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Cassazione penale, sez. VI, 22 giugno 2017, n. 39482

Redazionedi Redazione14 Settembre 2018Aggiornato il:14 Settembre 2018
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iscrizione contemporanea a due albi professionali

Cassazione penale, sez. VI, 22 giugno 2017, n. 39482

Fatto

1. La Corte di appello di Firenze con la sentenza in epigrafe indicata, in parziale riforma di quella resa all’esito di giudizio ordinario dal Tribunale di Firenze, sezione distaccata di Empoli, assolto Ba.Al. dal concorso nell’esercizio abusivo della professione medica ed infermieristica (art. 348 c.p., capo A della rubrica) ascrittogli, ha, nel resto, confermato la sentenza di primo grado, quanto alle posizioni di V.C. e B.G., condannati alla pena di un anno e sei mesi di reclusione ed Euro dieci mila di multa, ciascuno, oltre al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, b.e..
2. Il V. ed il B., nelle rispettive qualità di vice presidente dell’associazione e di assistente degli atleti, sono stati ritenuti responsabili, per condotte continuate spiegate in concorso, sia dell’esercizio abusivo della professione medica ed infermieristica (art. 348 c.p., per il capo A della rubrica) che della somministrazione o comunque della favorita assunzione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive, idonee a modificare le condizioni psicofisiche dell’organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche (L. n. 376 del 2000, art. 9, per il capo B) della rubrica) degli atleti del team ciclistico “(OMISSIS) e, in particolare, quelle di b.e. che il 24 settembre 2009, in occasione di competizione ciclistica tenutasi ad Imola, veniva trovato positivo alla gonadotropina corionica (hCG).
2. Ricorrono in cassazione gli imputati a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia, per l’annullamento della sentenza della Corte di appello di Firenze.
3. V.C., per due distinti ricorsi, fa valere con il primo mezzo violazione ed erronea applicazione di legge quanto agli artt. 9 e 585 c.p.p., ed alla L. n. 376 del 2000, artt. 1 e 9, e vizio di motivazione.
3.1 La Corte territoriale avrebbe errato nell’individuare in quello fiorentino il giudice territorialmente competente in ragione della segnalazione, effettuata dall’offeso b.e., che l’inoculazione della gonadotropina corionica umana era avvenuta in Empoli.
Essendo il reato contestato e descritto alla L. n. 376 del 2000, artt. 1 e 9, di pura condotta e di pericolo, avendo la gonadropina la funzione di nascondere l’effetto di un trattamento steroideo al momento del controllo farmacologico dell’atleta, poiché il prelievo dei campioni biologici per il riscontro della conformità fisiologica dell’atleta era avvenuto ad Imola lì doveva individuarsi il luogo di commissione del reato, con conseguente competenza territoriale del Tribunale di Bologna.
3.2 Sarebbe poi stata errata la decisione assunta quanto alla dedotta inosservanza di formalità dirette a porre l’imputato nelle condizioni di esercitare il personale ed irrinunciabile diritto di impugnazione, nella dedotta non idoneità a far decorrere il termine d’impugnazione della notifica dell’estratto contumaciale della sentenza della sola sentenza priva dell’avviso di deposito.
3.3 La Corte fiorentina, e prima ancora il Tribunale, avrebbero erroneamente stimato la posizione degli altri atleti – che avevano invece con le loro dichiarazioni confermato la trasparenza delle informazioni date dalla dirigenza della società sportiva sui trattamenti individuati e prescritti dal medico della società – come diretta a riscontrare le dichiarazioni di b.e..
3.4 Il ragionamento della Corte di appello sarebbe stato viziato nelle premesse logiche e quindi nelle raggiunte conclusioni quanto al ritenuto contributo causale prestato dal V. nella somministrazione da parte del B. della gonadotropina corionica ad b.e..
La Corte di appello avrebbe concluso, per indizi mancanti dei caratteri di gravità, univocità e concordanza, nel senso che il V. non poteva non sapere che il B. avrebbe potuto somministrare farmaci dopanti.
Doveva escludersi poi che un siffatto esito potesse sortire ad una unica somministrazione di gonadotropina corionica, la cui finalità era quella di mascherare gli effetti dell’uso prolungato di steroidi anabolizzanti e non di migliorare la prestazione agonistica, risultato che, escluso dalla scienza medica, era stato invece erroneamente ritenuto dai giudici del merito.
La contestata somministrazione avrebbe offerto rimedio ad una squalifica del tesserato e ad un annullamento dell’eventuale risultato agonistico, restando estraneo invece alla prima ogni miglioramento della resa agonistica.
4. Con distinto ricorso proposto da distinto difensore, V.C. articola cinque motivi di annullamento.
4.1 La sentenza impugnata sarebbe incorsa in violazione della norma processuale (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), in relazione agli artt. 8,9 e 16 c.p.p.) nella parte in cui, nel rigettare l’eccezione di incompetenza per territorio sollevata dalla difesa, aveva individuato il giudice competente nel Tribunale di Firenze, sezione distaccata di Eboli, in ragione delle dichiarazioni della persona offesa circa la somministrazione a lui della sostanza dopante in Empoli, località Pagnana, luogo di ritiro degli atleti dell’(OMISSIS) e quindi sulla scorta di fatti sopravvenuti al momento della formulazione dell’imputazione e come tali non valutabili ai fini dell’apprezzamento della sollevata pregiudiziale, non proponibile oltre i termini di cui all’art. 491 c.p.p..
Essendo quelli in contestazione reati connessi (art. 12 c.p.p., lett. a) e b)), il giudice avrebbe dovuto essere individuato in quello competente a conoscere del reato più grave, nella specie il reato di cui alla L. n. 376 del 2000, art. 9.
La Corte di appello avrebbe dovuto individuare il luogo di effettiva consumazione e nella non deducibilità dello stesso agli atti, in applicazione dei criteri suppletivi di cui all’art. 9 c.p.p., commi 2 e 3, il giudice competente avrebbe dovuto essere individuato in quello della residenza dell’imputato o del luogo in cui aveva sede l’ufficio del p.m. che per primo aveva iscritto la notizia di reato.
4.2 Sarebbe stata integrata una violazione della norma processuale (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), in relazione all’art. 552 c.p.p., comma 1, lett. c)) là dove il giudice di appello non aveva accolto l’eccezione di nullità del decreto di citazione diretta a giudizio per genericità del capo di imputazione (lett. A) della rubrica) senza chiarire se l’imputato fosse da ritenersi autore, con gli altri concorrenti, di tutte le condotte contestate o mero compartecipe per singoli comportamenti e differenziato ruolo.
4.3 La sentenza impugnata sarebbe stata affetta da nullità per cattivo governo della prova e travisamento della stessa nonché per manifesta illogicità, carenza e contraddittorietà della motivazione (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c)), avendo la Corte di merito formulato il giudizio di responsabilità sulle dichiarazioni dell’offeso, costituitosi parte civile, nella sola udienza dibattimentale del 15 novembre 2012.
Il giudizio di attendibilità intrinseca del teste sarebbe stato inficiato da errore metodologico non superato dalla Corte – nella divergenza esistente tra le dichiarazioni dell’offeso in sede dibattimentale e quelle, precedenti, rese dinanzi alla giustizia sportiva e, ancora, in corso di indagine – in ragione della valorizzazione della giovane età dell’offeso e di un suo malinteso processo di maturazione.
Sarebbe poi mancato il riscontro estrinseco alla veridicità delle dichiarazioni del b. di essere stato sottoposto ad un’iniezione anomala non individuabile, se non per un operato processo di illogica inferenza, dalle concordi dichiarazioni rese dai compagni di squadra sulla diversa circostanza dell’esistenza presso il team tecnico di pratiche di somministrazione di sostanze lecite, dirette migliorare le perfomances sportive.
4.4 Vi sarebbe stata violazione di legge penale, sostanziale e processuale, in ordine al contestato concorso di persone nel reato di cui all’art. 9 I. n. 376 del 2000, quanto all’applicazione della regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio e, sul punto, vizio di motivazione.
La Corte territoriale avrebbe concluso ritenendo il V. concorrente nel reato in difetto di un suo contributo causale, al più qualificabile quale mera connivenza in ragione del ruolo rivestito dallo stesso nell’organizzazione del team sportivo, alla condotta di inoculazione dell’anomalo liquido al b., in concreto osservata dal solo B..
4.5 La Corte di merito avrebbe ritenuto il geometra V. anche in concorso con il B., questi infermiere professionale, concorrente nel reato di esercizio abusivo della professione nonostante il contrario contenuto delle dichiarazioni degli atleti che avevano escluso di aver ricevuto dal V. trattamenti riservati ad un infermiere professionale, riferendo i primi che l’imputato interveniva sporadicamente in caso di assenza del B. per consegnare agli atleti i farmaci prescritti.
5. La difesa di B.G. reitera per i cinque articolati motivi le censure già svolte dalla difesa del V., segnalando, quanto alla contestazione di esercizio abusivo della professione di infermiere professionista (quarto motivo), il difetto di una obiettiva condotta del V. riconducibile alla contestata fattispecie e comunque dell’elemento soggettivo in capo al B. premessa dell’integrazione del contestato concorso.
Diritto

1. I ricorsi proposti sono per tutti gli introdotti motivi inammissibili poiché portatori di critica manifestamente infondata a cui la Corte fiorentina ha dato congrua e corretta risposta che, come tale, si sottrae a scrutinio di legittimità.
2. Vanno innanzitutto apprezzate le questioni pregiudiziali e preliminari proposte dalle difese degli imputati per poi valutarsi quelle con cui si censura la legittimità e la congruenza della motivazione portata dalla Corte di appello a definizione della ritenuta penale responsabilità dei prevenuti, tutte congiuntamente trattate nei termini di seguito indicati, in ragione del loro comune carattere.
3. Sulla pregiudiziale di incompetenza per territorio, ritiene il Collegio di non poter far propria la soluzione offerta da questa Corte in un proprio precedente (Sez. 3, n. 27279 del 21/06/2007, Al Gadhafi, Rv. 237143) là dove si è sostenuto che il reato di assunzione di sostanze dopanti di cui alla L. n. 376 del 2000, art. 9, non si consuma nel momento dell’assunzione della sostanza vietata poiché, attesa la sua natura di reato di pura condotta e di pericolo presunto, il pericolo dell’alterazione delle prestazioni agonistiche permane fino a quando la sostanza dopante è idonea a modificare le condizioni psicofisiche e biologiche dell’atleta che l’ha assunta.
Al permanere dello stato di pericolo fino alla competizione si legherebbe il rilievo del luogo di svolgimento della gara al fine del radicamento della competenza per territorio.
Non sono condivisibili le indicate premesse e le conseguenti conclusioni.
Muovendo dal dato letterale, vero è che la norma (L. n. 376 del 2000, art. 9, comma 1) sanziona la condotta di chi “procura ad altri, somministra, assume o favorisce comunque l’utilizzo di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive..”.
Per le descritte condotte viene in considerazione anche quella di somministrazione della sostanza dopante che nella sua puntuale definizione connota il reato di assunzione di sostanze dopanti come reato a consumazione istantanea con effetti permanenti.
Ogni qualvolta da una condotta puntuale il legislatore faccia derivare un pericolo, la consumazione del reato non resta legata al permanere del pericolo là dove il suo protrarsi nel tempo non registri un aggravamento della lesione al bene protetto dalla norma.
Nel reato permanente si assiste infatti ad una progressiva compromissione del bene destinata tanto più ad aggravarsi quanto più si protragga la condotta, nella presupposta comprimibilità del bene destinato a riespandersi ove la condotta di lesione venga meno.
Nel reato di assunzione di sostanze dopanti non si registra, una volta integrata la condotta, un aggravamento del pericolo di alterazione della prestazione agonistica nel tempo Né è configurabile un ripristino della fisiologia della prestazione per cessazione della condotta una volta che sia intervenuta la somministrazione o assunzione della sostanza.
L’insensibilità al fattore tempo della condotta di pericolo pienamente ed istantaneamente dispiegatasi esclude la configurabilità di un reato permanente e rende irrilevanti le vicende successive all’assunzione o somministrazione anche ai fini della consumazione del reato e del radicamento della competenza per territorio, individuato nel luogo in cui la sostanza venne somministrata, assunta o favorita nell’assunzione secondo la molteplicità delle condotte segnate dalla norma.
La deduzione è quindi infondata e la competenza per territorio, da determinarsi, nel carattere connesso dei reati contestati, ai sensi dell’art. 12 c.p.p., lett. a) e b), avuto riguardo al più grave reato (art. 16 c.p.p., comma 1) di cui alla L. n. 376 del 2000, art. 9, è quella del luogo di somministrazione della sostanza dopante, e quindi in Empoli, come riportato in imputazione e correttamente ritenuto dalla Corte fiorentina.
2. È manifestamente infondata la deduzione di nullità del decreto di citazione a giudizio per genericità del capo di imputazione (lett. A), per il reato di cui alla L. n. 276 del 2000, art. 9, comma 1, ai sensi dell’art. 552 c.p.p., comma 1, lett. c), e art. 181 c.p.p.), non destinata in ogni caso a dialogare in modo concludente con l’impugnata sentenza.
Secondo costante giurisprudenza di legittimità, non sussiste alcuna incertezza sull’imputazione, quando il fatto sia contestato nei suoi elementi strutturali e sostanziali in modo da consentire un completo contraddittorio ed il pieno esercizio del diritto di difesa, non essendo necessaria una indicazione assolutamente dettagliata dell’imputazione stessa (ex pluribus, Sez. 3, n. 35964 del 04/11/2014, (dep. 2015), B., Rv. 264877).
La motivazione impugnata ha fatto applicazione dell’indicato principio, per richiamo ad una adeguata specificazione del capo di imputazione, rendendo non concludente la critica condotta sul punto.
L’apprezzato esercizio del diritto di difesa in ragione, anche, degli esiti assolutori riportati dagli imputati quanto al contestato capo, è poi motivazione adottata dalla Corte fiorentina rispetto alla quale non risultano confrontarsi efficacemente i motivi dei proposti ricorsi.
3. È manifestamente infondato il motivo proposto dall’imputato V.C., in proprio, circa la inidoneità della notifica dell’estratto contumaciale della sentenza di primo grado, in assenza della notifica dell’avviso di deposito della sentenza (art. 548 c.p.p., comma 2), a far decorrere il termine di impugnazione.
Come rilevato dalla Corte di appello la sentenza notificata per estratto contumaciale all’imputato riporta il timbro della cancelleria che indica la data di deposito della stessa e come tale soddisfa, nei suoi articolati contenuti, le finalità della notifica dell’avviso di deposito.
Come ancora rilevato nell’impugnata sentenza, con ragionamento che passa indenne allo scrutinio di legittimità, non si registra per la concreta fattispecie una ipotesi di nullità, nella tassatività delle stesse ai sensi dell’art. 177 c.p.p., registrandosi piuttosto una mera irregolarità dell’atto rispetto ai contenuti di cui all’art. 548 c.p.p., comma 2, non destinata, come tale, a pregiudicare il diritto di difesa dell’imputato.
3. È inammissibile perché manifestamente infondata e perché rinviene nell’impugnata sentenza debita composizione e risposta, la dedotta, comune alle difese dei prevenuti, questione del travisamento della prova e comunque del cattivo governo della stessa relativamente alla deposizione testimoniale della persona offesa b.e..
La Corte di merito muove, nell’apprezzamento della prova, dalla corretta premessa, in più occasioni affermata dalla giurisprudenza di legittimità, che le dichiarazioni della persona offesa sentita quale testimone, ed a cui non si applicano le regole dettate dall’art. 192 c.p.p., comma 3, possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, più penetrante e rigorosa rispetto alle dichiarazioni di qualsiasi testimone, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto (Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, Manzini, Rv. 265104).
È congrua ed efficace la motivazione resa a sostegno della credibilità del dichiarante quanto al processo di maturazione conosciuto da questi, appena diciottenne all’epoca dei fatti, nel corso del giudizio.
La Corte di merito evidenzia le asprezze del confronto dibattimentale di primo grado sostenuto dal b. con la difesa degli imputati e la capacità del teste di rendere dichiarazioni coerenti e mantenute ferme durante l’esame nella sopravvenuta sua scelta di adottare un atteggiamento di piena e leale collaborazione con la giustizia.
La stessa motivazione riesce a dare correttamente conto dei non convergenti contenuti delle dichiarazioni rese dall’offeso in corso di indagine e, prima ancora, durante il procedimento apertosi dinanzi della giustizia sportiva ai danni degli imputati, quali dirigenti dell’associazione, anche nella evidenziata scelta del primo di ottenere, per la sopraggiunta decisione, una riduzione della squalifica in sede disciplinare.
Evidenza, quest’ultima, debitamente non intesa per l’impugnata motivazione come in grado di corrompere la genuinità del narrato e, comunque, ricondotta a quel più ampio processo conosciuto dal b. di acquisita consapevolezza dell’accaduto nel superamento di ogni pregresso affidamento riposto nella dirigenza dell’associazione.
Nella non necessità del riscontro in esterno, il richiamo pure operato dalla Corte di appello di Firenze alle dichiarazioni rese dagli altri atleti sull’esistenza di pratiche medicali contra legem finalizzate a migliorare le prestazioni sportive, vale a tratteggiare ad colorandum, in modo rilevante, l’esistenza di una condotta in cui si inseriva quella contestata ai prevenuti al capo A).
L’ulteriore tema della concreta efficacia della contestata somministrazione dell’hCG, consistente in un mascheramento degli effetti di un pregresso trattamento dopante dell’atleta, non vale a delineare una materia sfuggita alla valutazione del giudice del merito e non risulta capace di incrinarne, per vizio di motivazione, la tenuta logica.
Vale sul punto l’efficacia dell’hCG di mezzo destinato a mascherare gli effetti di una pregressa assunzione di sostanza dopante, argomento che speso in ricorso, sortisce esso stesso un effetto di inconcludenza della critica.
La censura contenuta nel ricorso dell’imputato V. su di un mancanza di interesse del prevenuto alla condotta di inoculazione della sostanza proibita ad b.e. osservata dal correo B., non è capace di evidenziare alcuna contraddizione nella motivazione impugnata per la piana evidenziata posizione di punta rivestita dall’atleta all’interno della società dell’(OMISSIS), rappresentata dal V. e del connesso interesse di questi al raggiungimento del risultato agonistico dell’atleta.
I motivi di ricorso articolati quanto alle modalità di formazione e di valutazione della prova sono conclusivamente inammissibili per manifesta infondatezza ed aspecificità della critica condotta anche quanto al dedotto travisamento della prova nella non configurabilità, per la scrutinata figura come definita da costante giurisprudenza di questa Corte, di una informazione rilevante che non esiste nel processo o di una omessa valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia (tra le ultime: Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499).
4. Medesimo giudizio di inammissibilità si accompagna anche alla valutazione dei motivi con cuì si contesta dagli imputati il concorso nel reato di cui all’art. 348 c.p., per essere l’uno, il B., infermiere professionale e quindi in possesso di regolare titolo abilitativo, ed il V., geometra, mero connivente.
Si tratta invero della reiterazione di una critica definita per l’impugnata sentenza con ragionamento immune da vizio logico censurabile in questa sede ed in cui non si colgono le dedotte erroneità nell’interpretazione della norma penale (art. 348 c.p.), nella evidenziata non episodicità, ma continuatività ed abitualità dell’attività congruamente descritta come svolta pure dal V., anche quale coordinatore, e come tale debitamente qualificata come di abusivo esercizio della professione infermieristica, con superamento, per il descritto e debitamente apprezzato quadro di prova, del canone di giudizio di cui all’art. 533 c.p.p..
5. Alla inammissibilità dei ricorsi segue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, di una somma in favore della cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.500,00.

P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro 1.500,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 22 giugno 2017.
Depositato in Cancelleria il 28 agosto 2017

Disclaimer: Contenuti a scopo informativo e divulgativo che non sostituiscono il parere legale di un avvocato. Per una consulenza legale personalizzata contatta lo studio dell’avv. Gianluca Lanciano: Clicca e compila il form · WhatsApp 340.1462661 · Chiama 340.1462661 · Scrivi info@miolegale.it
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