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Home»Aree tematiche di MioLegale.it»Amministrativo Enti locali
Amministrativo Enti locali Sentenze

Consiglio di Stato, sez. VI, 3 marzo 2017, n. 880

Redazionedi Redazione21 Marzo 2017
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iscrizione contemporanea a due albi professionali

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 511 del 2017, proposto da:

[omissis]

Rilevato che, nel presente giudizio, la parte appellante non ha effettuato il deposito della copia cartacea d’obbligo, di cui all’art. 7, comma 4, del decreto-legge 31 agosto 2017, n. 168 (o, comunque, non lo ha effettuato nel rispetto del termine dilatorio di 10 giorni liberi prima dell’odierna udienza camerale, di cui all’art. 55, comma 5, c.p.a., di cui dirà meglio infra; ovvero ha effettuato il deposito di copia cartacea priva della “attestazione di conformità al relativo deposito telematico” richiesta dal cit. art. 7, comma 4);
Rilevato che detto art. 7, comma 4, pone il seguente precetto: “A decorrere dal 1° gennaio 2017 e sino al 1° gennaio 2018 per i giudizi introdotti con i ricorsi depositati, in primo o in secondo grado, con modalità telematiche deve essere depositata almeno una copia cartacea del ricorso e degli scritti difensivi, con l’attestazione di conformità al relativo deposito telematico”;
Ritenuto che – tra le diverse opzioni esegetiche riferibili a tale precetto normativo, che astrattamente spaziano dal difetto di qualsivoglia sanzione per la sua violazione fino all’incompletezza strutturale della fattispecie legale del deposito del pertinente atto processuale, con relativi corollari in punto di tempestività del relativo perfezionamento e di ricevibilità dello stesso ricorso – il Collegio ritiene corretto, nell’ambito di un’interpretazione ragionevolmente teleologica della citata norma primaria, ricostruire la c.d. “intenzione del legislatore” (di cui all’art. 12, primo comma, delle “Disposizioni sulla legge in generale” anteposte al Codice civile) nei sensi implicati dal generalissimo “principio di conservazione” degli effetti dell’atto (nella specie: normativo);
Ritenuto che il predetto generalissimo principio giuridico – cui ampiamente si ispira anche tutto lo “ordinamento giuridico dello Stato”, di cui al secondo comma del cit. art. 12 delle c.d. Preleggi – è positivamente codificato nell’art. 1367 del codice civile (rubricato “Conservazione del contratto” ed a tenore del quale “Nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno”), ma per la sua natura e il suo contenuto ben s’attaglia a essere utilizzato, fra l’altro, quale canone di declinazione d’una corretta interpretazione teleologica, anche in relazione agli atti normativi e dunque, nella specie, del cit. art. 7, comma 4;
Ricordato, a sostegno di quanto sopra, il conforme insegnamento sia di C.d.S., III, 9 gennaio 2017, n. 22, secondo cui “La diversa interpretazione … finirebbe per privare di qualsivoglia utilità ed efficacia la norma in esame, in violazione del canone ermeneutico che preclude un’esegesi che impedisca alla disposizione di produrre ogni effetto. La predetta regola ermeneutica, espressamente codificata all’art.1367 c.c. per l’interpretazione dei contratti, deve intendersi, infatti, applicabile, per la sua evidente valenza logica e generale, anche all’esegesi delle leggi …, con la conseguenza che tra più opzioni interpretative possibili dev’essere preferita quella che consente alla norma di produrre qualche effetto, rispetto alla lettura secondo cui il precetto resterebbe privo di ogni utilità”; sia di Cass., Sez. Un., 5 giugno 2014, n.12644, per cui “il giudice di merito, … fornendo una lettura della sopravvenuta disposizione, tale da svuotarne del tutto la portata precettiva, neppure ha tenuto conto della generale regola ermeneutica c.d. “di conservazione degli atti”, espressamente codificata dall’art. 1367 c.c., in materia contrattuale, ma da ritenersi operante, in quanto espressione di un sovraordinato principio generale insito nel sistema, anche e soprattutto in tema di interpretazione della legge, sulla scorta della quale, tra le diverse accezioni possibili di una disposizione (normativa, amministrativa o negoziale), deve propendersi per quella secondo cui la stessa potrebbe aver qualche effetto, anziché nessuno”;
Ritenuto (per usare le stesse parole della cit. sentenza delle Sezioni Unite, appropriatamente riferibili anche al cit. art. 7, comma 4, del D.L. n. 168/2016) che “Inaccettabile è, pertanto, l’assoluta svalutazione di tale intervento normativo, ritenuto tamquam non esset, nella quale … [si incorrerebbe] proponendo una “interpretazione” totalmente vanificatrice di una norma”;
Ritenuto, più in particolare, che nel processo amministrativo, per tutto il corrente anno 2017, il precetto in forza del quale “per i giudizi introdotti con i ricorsi depositati, in primo o in secondo grado, con modalità telematiche deve essere depositata almeno una copia cartacea del ricorso e degli scritti difensivi, con l’attestazione di conformità al relativo deposito telematico” è finalizzato a consentire (in primo luogo al Collegio), una più agevole lettura degli atti processuali; ossia, in altri termini, che è per tale specifica finalità che il legislatore ha posto a carico delle parti l’obbligo di depositare “almeno” una copia cartacea degli atti del processo amministrativo;
Ritenuto, conseguentemente, che è attualmente obbligatorio il deposito “almeno” di una prima copia cartacea di tali atti (da qualificare perciò, e normativamente, “copia d’obbligo”), non essendo esclusa la possibilità (pur se concretamente assai auspicabile, nella situazione data) del deposito d’una o più copie ulteriori (da considerare, viceversa, propriamente “copie di cortesia”, giacché giuridicamente non obbligatorie);
Ritenuto – alla stregua di tutto quanto sopra e, in particolare, di una corretta declinazione del principio di conservazione, quale essenziale parametro esegetico della disposizione normativa in esame – che non si porrebbero in corretta relazione con l’effettiva finalità della norma né un’esegesi che giungesse a considerare del tutto omessa la fattispecie del deposito fino al versamento in atti della “copia d’obbligo” (con potenziali conseguenze anche in punto di ricevibilità del ricorso o della costituzione); né un’esegesi che, all’opposto, pervenisse a considerare del tutto irrilevante, sul piano processuale, l’omissione di tale adempimento (ad onta del fatto che esso è qualificato come “doveroso” dalla legge), ovvero che ne consentisse l’effettuazione anche in udienza o in camera di consiglio in limine rispetto alla trattazione dell’affare (eventualità, quest’ultima, cui comunque osterebbe il chiaro disposto dell’art. 55, commi 5 e 8, c.p.a., per i procedimenti cautelari; e dell’art. 73, comma 1, c.p.a., per tutti gli altri);
Ritenuto, viceversa, che risulta appropriato – nei sensi ermeneutici predetti – affermare che il deposito della copia cartacea d’obbligo (per come sopra individuata) da parte del ricorrente è condizione per l’inizio del decorso del termine dilatorio di 10 giorni liberi a ritroso dall’udienza camerale (ovvero 5 nei casi di termini dimidiati), di cui all’art. 55, comma 5, c.p.a., con conseguente impossibilità che, prima dell’inizio di tale decorso sia fissata detta udienza (ovvero, comunque, che, in caso di fissazione comunque avvenuta, il ricorso cautelare sia trattato e definito in un’udienza camerale anteriore al completo decorso del medesimo termine); nonché, quanto al giudizio di merito, che il suddetto deposito sia precondizione per il corretto esercizio della potestà presidenziale di cui all’art. 71, comma 3, c.p.a. (ovvero, comunque, che, in caso di fissazione comunque avvenuta, il ricorso di merito sia trattato in un’udienza, pubblica o camerale, anteriore al decorso del termine a ritroso di quaranta giorni, ovvero venti giorni nei casi di dimidiazione, di cui all’art. 73, comma 1, c.p.a.);
Ritenuto, per completezza del quadro esegetico-applicativo, che pur ad opinare che l’omissione del deposito della copia d’obbligo non precluda l’eventuale concessione di misure cautelari monocratiche ex art. 56 c.p.a. – laddove, invece, il problema in esame neppure si pone per le ancor più eccezionali misure ex art. 61 c.p.a., posto che rispetto ad esse il codice non prevede la fissazione di un’udienza collegiale di trattazione prima dell’inizio della causa di merito – né la conseguente fissazione obbligatoria (ex art. 56, comma 4, c.p.a.) della camera di consiglio di cui all’art. 55, comma 5, la trattazione collegiale in tale sede va comunque considerata condizionata al tempestivo deposito della copia d’obbligo nel termine dilatorio fissato da tale ultima norma (salvo dimidiazione o abbreviazione del termine stesso), sotto pena di rinvio della trattazione collegiale fino a espletato incombente (e pur se con gli effetti estintivi della misura cautelare presidenziale di cui al secondo periodo del cit. art. 56, comma 4);
Ritenuto, infine, che, per le parti diverse dal ricorrente, il termine per il deposito della copia d’obbligo va individuato – senza effetti ostativi alla trattazione e alla definizione dell’affare – in quello di cui all’ultimo periodo del cit. art. 55, comma 5, per i giudizi cautelari, e nel primo di quelli di cui all’art. 73, comma 1, c.p.a., per quelli di merito (fatte salve la dimidiazione o l’abbreviazione dei termini);
Ritenuto, in conclusione, che – in conseguenza dell’esposta esegesi – la trattazione dell’odierno affare cautelare va rinviata a data futura, che andrà fissata solo dopo che sia stato effettuato il deposito delle copie cartacee d’obbligo ad opera della parte ricorrente e nel rispetto del termine dilatorio ex art. 55, comma 5, cit.;
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), riservato ogni ulteriore provvedimento, rinvia a nuovo ruolo la trattazione del presente affare.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 marzo 2017 con l’intervento dei magistrati:

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