventi diritto e creditori) dell’imputato L..
Dalla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi discende per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese dei procedimenti ed al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende, che si reputa conforme ad equità determinare in misura di Euro 1.000,00 (mille).

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della cassa delle ammende.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della cassa delle ammende.

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