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Consiglio di Stato, sez. V, 10 luglio 2008, n. 3428

Redazionedi Redazione10 Luglio 2008
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iscrizione contemporanea a due albi professionali

FATTO

Oggetto dell’appello proposto dal dott. Ivan Scaramuzzino è la sentenza n. 361 del 26 giugno 1998, con la quale il Tar per la Calabria- Sede di Catanzaro ha accolto, limitatamente al periodo dal 1° aprile 1990 al 19 dicembre 1990, il ricorso da lui proposto per il riconoscimento del diritto alla maggiore retribuzione per le mansioni superiori, , rispetto alla qualifica di aiuto corresponsabile, prestate nella funzione di primario del servizio di radiologia del presidio ospedaliero di Soveria Minnelli dal 1° aprile 1990 al 23 settembre 1991.
Il primo giudice ha motivato la propria decisione con il richiamo alla circostanza che, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 121 del d.p.r. 28 novembre 1990 n. 384 , sarebbe stato necessario per ottenere le differenze retributive un provvedimento formale di incarico per l’espletamento di mansioni superiori su posto vacante e disponibile , mentre nella fattispecie sarebbe stato dato un incarico di mera sostituzione temporanea del primario ai sensi dell’art. 7 del d.p.r. 27 marzo 1969 n. 128. .
L’appellante contesta l’assunto del Tar e chiede la riforma della sentenza.
Si è costituita in giudizio per resistere l’ASL n. 6 di Lamezia Terme (cui è poi subentrata l’Azienda Sanitaria Provinciale di Catanzaro), che ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità dell’appello per non essere stata chiamata in causa la Regione Calabria (cui farebbero carico i rapporti obbligatori, che , come quello che viene in considerazione nel caso di specie, facevano già capo alle soppresse USL), chiedendo poi che la pretesa dell’attuale appellante venisse disattesa , anche nella parte riconosciuta fondata dal Tar.
DIRITTO
1. Da disattendere è l’eccezione di inammissibiltà dell’appello per non essere sta chiamata in causa la Regione Calabria.
Va infatti rilevato che l’appello è stato notificato sia alla ASL n. 6 di Lamezia Terme presso il procuratore costituito, sia al Direttore Generale di detta ASL, nella sua qualità di commissario liquidatore della disciolta USL di Lamezia Terme, presso il suo domicilio.
Orbene, anche a voler prescindere dalla circostanza che, trattandosi di controversia concernente un dipendente rimasto in servizio ancora presso la ASL, quest’ultima potrebbe ritenersi legittimata alla controversia (in tal senso Cons. Stato, sez. V 4 novembre 1997 n. 1250), è stato comunque chiarito che per effetto della soppressione delle unità sanitarie locali e della conseguente istituzione delle aziende unità sanitarie locali (aventi natura di enti strumentali della Regione), si è realizzata una fattispecie di successione “ex lege” delle regioni in tutti i rapporti obbligatori facenti capo alle ormai estinte Usl, con conseguente esclusione di ogni ipotesi di successione in universum ius delle Asl alle preesistenti Usl Tuttavia tale successione delle regioni è caratterizzata, ai sensi dell’art. 6 della legge n. 724 del 1994, da una procedura di liquidazione, che è affidata ad un’apposita gestione stralcio, la quale, strutturalmente e finalisticamente diversa dall’ente subentrante ed individuata dalla legge nell’ufficio responsabile della medesima unità sanitaria locale a cui si riferivano i debiti e i crediti inerenti alle gestioni pregresse, usufruisce della soggettività dell’ente soppresso (che viene prolungata durante la fase liquidatoria), ed è rappresentata dal direttore generale della nuova azienda sanitaria nella veste di commissario liquidatore. (Cassazione, Sez. I civile,20 settembre 2006 n. 20412).
Pertanto, l’appello, essendo stato notificato anche al Commissario liquidatore, deve in ogni casi considerarsi ritualmente proposto.
2. Inammissibile deve ritenersi la richiesta dell’amministrazione appellata di rimettere in discussione la parte della sentenza favorevole all’appellante, in quanto una tale richiesta andava proposta con rituale e tempestivo appello e non con semplice controricorso non notificato alla controparte.
3. Nel merito l’appello è fondato.
Ed invero una volta che, come nella fattispecie, il posto si è reso vacante, lo svolgimento delle mansioni primariali, o figura equiparata, da parte di chi si trovi in posizione funzionale intermedia comporta, secondo ormai costante orientamento di questa Sezione (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 12 aprile 2005, n. 1640; 20 ottobre 2004 n. 6784; 16 settembre 2004 n. 6009; 2 settembre 2004 n. 5740; 12 maggio 2003 n. 2507; 5 novembre 2002 n. 6017; 20 ottobre 2000 n. 5650; 18 agosto 1998 n. 1270), il riconoscimento del relativo trattamento economico, indipendentemente da ogni atto organizzativo da parte dell’Amministrazione, in quanto non è raffigurabile l’ipotesi di una struttura sanitaria che rimanga priva dell’organo di vertice responsabile dell’attività esercitata nel suo ambito.
Tale conseguenza discende, innanzitutto, dall’art. 29 del d.p.r. 20 dicembre 1979, n. 761, il quale dispone nel senso (comma 2) che in caso di esigenze di servizio, l’impiegato del Servizio sanitario nazionale “può eccezionalmente essere adibito a mansioni superiori”, che l’assegnazione non può eccedere i sessanta giorni nell’anno solare e che (comma 3) non costituisce esercizio di mansioni superiori la sostituzione di personale in posizione funzionale più elevata, quando la sostituzione rientri fra i compiti ordinari di quella sottostante, sicché, per converso, come ha posto in luce la giurisprudenza, non può rientrare nelle ipotesi descritte l’esercizio di mansioni per vacanza del posto, di tal che la protrazione dell’attività è riferibile unicamente ad inerzia del datore di lavoro e non può essere fatta ricadere sul dipendente che è tenuto ad osservare l’obbligo fattogli dalla legge; va, inoltre, considerato il disposto dell’art. 121, comma 7, del d.p.r. 28 novembre 1990, n. 384, ai sensi del quale l’incarico di mansioni superiori comporta il compenso, eccetto che per i primi sessanta giorni, per un periodo fino a sei mesi, per cui, anche in relazione a questa regola, il superamento del termine di sei mesi, come fatto riconducibile ad attività e ad obblighi imposti alla amministrazione, e da questa non osservati, non fa venir meno lo svolgimento di mansioni, che vanno, perciò, riconosciute sul piano economico, sempre in dipendenza dell’obbligo di prestazione gravante sul medico, non rilevando se le stesse siano o meno esercitate in modo prevalente.
Infatti, la stessa giurisprudenza considera che il trattamento retributivo corrispondente a mansioni superiori spetta al sanitario anche quando l’incarico si protragga oltre il termine massimo di sei mesi previsto dall’art. 121 comma 7 d.p.r. 28 novembre 1990 n. 384, posto che quest’ultima previsione normativa si limita a vietarne il rinnovo alla scadenza del periodo massimo di sei mesi, ma non preclude il riconoscimento della spettanza delle differenze retributive quando l’amministrazione, contravvenendo a tale divieto, rinnovi l’incarico o permetta la prosecuzione dell’espletamento delle mansioni superiori anche oltre il tempo massimo previsto (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 29 gennaio 2004, n. 298).
Nella fattispecie sussisteva poi in ogni caso, come rettamente osservato dall’appellante, anche un idoneo atto di conferimento della mansioni non limitato ad una mera sostituzione temporanea, giacché la deliberazione 27 agosto 1990 n. 740, indipendentemente dalle norme citate nella premesse, aveva sostanzialmente conferito un incarico per l’espletamento di funzioni relative a posto vacante, essendo stato disposto che l’interessato dovesse svolgere le funzioni di primario dal 1°aprile 1900 ” fino alla copertura del posto di primario”.
Né può assumere rilevanza al riguardo la circostanza che nell’atto di incarico fosse stato espressamente esclusa la corresponsione delle differenze retributive, giacché si tratta di diritti soggettivi ricollegati all’effettivo svolgimento di mansioni primariati in caso di vacanza del relativo posto ( come si è visto, per quanto riguarda la corresponsione del trattamento economico connesso all’espletamento delle mansioni in questione, non occorre nemmeno un atto formale di conferimento).
Pertanto, non si può configurare alcun potere autoritativo dell’amministrazione in grado di incidere sui diritti economici scaturenti ex lege dall’effettuazione delle prestazioni in parola.
4. Per quanto sopra esposto l’appello deve dunque essere accolto, con conseguente diritto dell’appellante al compenso commisurato alla differenza tra lo stipendio base della posizione superiore e quello della posizione di appartenenza per tutto il periodo in cui ha svolto le funzioni di primario, con esclusione dei primi sessanta giorni.
Sussssistono ragioni, in considerazione delle oscillazioni giurisprudenziali che si sono in passato avute in materia, per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione quinta, accoglie l’appello e, per l’effetto, dichiara il diritto del ricorrente al compenso di cui in motivazione, oltre agli accessori di legge per interessi e rivalutazione monetaria.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 15 gennaio 2008, con l’intervento dei signori: (omissis)

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