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Ordine pubblico Sanità Sentenze

Corte dei Conti, sez. I centrale di appello, 7 maggio 2015, n. 308

Redazionedi Redazione6 Febbraio 2017Aggiornato il:6 Febbraio 2017
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iscrizione contemporanea a due albi professionali

FATTO

Con la sentenza in epigrafe la Sezione giurisdizionale per il Lazio ha condannato gli odierni appellanti al pagamento in favore dell’erario, rispettivamente, di euro 841.379,22 Nazzareno ITALIANO e di Euro 704.626,20 Federica DAGRADI, oltre ad interessi e spese di giudizio per gli episodi di truffa ai danni del Servizio Sanitario Nazionale accertati a seguito di indagini della Guardia di Finanza e costituenti oggetto anche di procedimento penale.
Nel corso delle indagini riguardanti il suddetto procedimento penale era emerso che numerose confezioni di medicine, contenenti il principio attivo denominato INTERFERONE Alfa – 2 A Pegilato, curativo dell’epatite B e C, erano state prescritte a favore di soggetti di nazionalità egiziana, con oneri a carico del Servizio Sanitario nazionale, dai medici convenzionati DAGRADI (nella misura di 365 ricette dal maggio 2005 al giugno 2006) e ITALIANO (nella misura di n. 432 ricette nello stesso periodo) senza che fosse stato rilasciato l’obbligatorio piano terapeutico da parte di uno specialista e senza alcuna giustificazione terapeutica.
I fatti emersi in sede penale avevano evidenziato che lo studio del dott. ITALIANO, presso il quale operava anche la DEGRADI, costituiva il punto di partenza per l’illecito commercio di medicine ai danni del Servizio sanitario nazionale, effettuato tramite cittadini egiziani e avente come destinazione l’Africa settentrionale.
Il Collegio di primo grado ha ritenuto fondata la domanda della Procura regionale con riguardo ai fatti contestati (per i quali il procedimento penale si è concluso con il provvedimento di archiviazione del GIP per prescrizione), riconoscendo le gravi omissioni perpetrate dai convenuti nella compilazione delle prescrizioni mediche e, in particolare, nella custodia dei ricettari e dei timbri durante l’assenza dei sanitari.
Di conseguenza, veniva loro addebitato il medesimo importo richiesto dalla Procura regionale quale danno erariale.
Hanno interposto appello entrambi i ricorrenti, adducendo con distinti atti di appello i motivi di censura di seguito riportati.
Appello DAGRADI:
Con un primo motivo si contesta l’erroneità della sentenza in quanto fondata su materiale probatorio che non ha, ad avviso dell’appellante, dignità di prova nel giudizio contabile, in quanto è stato acquisito nell’ambito di procedimento penale, mentre il Collegio di prima istanza ha invece ritenuto provati fatti che risultano acquisiti in sede di indagine preliminare.
Si deduce poi l’erronea valutazione sui fatti contenuti nell’informativa della Guardia di Finanza e la conseguente non addebitabilità degli stessi alla dott.ssa DAGRADI, alla quale si imputa senza alcuna motivazione un comportamento illecito produttivo di danno erariale in rapporto alle asserite irregolarità nella gestione dello studio e nella custodia dei ricettari, che sarebbero state smentite dalla perizia calligrafica di parte depositata, dalla quale si rileva che moltissime sigle apposte sulle prescrizioni sarebbero false.
A tal proposito l’appellante prospetta al Collegio di valutare l’opportunità di nominare un Consulente Tecnico d’ufficio.
In via subordinata invoca una proporzionale riduzione dell’addebito in seguito all’accertamento della effettiva responsabilità della professionista e tenuto conto che molte ricette recano la data di giorni in cui l’interessata non era di turno presso lo studio.
Con successiva memoria depositata il 22 ottobre 2014, la DAGRADI ha ribadito le considerazioni di cui all’atto di appello.
Appello ITALIANO:
L’istante, nel negare ogni responsabilità, lamenta la mancata valutazione della consulenza grafologica di parte e della documentazione clinica, circostanze che dimostrerebbero l’estraneità del ricorrente ad ogni coinvolgimento nella vicenda, per l’assenza dallo studio dell’interessato in occasione della compilazione di n. 127 ricette (apocrife).
Nelle proprie conclusioni, depositate il 21.10.2014, il Procuratore Generale ha puntualmente argomentato in ordine alla infondatezza dei motivi di gravame, insistendo per la conferma della sentenza impugnata.
Alla pubblica udienza del 13 novembre 2014, udito il relatore, ed assente l’Avv. Militerni per l’ITALIANO, l’Avv. Zito per DAGRADI si è riportato all’atto scritto insistendo sull’ assenza di responsabilità dell’assistita. Il Pubblico Ministero dr. Amedeo Federici si è riportato agli atti ed ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado.
Ritenuto in

DIRITTO

Va in primo luogo esaminata la doglianza, prospettata dall’appellante DAGRADI, in ordine ai rapporti fra giudizio penale e giudizio contabile e, in particolare, alla valutazione effettuata dal giudice contabile dei fatti e delle prove emerse a livello penale, che a suo avviso non sarebbero idonei a dimostrare la responsabilità dell’interessata.
La censura non ha pregio dal momento che, per pacifica giurisprudenza di queste sezioni di appello, la documentazione probatoria acquisita nell’ambito del procedimento penale, sia pure conclusosi nella forma dichiarativa della intervenuta prescrizione dei reati, non si sottrae alla delibazione del giudice contabile, che ha valutato correttamente le condotte e gli accadimenti degli appellanti ai fini del personale libero convincimento, come rilevato in primo grado.

Secondo giurisprudenza consolidata, dunque, tutti gli elementi utili per la conoscenza dei fatti, comunque acquisiti, in sede processuale e preprocessuale penale, possono e devono essere oggetto di autonoma valutazione da parte del giudice contabile, in quanto concorrono, ex art.. 116 c,p.c., alla formazione del convincimento sull’esistenza del danno e delle responsabilità amministrative.

In ogni caso, i fatti emersi in sede penale, sono stati in fattispecie correttamente ed autonomamente apprezzati dal Collegio di prime cure a fini qualificatori diversi rispetto al giudizio penale, che è indirizzato, invece, esclusivamente all’accadimento dell’esistenza del reato ed alla erogazione della pena nei confronti del colpevole (Sez. I centr. 11 gennaio 2006 n. 7; Sez. III Centr.14 febbraio 2005, n. 75).
E, venendo alla fattispecie all’esame, non può escludersi che essa si presenta chiara nella sua realtà fenomenica, risultando la condotta illecita degli appellanti già sufficientemente delineata e provata.
E difatti, dagli atti trasmessi dal pubblico ministero penale, dalle indagini svolte dalla Guardia di Finanza, nonché dalle stesse dichiarazioni degli appellanti si evincono una molteplicità di elementi probatori a conforto delle accuse mosse ad entrambi dalla Procura regionale attrice, come del resto rilevato anche dal Collegio giudicante di prime cure nella motivazione della sentenza di condanna.

Al riguardo questo Collegio non può non rammentare che dalla documentazione acquisita emerge infatti che sono state rinvenute moltissime ricette mediche riferite a persone che non erano pazienti dello studio, anche di nazionalità egiziana. Molti degli intestatari delle ricette provenienti dallo studio ove prestavano la loro opera i due medici ignoravano che fosse stato prescritto un farmaco a loro nome. Molti codici fiscali sono risultati errati e tutte le prescrizioni riportavano il codice di esenzione 016, per cui il costo del farmaco era a totale carico del Servizio sanitario nazionale.

È stato in tal modo alimentato e favorito un commercio di farmaci costosi che sono stati trasferiti in Nord Africa, zona in cui è estremamente diffusa l’epatite B e C, moltissimi dei quali sono stati rinvenuti a casa del cittadino egiziano arrestato, il quale aveva ritirato nel periodo gennaio/maggio 2006 ben 620 fiale di interferone.
La DAGRADI, fra l’altro, ha ammesso di avere visitato in alcune occasioni il cittadino arrestato.
Da entrambi gli appellanti è stata messa in dubbio la riferibilità ai medici delle prescrizioni emesse. Tuttavia al riguardo devono condividersi le osservazioni del primo giudice, in ordine alla circostanza che la perizia calligrafica del CTU non ne ha provato la falsità e, soprattutto, non risulta che gli interessati abbiano contestato la paternità delle sottoscrizioni a loro riferibili a mezzo di querela di falso.
E comunque, anche a voler accedere alla tesi adombrata dagli interessati, che nelle loro difese hanno ipotizzato un probabile furto di timbri e ricettari ad opera di ignoti, deve ritenersi l’ infondatezza delle argomentazioni tendenti ad escludere le rispettive responsabilità poiché i medesimi vanno in ogni caso ritenuti responsabili delle gravi omissioni e della deprecabile leggerezza con la quale sono stati da loro custoditi i timbri e i ricettari medici nell’ambito dello studio associato: pratiche, queste, che avrebbero senz’altro richiesto una maggiore attenzione, tanto più che anche secondo le prescrizioni del codice deontologico (art. 13) nel momento in cui il sanitario sottoscrive una ricetta prescrivendo un farmaco si rende personalmente responsabile della spesa di fronte al Servizio sanitario nazionale.
V a poi rilevato che le prescrizioni sono avvenute in totale assenza di qualunque esigenza terapeutica, mentre la normativa di settore (art. 36 del DPR n. 270/2000 – Assistenza farmaceutica e modulario ) richiede che la prescrizione di medicinali avvenga, per qualità e quantità, secondo scienza e coscienza, con le modalità stabilite dalla legislazione vigente nel rispetto del prontuario terapeutico nazionale, così come riclassificato dall’art. 8, comma 10, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 e successive modificazioni.
I fatti, nella specie, risultano pienamente acclarati, di tal che le obiezioni di entrambi gli appellanti, volte ad escludere o attenuare le proprie responsabilità, appaiono a questo Giudicante destituite di fondamento. Analogamente, si deve respingere ogni doglianza sulla mancata presa in considerazione delle perizie di parte, poiché esse sono state implicitamente ritenute poco attendibili rispetto a quella depositata dal perito incaricato dal magistrato penale.
Per quanto riguarda poi le richieste di disporre una C:T.U., avanzate dall’ITALIANO (la cui difesa, peraltro, non si è neppure presentata all’odierna udienza), si osserva che esse appaiono comunque non indispensabili ai fini della presente decisione, in quanto ogni aspetto controverso risulta ormai sceverato, poiché ai fini della configurabilità della responsabilità amministrativa degli appellanti, ciò che conta è l’accertamento del fatto materiale e la sua riconducibilità a livello causale all’evento dannoso, indipendentemente dal fatto che in sede penale il fatto sia stato qualificato come reato, o che tale antigiuridicità non sia stata riconosciuta o sia venuta meno in seguito al maturarsi della prescrizione del reato.
Per le considerazioni che precedono gli appelli devono essere respinti, con conferma della sentenza impugnata. Pur tenendo conto delle richieste avanzate nei gravami, si ritiene – per la delicatezza e la gravità della questione – di non accedere al potere riduttivo.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dei conti, Sezione Prima Giurisdizionale Centrale di appello
definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria eccezione e deduzione,
– RESPINGE gli appelli in epigrafe, proposti da ITALIANO Nazzareno e DAGRADI Federica avverso la sentenza n. 557/2013 della Sezione Giurisdizionale Regionale della Corte dei conti per il Lazio, depositata in data 16 luglio 2013;
– CONDANNA inoltre i predetti appellanti, in ragione della soccombenza, al pagamento in parti uguali delle spese processuali, sia del giudizio di primo grado, già liquidate in Euro 686,85, sia del presente grado di giudizio, che si liquidano in 96,00 euro novantasei/00.
– MANDA alla Segreteria per gli adempimenti di competenza.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 13.11.2014.

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