SENTENZA
sul ricorso presentato dagli Aw. ti G.B.,P.P.. ed E.B. avverso la decisione in data 22/11/10 , con la quale il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Macerata ha inflitto loro la sanzione disciplinare dell’ avvertimento;
è presente l’avv. P.P.. in proprio e nella qualità di difensore dell’avv. E.B.. ;
Per il Consiglio dell’Ordine, regolarmente citato, nessuno è presente;
Udita la relazione del Consigliere avv. Francesco Marnilo di Condojanni ;
Inteso il P.M., il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
Inteso l’avv. P.P.., il quale ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
FATTO
Con ricorso presentato al COA di Macerata il 9.4.2011 gli avv.ti G.B., nato a (omissis) P.P.., nato a v, ed E.B.., nataa (omissis) ,impugnavano la decisione del COA di Macerata del 22.11.2010, depositata il 20.1.2011 e notificata il 22.3.2011, con la quale veniva irrogata ai ricorrenti la sanzione dell’avvertimento, essendo stato ritenuto fondato il
seguente capo di incolpazione: “per aver inserito nel sito (omissis) l’elenco dei principali
clienti assistiti in via continuativa e dei principali clienti assistiti per progetti specifici, il tutto in violazione deH’art. 6 e dell’art. 17 del codice deontologico, con particolare riferimento per quest’ultimo al capoverso che vieta di rendere pubblici i nominativi dei denti; condotta rilevata nell’ottobre del 2009, reiterata e continuata sino alla data odierna (16.7.2010), non essendo stati rimossi dal sito web gli elementi di cui sopra”.
Il procedimento era stato aperto d’ufficio dal COA nella seduta del 16.7.2010 e rubricato al n.640. Gli incolpati, con memorie e comunicazioni del 23.10.09, 15.06.10 e 18.09.10, contestavano la insussistenza dell’addebito, allegando copiosa documentazione ed assumendo che l’eliminazione del divieto di pubblicizzazione della propria attività professionale, introdotta dal c.d. “Decreto Bersani”, avrebbe abrogato l’art. 17 del codice deontologico, come rilevato da una pronuncia del TAR per l’Emilia Romagna, relativa ad una vertenza tra un odontoiatra e l’Ordine dei Medici.
All’udienza del 22.11.2010 comparivano personalmente gli incolpati che rappresentavano espressamente che avrebbero accettato le decisioni del Consiglio, eventualmente adeguandosi con la rimozione dal sito dell’elenco dei clienti, ferma restando la facoltà di impugnazione.
All’esito del giudizio, il COA di Macerata riteneva sussistente la violazione contestata affermando che, nonostante le aperture introdotte dal c.d. “Decreto Bersani”, il testo deN’art. 17 C.D.F vietava ugualmente la pubblicazione e la rivelazione al pubblico dei nomi dei clienti e, avuto riguardo alla particolarità della materia trattata ed alla disponibilità manifestata dagli incolpati di uniformarsi alla decisione del Consiglio, comminava agli stessi la sanzione deN’avvertimento.
Con il ricorso ritualemente depositato insorgevano gli incolpati e chiedevano la riforma dell’impugnata decisione, “riconoscendo che la condotta per la quale è stato aperto il presente procedimento disciplinare non riveste gli estremi dell’illecito disciplinare e comunque non è oggetto della potestà disciplinare attribuita agli organi forensf’, con conseguente pronuncia assolutoria in loro favore.
Il ricorso è affidato a tre motivi.
Con il primo motivo si lamenta la sostanziale abrogazione deM’art. 17 C.D.F., in quanto asseritamente configgente con le disposizioni di cui all’art.2 del c.d. “Decreto Bersani”, con le indicazioni contenute nel provvedimento n. 19435 adottato in data 15.01.2009 dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, con le previsioni adottate da altri Ordini professionali (quali, su tutti, quello dei Dottori Commercialisti).
Con il secondo motivo, sulla sorta della decisione del TAR Emilia Romagna n.16 del 12.01.2010, si sostiene che il COA di Macerata (come qualunque altro Giudice disciplinare forense) non avrebbe il potere di verificare la conformità deontologica della pubblicità informativa realizzata dagli iscritti, potendo solo accertare la veridicità delle informazioni rese al pubblico.
Con il terzo motivo si lamenta la mancata integrazione dell’illecito di cui all’art.6 C.D.F., non concretando – la pubblicazione dei nominativi dei Clienti – una condotta né sleale né scorretta.
All’udienza dibattimentale del 26.06.2015 il ricorso veniva posto in decisione.
DIRITTO
I motivi addotti non sono fondati e deve quindi essere confermata la responsabilità disciplinare e la sanzione inflitta.
I fatti per cui è procedimento sono stati esattamente evidenziati nella decisione del Consiglio dell’Ordine e sono accertati, non contestati e consistenti “nell’aver inserito nel sito (omissis) l’elenco dei principali clienti assistiti in via continuativa e dei principali clienti
assistiti per progetti specifici”.
Con il primo ed il secondo motivo, gli incolpati assumono che la condotta censurata dall’art. 17 codice deontologico, e in particolare il divieto di pubblicazione dei nominativi dei propri clienti, ancorché consenzienti, deve ritenersi abrogata alla luce della normativa oggi vigente (art.2 D.L. 4.7.2006 n.223, c.d. Decreto Bersani). A sostegno della propria tesi la difesa degli incolpati cita la nota sentenza della Suprema Corte n.65 del 15.1.2007 secondo cui la nuova disciplina sull’attività pubblicitaria “è incompatibile con tutti i divieti anche parziali di pubblicità informativa, sia normativi che deontologici”.
Giova qui ricordare la giurisprudenza di questo Consiglio, che ha precisato che le norme deontologiche relative alla pubblicità (art.li 17 e 17 bis) devono essere lette e interpretate nel quadro generale del contesto normatvo in cui sono inserite. Ne discende che la pubblicità informativa, essendo consentita nei limiti fissati dal Codice Deontologico deve, dunque, essere svolta con modalità che non siano lesive della dignità e del decoro propri di ogni pubblica manifestazione dell’avvocato, ed in particolare di quelle manifestazioni dirette alla clientela reale o potenziale (cfr. Con.Naz.Forense, 6.6.2013 n.89 – Cons.Naz.Forense, 20.3.2014 n.39).
Al riguardo, l’art.2 del D.L. 223/2006, abrogando le disposizioni che non consentivano la c.d. pubblicità informativa relativamente alle attività professionali, non ha affatto eliminato l’art.38 del r.d.l. 1578/1933, il quale punisce comportamenti non conformi alla dignità ed al decoro professionale. Il Codice Deontologico, infatti, a seguito dell’entrata in vigore della normativa nota come “Bersani”, consente non una pubblicità indiscriminata (ed in particolare non comparativa ed elogiativa) ma la diffusione di specifiche informazioni sull’attività, anche sui prezzi, i contenuti e le altre condizioni di offerta di servizi professionali, al fine di orientare razionalmente le scelte di colui che ricerchi assistenza (cfr. Cons.Naz.Forense, 15.10.2012 n.152).
Or nella specie, gli incolpati non hanno limitato l’informazione sull’attività professionale al solo profilo conoscitivo sui servizi offerti, ma hanno rivelato i nomi dei loro clienti, violando il divieto formalmente tipizzato nell’art. 17 codice deontologico e venendo meno al dovere di riservatezza posto a carico dell’avvocato e posto dall’ordinamento a tutela dell’interesse pubblico. Così operando gli incolpati hanno utilizzato, per l’acquisizione della clientela, modi non conformi alla correttezza, decoro e dignità che la funzione sociale della professione impone.
Il disvalore deontologico consistente nel pubblicare sul sito internet l’elenco dei clienti, non solo non risulta abrogato dalla normativa c.d. “Bersani”, ma successivamente ad essa, in sede di rivisitazione del Codice Deontologico in ossequio alla legge 247/2012, ha trovato puntuale conferma nell’art.35 co.8 del Nuovo Codice Deontologico relativo al “dovere di corretta informazione”. E questo dato oggettivo e incontroverso priva di pregio i richiami, contenuti nel ricorso, all’indagine conoscitiva dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, conclusasi con provvedimento n. 19435 del 15.1.2009, così come non appare pertinente al caso in esame il riferimento alla sentenza n.16 del 12.1.2010 del TAR dell’Emilia Romagna, secondo cui all’Ordine professionale “…residua solo un potere di verifica della veridicità del contenuto della pubblicità al fine di effettuare eventuali segnalazioni agli organi competenti”.
Al riguardo si osserva in primo luogo che la peculiarità e specificità della professione forense, in virtù della sua funzione sociale, impongono tuttavia, conformemente alla normativa comunitaria ed alla sua costante interpretazione da parte della Corte di Giustizia, le limitazioni connesse alla dignità ed al decoro della professione, la cui verifica è affidata dall’ordinamento al potere-dovere dell’ordine professionale (cfr. Cons.Naz.Forense, 2.3.2012 n.39).
In secondo luogo la citata decisione del TAR per l’Emilia Romagna riguarda l’attività medica che ha sempre avuto regolamentazione diversa da quella forense, essendo, com’è noto, consentita sin da tempi anticedenti alle c.d. “liberalizzazioni” la pubblicità sugli organi di informazione e riviste.
Con il terzo e ultimo motivo di ricorso gli incolpati lamentano la mancata integrazione dell’illecito di cui all’art.6 C.D.F., non concretando a loro avviso la pubblicazione dei nominativi dei clienti, una condotta né sleale né scorretta.
Neppure quest’ultima censura coglie nel segno, poiché il dovere di riservatezza nei rapporti fra cliente e professionista è esplicazione del decoro e dignità che la funzione sociale della professione impone all’avvocato ed è dato a tutela dell’interesse pubblico e garantisce lo svolgersi dell’attività legale nell’ottica dell’attuazione dell’ordinamento.
Pertanto all’avvocato è inibito rivelare i nomi dei propri clienti non essendo possibile neppure esporli in vetrina (cfr. Cons.Naz.Forense, 2.3.2012 n.39).
Affermata dunque la responsabilità dei ricorrenti ritiene il Consiglio Nazionale Forense di confermare la sanzione minima inflitta dal COA di Macerata.
P.Q.M.
Il CNF, visti gli art.li 38, 40 e 414 del R.D.L. 27.11.1933 n.1578 e gli art.li 59 e segg. del R.D. 22.1.1934 n.37; rigetta il ricorso.
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Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 15 luglio 2015.
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