FATTO e DIRITTO
La sentenza appellata, n. 1161 / 2002 emessa dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia , sezione prima, ha respinto, previa loro riunione, i ricorsi proposti in primo grado dall’attuale appellante per l’annullamento :a) del decreto 24 ottobre 1996 , n. 768 / 96 / Disciplina, con cui il Direttore Regionale delle Entrate ha disposto il licenziamento senza preavviso dell’appellante con decorrenza dal 28 settembre 1994 (ricorso n. 1586 / 1997); b) della decisione 24 luglio 1997 n. 58 del Collegio arbitrale di disciplina che respinto il ricorso proposto dall’appellante innanzi a quel Collegio nonché del decreto del 2 settembre 1997 del Direttore Regionale delle Entrate di conferma del licenziamento ( ricorso n. 4874 / 1997).
In particolare il primo giudice ha ritenuto , dopo aver affermato la permanenza della giurisdizione del giudice amministrativo sulle controversie di pubblico impiego decise da Collegi arbitrali di disciplina regolarmente costituiti almeno con riguardo al periodo transitorio ( prima del 30 giugno 1998 ) quando è divenuto efficace il trasferimento delle relative controversie alla giurisdizione ordinaria e ciò sulla base degli articoli 59 e 72 del D. Lvo n. 29 del 3 febbraio 1993 , che i ricorsi suddetti fossero infondati, quanto alla decisione arbitrale, perché poteva essere impugnata solo per vizi del consenso non ricorrenti nel caso di specie ed , inoltre, in relazione ai provvedimenti impugnati per la inconsistenza delle censure avanzate da parte ricorrente.
Nell’appello qui in esame, mentre sulla prima questione si lamenta la sostanziale riduzione dell’area di tutela riservata al dipendente pubblico ove si dovesse ritenere corretta la tesi accolta dal giudice di primo grado che restringe la possibilità di impugnare le decisioni arbitrali solo con riguardo ai vizi del consenso e si chiede , quindi, in questa sede un esame esaustivo delle censure svolte contro i provvedimenti impugnati ed anche contro il lodo arbitrale, si ribadiscono le censure di merito svolte nella precedente fase di giudizio.
Il Collegio ritiene che la infondatezza delle censure qui riproposte consenta di prescindere dalla questione dei motivi di impugnazione proponibili contro il lodo arbitrale perché , comunque , si deve giungere alla reiezione delle tesi dell’appellante.
Per una migliore comprensione del problema posto con l’appello indicato in epigrafe si devono preliminarmente precisare alcune circostanze in punto di fatto.
In effetti risulta con chiarezza dagli atti di causa , ed è rappresentato nel preambolo del provvedimento di licenziamento dell’appellante all’epoca funzionario dell’Amministrazione finanziaria ( pagina 1 , secondo capoverso, e pagina 2 , secondo e terzo capoverso), che: a) con sentenza del GIP del Tribunale di Milano n. 1015 del 10 maggio 1996 l’appellante è stato condannato ad un anno e due mesi di reclusione per concorso in corruzione in quanto nel corso di verifiche ispettive effettuate presso le sedi di due rinomate aziende di moda ha accettato somme di denaro , segnatamente £. 50.000.000 e £. 80.000.000, dalle Società sottoposte a verifica contabile al fine di ” favorire la società verificata attraverso l’omissione di verbalizzazione di rilievi fiscali a carico della società o in cambio della constatazione in atti di situazioni contabili favorevoli alla società”; b) la prova dei fatti addebitati all’appellante discende direttamente dagli interrogatori del titolare di una delle due aziende ( del 24 settembre 1994 ) e da quelli a cui è stato sottoposto personalmente l’appellante ( in data 29 settembre 1994 e 23 novembre 1994) nei quali le circostanze suddette sono state ammesse.
È evidente, a giudizio del Collegio, che la gravità dei fatti contestati, che di certo non consentiva la prosecuzione anche solo temporanea del rapporto di servizio con l’Amministrazione finanziaria e giustificava il licenziamento senza preavviso, nonché la loro immediata evidenza risultante dalla sola lettura degli atti processuali, riducono, legittimamente a giudizio del Collegio, gli ambiti della valutazione autonoma che in sede disciplinare deve intervenire in ordine ai fatti accertati in sede penale alla sola presa d’atto e conoscenza dei fatti stessi ed alla loro esposizione nei provvedimenti impugnati con l’adozione delle conseguenti misure cautelari e sanzionatorie .
Sono, pertanto, prive di pregio le censure con cui la difesa dell’appellante pone in evidenza che non vi sarebbe stata una adeguata considerazione dei fatti in questione in sede di procedimento disciplinare ed inoltre che l’accertamento conseguente ad una sentenza emessa a tenore dell’articolo 444 del codice di procedura penale ( soprattutto se ,come è avvenuto nel caso di specie, emessa prima della modifica legislativa di cui all’articolo 445 del c. p. p. intervenuta con l’articolo 2 della legge n. 97 del 27 marzo 2001 che ha eliminato la esclusione della efficacia delle sentenze di patteggiamento nei giudizi disciplinari ), non potrebbe essere assunto a fondamento della sanzione disciplinare più grave che implica la risoluzione del rapporto di lavoro senza una valutazione piena ed autonoma dei fatti contestati.
L’unica difesa che avrebbe potuto in qualche modo scalfire la consistenza granitica dei fatti accertati in sede penale , la negazione esplicita di aver ricevuto somme di denaro in sede di verifica presso le aziende di cui si è detto, non è stata avanzata neanche in questa fase di giudizio evidentemente perché contraddetta dalle stesse dichiarazioni dell’appellante rese in sede di procedimento penale.
Le considerazioni svolte nell’appello circa la legittimità delle soluzioni tecniche adottate nel corso delle verifiche contabili e fiscali rimangono prive di rilievo perché il punto centrale della controversia non sta nell’esattezza di dette soluzioni, siano state proposte o accettate dall’appellante ma , invece, risiede nella circostanza che le stesse siano state accompagnate dalla percezione di consistenti somme di denaro da parte dell’appellante .
Sono infondate anche le altre censure svolte nell’appello: a) il procedimento disciplinare è stato avviato il 2 luglio 1996 quindi tempestivamente entro venti giorni dalla conoscenza della sentenza penale di condanna infatti l’Amministrazione prima di avere notizia di tale provvedimento ( notizia acquisita solo il 25 giugno 1996) non poteva di certo avviare una iniziativa disciplinare seria senza conoscere l’entità dei fatti accertati in sede penale e graduare conseguentemente la sanzione da irrogare; b) l’applicazione delle norme del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro ( CCNL) sottoscritto il 16 maggio 1995 su autorizzazione data con DPCM del 3 marzo 1995 , segnatamente l’articolo 25, comma 5, lettera d), che prevede tra le sanzioni irrogabili ai dipendenti statali il licenziamento senza preavviso, appare al Collegio legittima senza che vi sia alcun profilo di applicazione retroattiva della norma, infatti nell’ordinamento previgente vi era sanzione analoga, la destituzione, che pur non potendo operare di ufficio come del resto il licenziamento di cui all’articolo 25 citato, era sostanzialmente equivalente per gli effetti espulsivi a quella irrogata nei confronti dell’appellante in forza della norma qui richiamata del CCNL; c) la decorrenza del licenziamento in un caso in cui è , oggettivamente esclusa per le ragioni sin qui espresse la possibilità di prosecuzione del rapporto di impiego , può legittimamente essere ricondotta al momento della sospensione cautelare d) la circostanza che l’istruttoria disciplinare sia stata condotta da un pari grado dell’appellante è del tutto ininfluente in mancanza di prova che da tale circostanza sia derivato un pregiudizio per il dipendente sottoposto a procedimento disciplinare; e) non vi è stata genericità degli addebiti nella fattispecie qui esaminata per le considerazioni espresse in precedenza sulla oggettiva evidenza degli addebiti mossi all’appellante.
La peculiarità della fattispecie e la considerazione che la sentenza di patteggiamento su cui si fonda la reiezione dell’appello è intervenuta prima che venisse riconosciuta a livello normativo ( con la citata legge n. 97 / 2001) la efficacia di dette sentenze nei giudizi amministrativi e nei procedimenti disciplinari in corso inducono il Collegio a compensare le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale , sezione quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso in appello di cui in epigrafe lo rigetta con conferma della sentenza appellata.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 ottobre 2009 con l’intervento dei Signori: