FATTO
Con ricorso al Tribunale Amministrativo della Campania, sede di Napoli, il sig. … impugnava il provvedimento di cui alla nota n. 997 in data 16/4/1997 con la quale …. Napoli aveva manifestato la volontà di non autorizzare il rinnovo della concessione per lo sfruttamento agricolo di un’area demaniale sita in Monte di Procida, località Miliscola, ricompresa in un più vasto appezzamento concesso anche ad altri soggetti.
Lamentava violazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990, in assenza di motivazione idonea alla bisogna (1^ motivo); eccesso di potere per disparità di trattamento, rispetto ad altri coloni, che avevano visto sdemanializzare le aree loro concesse ai fini di una loro vendita (2^ motivo); in via subordinata, violazione delle previsioni della l. 3.5.1982, n. 203, della l. 10.2.1971 e della l. 10.6.1952, n. 567, ai cui sensi la normativa concernente l’affitto dei fondi rustici si applica anche ai beni appartenenti al patrimonio disponibile dello Stato, ipotesi in cui qui si verterebbe alla luce della procedura di sdemanializzazione, di cui si è detto innanzi (terzo motivo)..
Con la sentenza in epigrafe il Tribunale Amministrativo della Campania, sede di Napoli, Sezione VI, respingeva il ricorso.
Avverso la predetta sentenza insorgono i sigg.ri …., eredi del sig. Mosè Guardascione, chiedendo la sua riforma e l’accoglimento del ricorso di primo grado ovvero la declaratoria del difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.
Si è costituito in giudizio il Ministero della Difesa in persona del Ministro in carica chiedendo il rigetto dell’appello.
Alla pubblica udienza del 23 febbraio 2010 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Gli appellanti censurano la sentenza di primo grado affermando che il Tribunale Amministrativo, al quale si era rivolto il loro dante causa, difetterebbe di giurisdizione sulla controversia.
La censura non può essere condivisa in quanto la causa riguarda la concessione di un bene demaniale e rientra quindi nell’ambito della giurisdizione esclusiva di cui all’art. 5 delle legge 6 dicembre 1971, n. 1034.
Non rileva quindi il fatto che nell’ambito della controversia l’originario ricorrente abbia affermato che il potere concessorio deve rispettare la legislazione sui patti agrari costituendo la tesi un semplice mezzo di impugnazione dell’atto con il quale l’Amministrazione ha inteso gestire il rapporto in essere.
Nemmeno può essere condivisa l’ulteriore argomentazione, con la quale gli appellanti sostengono che il bene di cui trattasi sarebbe stato sdemanializzato implicitamente.
A loro avviso il comportamento dell’Amministrazione, che dopo avere per lungo tempo concesso il bene al loro dante causa, da una certa data non ha provveduto a rinnovare la concessione ma non ha disposto lo sgombero, dimostrerebbe la sua volontà di abbandonare il regime demaniale.
L’argomentazione non può essere condivisa in quanto la demanialità è indisponibile e non può essere rinunciata in via di fatto.
Afferma quindi il Collegio che il terreno di cui si tratta non ha affatto perso la sua connotazione di bene demaniale.
L’affermazione rileva per confermare la giurisdizione del Tribunale Amministrativo e del Consiglio di Stato ed anche nel merito.
Gli appellanti sostengono infatti che avendo il terreno perso la sua qualificazione demaniale il rapporto intercorso fra il proprietario e gli occupanti, che lo utilizzano a fini agricoli, deve essere affrontato alla luce della legislazione sui patti agrari.
E’ evidente che l’infondatezza dell’assunto circa la sdemanializzazione tacita del bene comporta l’inapplicabilità della normativa invocata dagli appellanti.
Questi ultimi infine affermano che quanto meno il mancato spossessamento comporta rinnovo tacito della concessione, per cui il rigetto della domanda di rinnovo doveva essere adeguatamente motivato.
Nemmeno questa argomentazione può essere condivisa in quanto una volta scaduta la concessione il concessionario che rimanga nella detenzione del bene è mero occupante abusivo, per cui l’Amministrazione non ha alcun obbligo di giustificare la sua decisione di recuperare il possesso dell’immobile di sua proprietà.
L’appello deve, in conclusione, essere respinto.
Sussistono gusti motivi per compensare integralmente spese ed onorari del giudizio fra le parti costituite.
P.Q.M.
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge l’appello.
Compensa integralmente spese ed onorari del giudizio fra le parti costituite.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 febbraio 2010 con l’intervento dei Signori:(omissis)