FATTO
Le signore D.D.N. e F.D.C. hanno impugnato la sentenza con la quale il T.A.R. della Campania, dopo aver dichiarato improcedibile il ricorso presentato dalle stesse avverso un ordine di demolizione e di pagamento di sanzione pecuniaria emesso dal Comune di Napoli in relazione ad abusi edilizi posti in essere presso un appartamento del quale la prima istante era proprietaria e la seconda usufruttuaria, ha invece respinto i motivi aggiunti proposti avverso un ulteriore provvedimento di reiezione dell’istanza di accertamento di conformità avanzata in relazione a parte di detti abusi.
Con unico articolato motivo, le appellanti hanno dedotto: error in procedendo ed error in judicando sulla valutazione dei presupposti alla base della decisione; insufficienza, erroneità e contraddittorietà della motivazione; apoditticità; illogicità, ingiustizia ed irragionevolezza manifeste; perplessità (con riferimento alla ritenuta necessità che fossero le stesse istanti a doversi munire del nulla osta della competente Soprintendenza ai Beni Culturali, nonché all’erronea affermazione del T.A.R. secondo cui il Comune nel provvedimento impugnato non si era espresso in ordine alla natura e consistenza delle opere abusive).
Resiste il Comune di Napoli, il quale assume l’infondatezza dei motivi di gravame e conclude per la conferma della sentenza impugnata.
All’udienza del 5 giugno 2012, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Le odierne appellanti, signore D.D.N. e F.D.C., sono rispettivamente proprietaria e usufruttuaria di un appartamento sito in Napoli al vico Santo Spirito di Palazzo, in relazione al quale l’Amministrazione comunale ha contestato la realizzazione di una serie di abusi edilizi, ingiungendo loro il ripristino dello stato dei luoghi e il pagamento della sanzione pecuniaria.
Dopo aver impugnato il provvedimento sanzionatorio e ripristinatorio suindicato, le predette hanno presentato al Comune un’istanza di parziale accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, nr. 380, che è stata però respinta a cagione della mancata previa acquisizione del nulla osta della competente Soprintendenza ai Beni Culturali, essendo stati eseguiti gli abusi su un immobile di rilevante valore storico e architettonico.
Il diniego di sanatoria è stato impugnato dalle istanti con motivi aggiunti all’originario ricorso proposto dinanzi al T.A.R. della Campania.
Quest’ultimo, con la sentenza oggetto dell’odierno gravame, ha da un lato dichiarato improcedibile il ricorso introduttivo, sulla scorta dei noti principi per cui la presentazione di istanza di sanatoria comporta la perdita di efficacia dei provvedimenti ripristinatori e sanzionatori eventualmente adottati; ha invece respinto i motivi aggiunti, ritenendo insussistenti i vizi lamentati in relazione al diniego di sanatoria.
2. Ciò premesso, l’appello proposto avverso questa seconda parte della sentenza in epigrafe è infondato.
3. In estrema sintesi, assumono le appellanti che illegittimamente il Comune avrebbe ritenuto carente la pratica di sanatoria a causa della mancata acquisizione del nulla osta della Soprintendenza, in quanto tale acquisizione sarebbe stata a loro dire a carico della stessa Amministrazione comunale: ciò in forza del disposto dell’art. 5 del d.P.R. nr. 380 del 2001, il quale pone a carico dello Sportello unico per l’edilizia “gli incombenti necessari ai fini dell’acquisizione, anche mediante Conferenza di servizi ai sensi degli articoli 14, 14 bis, 14 ter, 14 quater della legge 7 agosto 1990, n. 241, degli atti di assenso, comunque denominati, necessari ai fini della realizzazione dell’intervento edilizio”.
Il primo giudice, condividendo sul punto le difese dell’Amministrazione comunale, ha ritenuto che quest’ultima disposizione si applichi soltanto agli interventi di nuova edificazione, e non anche a quelli a sanatoria, con interpretazione che le odierne appellanti contestano vivacemente.
Al riguardo, la Sezione reputa che le conclusioni del T.A.R. siano esatte, ancorché sulla base di un diverso – e, forse, assorbente – ordine di considerazioni.
Ed invero, nella specie l’autorizzazione paesaggistica necessaria per le opere realizzate sull’immobile per cui è causa deve essere rilasciata ex post, e pertanto trova applicazione l’art. 167 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, nr. 42 (“Codice dei beni culturali e del paesaggio”), norma entrata in vigore in epoca successiva al d.P.R. nr. 380 del 2001, la quale manifestamente s’incentra sull’onere dell’interessato di richiedere l’autorizzazione alla competente Soprintendenza.
Tale previsione, peraltro, conferma il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui il procedimento per il rilascio del permesso di costruire e quello per il nulla osta di compatibilità paesaggistica dell’intervento, ancorché connessi, restano due procedimenti ontologicamente e logicamente distinti, avendo a oggetto la tutela di beni diversi ed essendo articolati sulla base di competenze diverse (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. VI, 28 dicembre 2011, nr. 6878).
Ne consegue che il richiamato art. 5 del d.P.R. nr. 380 del 2001, nell’assegnare allo Sportello unico per l’edilizia l’acquisizione di tutti gli “atti di assenso, comunque denominati, necessari ai fini della realizzazione dell’intervento edilizio”, si riferisce certamente a tutti i pareri e nulla osta endoprocedimentali intesi al rilascio del permesso di costruire, ma non può estendersi anche a un’autorizzazione diversa ed esterna rispetto a tale procedimento, quale è l’autorizzazione paesaggistica eventualmente richiesta per l’esecuzione dell’intervento.
4. Del pari infondata è l’ulteriore subcensura di parte appellante, laddove si assume l’erroneità della sentenza impugnata per aver ritenuto che nell’impugnato diniego non fosse contenuto alcun rilievo in ordine alla natura e consistenza degli interventi.
Infatti, dal tenore complessivo del provvedimento si evince chiaramente che la ragione unica della reiezione dell’istanza di sanatoria è consistita nell’assenza del nulla osta della Soprintendenza, e pertanto ogni altra considerazione eventualmente contenuta nella motivazione del diniego va considerata ultronea e priva di concreta incidenza sulle determinazioni del Comune.
5. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate equitativamente in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Condanna le appellanti al pagamento, in favore del Comune di Napoli, delle spese del presente grado di giudizio che liquida in complessivi euro 3000,00 oltre agli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 giugno 2012 con l’intervento dei magistrati: (omissis=)
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