FATTO e DIRITTO
Il comune di Milano ha indetto una selezione riservata al personale interno, appartenente alla categoria C, per la copertura di 30 posti di categoria C – posizione economica 1 – (cfr. determinazione dirigenziale n. 534 in data 24 dicembre 2007 e relativo bando allegato al comunicato di servizio prot. n. 35 emesso in pari data).
2. Un folto gruppo di dipendenti del comune di Milano, inseriti nella graduatoria degli idonei della selezione verticale interna per la copertura di 295 posti di categoria C – posizione economica 1 – indetta con determinazione dirigenziale n. 2039 del 26 luglio 2005, ha impugnato la determinazione n. 534 ed il bando di concorso contestando, sotto plurimi profili, sia il potere del comune di indire una nuova selezione, prima di avere esaurito gli idonei di quella precedente, sia talune modalità operative della procedura selettiva in questione.
3. L’impugnata sentenza – T.a.r. per la Lombardia, sezione III, n. 4073 del 15 settembre 2008 -:
a) ha respinto l’eccezione di tardività del ricorso proposta dal comune di Milano;
b) ha respinto l’eccezione di omessa integrazione del contraddittorio;
c) si è posta d’ufficio il problema della giurisdizione del giudice amministrativo risolvendolo in senso affermativo;
d) ha affermato che, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, non sussiste, in presenza di vacanze di posti, l’obbligo incondizionato dell’amministrazione di esaurire gli idonei di precedenti graduatorie prorogate ex lege ma che, al contempo, sia ravvisabile nell’ordinamento un favor per tale soluzione, per cui la scelta dell’amministrazione di indire una nuova selezione deve essere accompagnato da una rigorosa motivazione;
e) ha escluso che, nella specie, fosse rintracciabile una qualsivoglia motivazione in relazione alla scelta di non scorrere una graduatoria ancora efficace, annullando conseguentemente i provvedimenti impugnati;
f) ha assorbito l’esame dei restanti motivi;
g) ha respinto la domanda di risarcimento del danno;
h) ha compensato fra le parti le spese di lite.
4. Con ricorso ritualmente notificato e depositato, il comune di Milano ha interposto appello avverso la su menzionata sentenza del T.a.r. :
a) reiterando le eccezioni di irricevibilità ed inammissibilità del ricorso di primo grado;
b) contestando una proposizione incidentale impiegata dal T.a.r. per affermare la giurisdizione del giudice amministrativo, come tale, anzi, espressamente riconosciuta dalla difesa comunale;
c) contestando, sotto plurimi aspetti, sul piano astratto, la sussistenza dell’obbligo di motivare la scelta di non scorrere la graduatoria degli idonei onde giustificare l’indizione di una nuova procedura selettiva; su quello concreto, la violazione di un eventuale obbligo di tal fatta.
5. Si sono costituiti in questo grado gli originari ricorrenti:
a) deducendo la nullità della notificazione del gravame e la sua infondatezza in fatto e diritto;
b) riproponendo le censure assorbite in prime cure;
c) articolando appello incidentale per contrastare i capi e i punti sfavorevoli dell’impugnata sentenza inclusa la statuizione sulla compensazione delle spese di lite.
6. Con ordinanza cautelare di questa sezione – n. 573 del 30 gennaio 2009 – è stata accolta la domanda di sospensione degli effetti dell’impugnata sentenza «considerato che, in questa sede di sommaria delibazione, appare condivisibile la doglianza del comune di appellante con la quale si sostiene che non sarebbe consentito procedere allo scorrimento della graduatoria di una procedura verticale interna, come nella specie».
7. La causa è passata in decisione all’udienza pubblica del 16 ottobre 2009.
8. L’appello principale è fondato e deve essere accolto.
9. In ordine logico deve essere prioritariamente esaminata e disattesa l’eccezione di nullità della notificazione del ricorso in appello imperniata sulla incompetenza, ex art. 8, r.d. n. 642 del 1907, del messo di conciliazione incaricato della procedura.
L’eccezione è infondata in fatto, emergendo per tabulas che l’agente notificatore – signora Anna Maria Colombo – è anche messo comunale (cfr. relata di notificazione in data 10 dicembre 2008, provvedimento sindacale di conferimento dell’incarico di messo comunale in data 18 febbraio 1998).
10. Per quanto concerne l’ultimo motivo dell’appello principale (pagina 15), con cui si contesta l’affermazione del T.a.r. circa la configurabilità, nel caso di specie, di una fattispecie di c.d. “doppia tutela” che consentirebbe ai dipendenti di adire sia il giudice ordinario che quello amministrativo, la sezione osserva che non si ravvisa l’interesse del comune al gravame atteso che:
a) l’affermazione ha una intrinseca valenza incidentale e come tale è insuscettibile di passare in giudicato a fronte della declaratoria, principaliter, della giurisdizione del giudice amministrativo (cui espressamente aderisce la difesa comunale);
b) il giudice del lavoro, adito dai dipendenti, ha declinato la giurisdizione in favore del giudice amministrativo (cfr. dispositivo del Tribunale di Milano in data 11 dicembre 2008).
11. A seguito della proposizione degli appelli principale ed incidentale e della riproposizione dei motivi assorbiti è riemerso l’intero thema decidendum del giudizio di primo grado; conseguentemente la sezione esaminerà le censure seguendo la tassonomia dei motivi originariamente sviluppati in prime cure.
12. Attesa l’infondatezza, nel merito, del ricorso di primo grado, può prescindersi dall’esame delle eccezioni di irricevibilità ed inammissibilità dello stesso proposte dalla difesa comunale.
12.1. Con il primo motivo dell’originario ricorso (pagine 5 – 23), si deduce la violazione degli artt.: 91, d.lgs. n. 267 del 2000; 8 e 23 del regolamento del comune di Milano relativo alla “disciplina dell’accesso agli impieghi, delle selezioni pubbliche e delle altre procedure selettive”; 1, co. 100, l. n. 311 del 2004; 1, co. 536, l. n. 296 del 2006; 3, l. 241 del 1990; la violazione della delibera di giunta n. 1381 del 19 maggio 2006; eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria, travisamento, mancata ed erronea valutazione dei presupposti, illogicità, irrazionalità ed ingiustizia manifesta.
La tesi di fondo da cui muovono i ricorrenti è che fin quando le graduatorie dei concorsi e delle selezioni interne per la progressione verticale rimangano efficaci (per naturale vigenza o a seguito di proroghe legali, da estendersi anche alle selezioni interne), l’amministrazione non potrebbe indire nuove procedure se non dopo aver esaurito le disponibilità di idonei all’esito dello scorrimento delle relative graduatorie; in ogni caso solo ragioni eccezionali rigorosamente motivate consentirebbero di derogare a tale obbligo.
12.1.1. La tesi è inaccoglibile nella sua globalità.
In ordine logico è prioritario individuare l’esatta natura giuridica della determinazione dell’amministrazione pubblica di indire una procedura concorsuale o selettiva interna (in parte qua non registrandosi differenze ontologiche fra le due ipotesi, cfr. Cons. St., sez. II, 2 luglio 2008, n. 521/2008), per poi trarne i successivi corollari circa l’eventuale sussistenza di un obbligo di motivazione anche alla luce delle disposizioni normative che prevedono, a vario titolo, l’ultravigenza delle graduatorie.
Sul punto la sezione non intende discostarsi dalle acquisizioni della consolidata giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. Cons. St., sez. V, 27 agosto 2009, n. 4341/ord.; sez. V, 11 luglio 2008, n. 3445; Comm. spec. pubbl. imp., 9 novembre 2005, n. 3556/05; sez. IV, 4 maggio 2004, n. 2752; sez. VI, 24 marzo 2000, n. 1745), secondo cui:
a) a norma dell’art. 3, co. 2, l.n. 241 del 1990, l’atto recante il bando di concorso, ancorché a posti riservati dell’organico, in quanto atto generale, rivolto ad un numero incerto di destinatari (quale è quello dei dipendenti di una struttura pubblica), è sottratto all’obbligo della motivazione, diversamente dagli atti successivi del procedimento concorsuale; a fortiori tale conclusione vale per la determinazione dell’amministrazione di indire il concorso (se distinta dal bando): anche tale manifestazione di volontà provvedimentale, infatti, oltre che avere una platea di destinatari finali indeterminata (i possibili candidati, interni o esterni che siano), nella parte in cui si rivolge ad altri organi o uffici della medesima amministrazione è atto interno e come tale non deve essere accompagnato da alcuna motivazione, non essendo ex se impugnabile (cfr. da ultimo Cons. St., sez. V, 11 maggio 2009, n. 2876);
b) in forza del principio generale evincibile dall’art. 97 Cost., u.c., Cost. è lo scorrimento delle graduatorie che deve essere congruamente motivato non già l’indizione delle ordinarie procedure concorsuali o di selezione verticale interna per il passaggio da un’area inferiore ad una superiore; l’istituto dell’utilizzazione di una graduatoria per la copertura dei posti successivamente resisi disponibili ha pur sempre carattere eccezionale rispetto alla regola secondo cui i posti devono essere coperti, previo apposito concorso, dai vincitori della procedura, con la conseguenza che tale utilizzazione non è obbligatoria per l’amministrazione, ma è puramente facoltativa, costituendo il frutto di valutazioni discrezionali in vista dell’interesse pubblico realizzabile nella singola fattispecie (alle stesse conclusioni, invero, era pervenuta la giurisprudenza su fattispecie antecedenti la l. n. 241 del 1990, cfr. Cons. St., sez. V, 8 luglio 1998, n. 1019);
c) alla stregua del vigente quadro costituzionale come derivante dall’art. 97 Cost. nella lettura di “diritto vivente” operata dalla Corte costituzionale (ai pubblici uffici, che debbono essere organizzati in modo da assicurare il buon andamento della pubblica amministrazione, si accede «mediante concorso salvi i casi stabiliti dalla legge»), si impone che il concorso costituisca la regola generale per l’accesso ad ogni tipo di pubblico impiego, anche a quello inerente ad una fascia funzionale superiore, essendo lo stesso il mezzo maggiormente idoneo ed imparziale per garantire la scelta dei soggetti più capaci ed idonei ad assicurare il buon andamento della pubblica amministrazione (cfr. Corte cost. n. 2 del 2001/ord.; n. 487 del 1991; n. 453 del 1990; n. 161 del 1990); in altre parole, nel nostro contesto costituzionale il passaggio ad una fascia funzionale superiore, nel quadro di un sistema come quello oggi in vigore che non prevede carriere o le prevede entro ristretti limiti, deve essere attuato mediante una forma di reclutamento che permetta un selettivo accertamento delle attitudini, anche laddove si tratti di progressione verticale di carriera; per questa ragione, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale di plurime disposizioni di legge (ad es. relative ai corsi-concorso per la riqualificazione del personale del Ministero delle finanze: art. 3, co. 205, 206 e 207, l. n. 549 del 1995 e successive modificazioni), nella parte in cui le stesse prevedevano il passaggio a fasce funzionali superiori in deroga alla regola del pubblico concorso o comunque non prevedevano alcun criterio selettivo, ovvero riservavano, esclusivamente o in maniera ritenuta eccessiva, al personale interno l’accesso alla qualifica superiore.
Giova evidenziare, infine, che nel caso di specie un particolare obbligo di motivazione non discende neppure da eventuali auto vincoli assunti dal comune in sede di contrattazione collettiva o di programmazione triennale del fabbisogno di personale: risulta per tabulas, infatti, che il comune non si è mai impegnato a scorrere la graduatoria degli idonei relativa alla selezione interna del 2004.
12.2. Con il secondo motivo (pagine 23 – 31), si lamenta la violazione degli artt.: 3, 4, 51 e 97 Cost.; 35, d.lgs. n. 165 del 2001; 4, CCNL comparto Regioni – Autonomie locali 1998 – 2001; 9 e 10 del CCDI del comune di Milano; 8 e 9 del regolamento del comune di Milano relativo alla “disciplina dell’accesso agli impieghi, delle selezioni pubbliche e delle altre procedure selettive”; 3 e 7, d.P.R. n. 487 del 1994; violazione del principio della par condicio nelle procedure concorsuali; violazione del principio del giusto procedimento; eccesso di potere per irrazionalità, illogicità, disparità di trattamento e ingiustizia manifesta.
Si sostiene l’arbitrarietà della decisione del comune:
a) di bandire 13 selezioni per altrettante Direzioni Centrali invece che una selezione unica per tutti i 30 posti disponibili, con la conseguente nomina di altrettante commissioni ed aumento dei costi;
b) di non consentire ai candidati di presentare più domande di partecipazione, obbligandoli a scegliere una sola Direzione centrale ed il relativo profilo professionale, per giunta senza conoscere, in anticipo, l’ufficio di destinazione all’interno della Direzione centrale e, con esattezza, le materie su cui verte la prova selettiva.
12.2.1. Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato e deve essere respinto nella sua globalità.
Le censure sono inammissibili nella parte in cui impingono nel merito delle valutazioni organizzative rimesse alla discrezionalità tecnico amministrativa dell’autorità.
Esse sono anche infondate perché:
a) le norme richiamate a parametro di legittimità non impongono all’amministrazione comunale, nel caso di specie, di nominare una commissione esaminatrice unica;
b) dalla documentazione versata in atti emerge che ai candidati sono state fornite tutte le indicazioni utili obbligatorie previste dalle disposizioni di rango primario, regolamentare e contrattuale.
12.3. Con l’ultimo motivo del ricorso di primo grado (pagina 31) si deduce la violazione dell’art. 3, l. n. 241 del 1990 sotto il profilo che negli atti impugnati non sarebbe stato indicato il termine e l’autorità a cui proporre ricorso.
12.3.1. La censura è infondata.
Giova evidenziare che l’art. 3, co. 4, l. n. 241 del 1990 sancisce testualmente l’obbligo per l’amministrazione di indicare i termini e l’autorità cui è possibile ricorrere solo in relazione agli atti soggetti a comunicazione individuale e tali non sono, per tutte le ragioni illustrate nel precedente punto 12.1. quelli oggetto del presente giudizio (cfr. da ultimo Cons. St., sez. V, 7 settembre 2009, n. 5243).
Proprio facendo leva su tale circostanza, onde evitare ingiustificate disparità di trattamento fra categorie di atti amministrativi e loro destinatari, l’adunanza plenaria di questo Consiglio ha escluso che la semplice omissione di tali indicazioni da un lato costituisca vizio di legittimità dell’atto amministrativo, dall’altro giustifichi, ex se, la rimessione in termini per errore scusabile (cfr. Cons. St., ad. plen., 14 febbraio 2001, n. 1).
12.4. Al rigetto della domanda di annullamento degli atti impugnati consegue la reiezione della domanda di risarcimento del danno proposta in via consequenziale dagli originari ricorrenti (pagine 31 – 33 del ricorso di primo grado).
13. La completa reiezione, nel merito, del ricorso di primo grado rende improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, l’appello incidentale proposto dai dipendenti comunali.
14. In conclusione l’appello principale deve essere accolto mentre quello incidentale deve essere dichiarato improcedibile.
Nel particolare andamento del processo e nella complessità delle questioni affrontate la sezione ravvisa giusti motivi per compensare integralmente fra le parti le spese di ambedue i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe:
– accoglie l’appello principale e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado;
– dichiara improcedibile l’appello incidentale;
– dichiara integralmente compensate fra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 ottobre 2009 con l’intervento dei Signori:(omissis)