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Home»Aree tematiche di MioLegale.it»Diritti fondamentali della persona
Diritti fondamentali della persona Sentenze

Corte Costituzionale, 26 febbraio 2010, n. 80

Redazionedi Redazione26 Febbraio 2010
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[…] nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 413 e 414, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008), promosso dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana nel procedimento vertente tra il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ed altri e A.F. e C.G. in proprio e nella qualità di genitori esercenti la potestà sulla figlia minore A.J.R., con ordinanza del 26 marzo 2009, iscritta al n. 230 del registro ordinanze 2009, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell’anno 2009.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 27 gennaio 2010 il Giudice relatore Maria Rita Saulle.

RITENUTO IN FATTO

1. – Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, con ordinanza del 26 marzo 2009, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 4, primo comma, 10, primo comma, 30, primo e secondo comma, 31, primo comma, 34, primo comma, 35, primo e secondo comma, 38, terzo e quarto comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 413 e 414, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008).

In punto di fatto, il rimettente riferisce di essere investito dell’appello proposto dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nei confronti di A.F. e C.G., in proprio e in qualità di genitori esercenti la potestà sulla figlia minore A.J.R, avverso il provvedimento cautelare emesso dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, con il quale si ordinava all’amministrazione il ripristino dell’assegnazione di un docente di sostegno alla indicata minore, per 25 ore settimanali.

La suddetta fase cautelare trae origine dal ricorso proposto dalle indicate parti private avverso il provvedimento con il quale l’amministrazione scolastica, in sede di formazione degli organici, aveva assegnato alla ricorrente, affetta da ritardo psicomotorio e crisi convulsive da encefalopatia grave, un docente solo per 12 ore settimanali.

Il citato provvedimento comprometteva, a parere dei ricorrenti, il diritto del disabile ad una effettiva assistenza didattica; diritto tutelato dalla Costituzione e da norme internazionali.

In punto di diritto, il rimettente, dopo aver riportato i motivi posti a fondamento dell’atto di appello avverso l’ordinanza cautelare indicata, osserva che il tema dell’inserimento dei disabili nella scuola è stato, in un primo momento, risolto dall’ordinamento per mezzo della creazione di scuole speciali e di classi differenziali; orientamento successivamente modificato a favore di una formazione che doveva avvenire in classi comuni nell’ambito della scuola pubblica mediante l’intervento di insegnanti di sostegno.

Tale nuovo indirizzo veniva, poi, ulteriormente rafforzato con la legge 5 febbraio 1992, n. 104 (legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), la quale, nel fissare i principi della piena integrazione delle persone disabili, agli artt. 12 e 13 garantisce loro il necessario sostegno per mezzo di docenti specializzati, al fine della loro integrazione scolastica.

Il giudice a quo riporta le ulteriori norme che hanno confermato i suddetti principi e, in particolare, l’art. 40 della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), che assicura l’integrazione scolastica degli alunni disabili con interventi adeguati al tipo ed alla gravità dell’handicap, compreso il ricorso all’ampia flessibilità organizzativa e funzionale delle classi, nonché la possibilità di assumere con contratto a tempo determinato insegnanti di sostegno in deroga al rapporto docenti ed alunni, indicato al comma 3 della suddetta disposizione, in presenza di handicap particolarmente gravi.

In particolare, il citato art. 40 non generalizza tutti i casi di disabilità, ma si ispira al diverso principio secondo il quale ciascun intervento deve tener conto del grado e della tipologia di deficit di cui è portatore il singolo individuo, ponendosi, in tal modo, in linea di continuità con quanto già previsto dagli artt. 3, 12, 16 e 17 della legge n. 104 del 1992, in ambito di istruzione e di formazione professionale dei disabili.

Il rimettente osserva che le disposizioni censurate hanno soppresso il trattamento in deroga previsto dall’art. 40, in tal modo contraddicendo la ratio che aveva caratterizzato l’indirizzo normativo sopra riportato, in ragione del quale ad un maggiore livello di disabilità deve corrispondere un maggior grado di assistenza, al fine di consentire al disabile di superare il suo svantaggio e di porlo in condizione di parità con gli altri.

La conclusione di tale iter argomentativo comporta, a parere del rimettente, che le disposizioni censurate, nel sottoporre ad un’unica disciplina tutti i disabili, non garantiscono a quelli che versano in condizioni di maggiore gravità il diritto alla integrazione scolastica.

Il rimettente ritiene, pertanto, che le norme censurare contrastino con la giurisprudenza costituzionale secondo la quale l’esercizio di ogni diritto, anche se costituzionalmente garantito, può essere regolato e limitato dal legislatore, sempre che ciò sia compatibile con la funzione del diritto di cui si tratta e non si traduca in una sostanziale elusione dello stesso.

1.1. – Così ricostruita la fattispecie sottoposta al suo giudizio ed il quadro normativo di riferimento, il rimettente, in punto di non manifesta infondatezza, sostiene quanto segue:

1.1.1 – in primo luogo, il rimettente ritiene che i commi 413 e 414 dell’art. 2 della legge n. 244 del 2007 violano gli artt. 2, 3, 38, terzo e quarto comma, Cost.

In proposito il giudice a quo osserva che la Costituzione, nel riconoscere valore fondamentale alla persona come individuo, pone, a tal fine, a carico della collettività un obbligo di solidarietà, assumendo nel caso concreto rilievo l’art. 38, commi terzo e quarto, Cost., che sanciscono il diritto dei disabili all’educazione assegnando il correlativo obbligo allo Stato.

Rileva, poi, il giudice a quo che l’equiparazione di tutti i disabili compiuta dal legislatore sulla base delle norme censurate sarebbe anche irragionevole, poiché appresta lo stesso grado di assistenza a tutti i disabili, indipendentemente dal loro grado di disabilità, ponendo in essere una disparità di trattamento, in quanto proprio la gravità dell’handicap giustificava lo standard più elevato di tutela rispetto a quello minimo garantito per i disabili lievi e ciò al fine di assicurare a tutti lo stesso diritto all’istruzione.

A ciò conseguirebbe l’ulteriore violazione dell’art. 3, comma secondo, Cost., che impone allo Stato di rimuovere gli ostacoli che limitano lo sviluppo della persona umana.

Altri profili di irragionevolezza delle norme impugnate vengono individuati dal rimettente nel fatto che, da un lato, nel sopprimere il trattamento in deroga previsto per i disabili gravi, dette norme si pongono, tuttavia, l’obiettivo di rispettare i principi sulla integrazione degli alunni diversamente abili fissati dalla legge n. 104 del 1992, e, dall’altro, nel contemperare il diritto dei disabili gravi con l’esigenza di bilancio, fanno prevalere quest’ultima.

1.1.2 – I commi 413 e 414 dell’art. 2 della legge n. 244 del 2007 violano, secondo il rimettente, anche gli artt. 4, primo comma, 35 primo e secondo comma, Cost., in relazione all’art. 38, terzo comma, Cost.

Se, infatti, gli artt. 4 e 35 Cost. tutelano e garantiscono il diritto al lavoro, l’art. 38 Cost. riconosce il suddetto diritto in capo ai disabili, con la conseguenza che le disposizioni censurate «facendo venir meno le condizioni minime per la integrazione scolastica» pregiudicano «anche ogni possibilità di […] avviamento professionale in contrasto con i parametri costituzionali suelencati».

1.1.3 – Il giudice a quo ritiene, poi, che le disposizioni censurate siano in contrasto con l’art. 10 Cost., in relazione agli artt. 2, 3, secondo comma, 4, primo comma, 35, primo e secondo comma e 38, terzo comma, Cost.

In particolare, l’art. 10, primo comma, Cost. impone l’adeguamento dell’ordinamento interno alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.

Il rimettente, dopo aver premesso che l’ordinamento internazionale apparirebbe «univocamente orientato ad assicurare ai disabili una tutela effettiva e non meramente teorica», richiama diversi atti internazionali sia a livello universale che regionale a tutela dei disabili; atti che, a suo avviso, sarebbero stati violati dalle norme impugnate. In particolare, menziona la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite a Parigi il 10 dicembre 1948; il Protocollo n. 1 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, adottato a Parigi il 20 marzo 1952; la Carta sociale europea (riveduta), adottata a Strasburgo il 3 maggio 1996 e la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 13 dicembre 2006.

A completamento del quadro normativo internazionale ora indicato, il giudice a quo richiama, inoltre, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea proclamata dal Parlamento europeo, dal Consiglio e dalla Commissione a Nizza il 7 dicembre 2000, nonché il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa firmato a Roma il 29 ottobre 2004.

1.1.4 – Infine, il rimettente ritiene che le disposizioni censurate siano lesive degli artt. 34, primo comma e 38, terzo e quarto comma, Cost., in riferimento agli artt. 30, primo e secondo comma e 31, primo comma, Cost., i quali sanciscono i principi «che la scuola è aperta a tutti e che l’istruzione inferiore è obbligatoria, che anche i disabili hanno diritto all’educazione e che a questo compito provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato», anche in «funzione suppletiva rispetto alla famiglia».

Le norme censurate, a parere del rimettente, non garantirebbero tali diritti in quanto non assicurerebbero al disabile grave, come nel caso di specie, neppure l’istruzione obbligatoria cui ha diritto ex art. 34 Cost. e, conseguentemente, neppure quella di grado superiore, cui pure ha diritto ex art. 38, terzo comma, Cost., finalizzata al suo inserimento nel mondo del lavoro.

Con la disciplina impugnata risulterebbe essere venuta meno, altresì, la funzione affidata allo Stato per rendere effettivo il diritto all’istruzione ex art. 38, quarto comma, Cost., con conseguente ulteriore lesione del corrispondente compito affidato alla famiglia e, in via surrogatoria allo Stato, previsto dall’art. 30, primo e secondo comma, Cost.

Nella stessa «ottica si muove anche l’art. 31, primo comma, Cost. il quale fa carico allo Stato di agevolare l’adempimento dei compiti della famiglia (tra cui è ricompressa l’istruzione) ed appare perciò strutturalmente interconnesso con la concreta attuazione degli obblighi famigliari».

1.2. – In punto di rilevanza, il rimettente osserva che dagli atti di causa risulta provato lo stato di disabilità grave di cui è affetta la ricorrente (riconoscimento dall’apposita commissione medica, attribuzione per l’anno scolastico 2008/2009 delle 25 ore di sostegno settimanale) e che, stante il tenore letterale dell’art. 2, comma 414, della legge n. 244 del 2007, solo l’eventuale accoglimento della questione di legittimità sollevata potrebbe comportare il rigetto dell’appello cautelare e, conseguentemente, il ripristino delle 25 ore di sostegno settimanali; misura quest’ultima, precisa ancora il rimettente, che «le commissioni mediche e sociopedagogiche hanno ritenuto essere il minimo necessario per rendere effettivo» il diritto della ricorrente all’integrazione scolastica ed alla sua istruzione.

2. – È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la Corte dichiari inammissibile o infondata la questione sollevata dal Consiglio della giustizia amministrativa per la Regione Siciliana.

La difesa dello Stato, riportato il testo delle disposizioni censurate, osserva che il nostro Paese ha sempre posto come priorità l’inserimento degli alunni disabili nel mondo scolastico e, successivamente, nella vita lavorativa.

2.1. – Ricostruito il quadro normativo di riferimento, l’Avvocatura ritiene la questione inammissibile per non aver il rimettente motivato in ordine alla rilevanza della stessa.

In particolare, la normativa impugnata, comporta una riforma del sistema di tutela del disabile in grado di garantire a quest’ultimo la fruizione dei diritti costituzionali a lui assegnati. Il comma 413, infatti, pur limitando il numero di posti di insegnanti di sostegno, a decorrere dall’anno 2008-2009, «impone che […] venga assicurata la piena integrazione degli alunni disabili richiamando, a tal uopo, gli strumenti e le direttive» già individuati dall’art. 1, comma 605, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007) «e, pertanto, anche mediante compensazioni tra Province diverse».

Il rimettente non indica i motivi per i quali i suddetti strumenti e, in particolare, la citata compensazione (che consente l’adattamento dell’organico vigente alla dislocazione territoriale), non sono in grado di dare piena tutela alla ricorrente nel giudizio a quo.

Il giudice a quo avrebbe, infatti, erroneamente ritenuto che l’unica possibile tutela per la ricorrente poteva essere l’applicazione della deroga prevista dall’art. 40 della legge n. 499 del 1997, non tenendo conto che essa «si inseriva […] in un contesto normativo completamente diverso» da quello costituito dalle norme censurate.

2.2. – Nel merito, la difesa erariale ritiene la questione infondata.

Osserva l’Avvocatura che il rimettente chiede che sia riconosciuto il diritto ad un numero maggiore di ore di sostegno rispetto a quello individuato dai competenti organi amministrativi.

Tale diritto, a suo avviso, «non può essere identificato tout court con il diritto allo studio o alla salute», essendo più assimilabile ad una mera aspettativa verso lo Stato quale erogatore di pubblici servizi.

In sostanza, quindi, con la sollevata questione il rimettente chiede alla Corte l’adozione di una sentenza additiva che comporterebbe da un lato «nuove o maggiori spese a carico del bilancio statale senza indicare i mezzi per farvi fronte», in violazione dell’art. 81 Cost., e dall’altro, porterebbe la Corte a sostituirsi al legislatore, al quale è demandata l’individuazione delle concrete modalità con le quali realizzare la tutela invocata nel giudizio a quo.

Con riferimento a quest’ultimo aspetto, l’Avvocatura richiama la sentenza n. 251 del 2008 con la quale la Corte ha affermato che, in materia di tutela dei disabili, è compito del legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, individuare gli strumenti più idonei al fine di attuare la suddetta tutela, non potendo ciò essere richiesto alla Corte stessa.

In conclusione, le norme censurate sarebbero frutto del corretto esercizio della citata discrezionalità del legislatore che, nel bilanciare i diversi interessi coinvolti (quello allo studio del disabile e del contenimento della spesa pubblica), ha eliminato la possibilità di derogare al numero di ore di sostegno per i disabili più gravi, pur senza far venir meno il loro diritto all’educazione scolastica.

2.2.1 – In particolare, quanto alla presunta violazione degli artt. 2, 3 e 38 Cost., la difesa dello Stato ritiene che l’attuale disciplina non pregiudica i diritti del disabile, come sostenuto dal rimettente, in considerazione della molteplicità degli interventi normativi a favore di tali persone previsti dagli artt. 12, 13 e 14 della legge n. 104 del 1992.

Specificamente, è prevista l’istituzione, per i minori ricoverati, di classi ordinarie quali sezioni staccate della scuola statale (art. 12, comma 9); la programmazione coordinata dei servizi scolastici con quelli sanitari, socio-assistenziali, culturali, eccetera (art. 13, comma 2, lett. a); la dotazione alle scuole e alle università di attrezzature tecniche e di sussidi didattici (art. 13, comma 2, lett. b) recte: comma 1, lett. a); l’obbligo per gli enti locali di garantire l’attività di sostegno con assegnazione di docenti specializzati (art. 13, comma 3); lo svolgimento di attività didattiche con piani educativi individualizzati (art. 13, comma 5); l’organizzazione dell’attività didattica secondo il criterio della flessibilità nell’articolazione delle classi e delle sezioni in relazione alla programmazione scolastica individualizzata (art. 14, comma 1, lett. b); la continuità educativa tra i diversi gradi di scuola (art. 14, comma 1, lett. c).

Ad avviso dell’Avvocatura dello Stato, tale molteplicità di interventi non può comportare che, laddove è previsto che siano garantite attività di sostegno mediante l’assegnazione di docenti specializzati (art. 13 citato), la persona disabile abbia «il diritto a vedersi attribuito un insegnante di sostegno per un numero di ore predeterminato», dovendo l’amministrazione provvedere in tal senso tenendo conto anche delle risorse economiche disponibili.

2.2.2 – Con il secondo motivo il rimettente sostiene che le disposizioni censurate si pongano in contrasto con gli artt. 4 e 35 Cost., in relazione all’art. 38, terzo comma, Cost., perché farebbero venir meno le condizioni minime per l’integrazione scolastica, con ripercussioni negative sull’avviamento professionale.

In ragione delle citate norme contenute nella legge n. 104 del 1992, l’Avvocatura ritiene che anche la censura in esame sia infondata.

Non sarebbe stato leso neanche l’inserimento del disabile nel mondo del lavoro, essendo quest’ultimo garantito da apposite norme contenute nella legge 12 marzo 1999, n. 68 (Norme per il diritto al lavoro dei disabili).

2.2.3 – In relazione alla denunciata violazione dell’art. 10 Cost., l’interveniente rileva che tale disposizione si riferisce alle norme di diritto internazionale consuetudinario, laddove il giudice a quo si limita a richiamare norme pattizie «senza evidenziare le parti in cui le stesse sarebbero riproduttive di analoghe norme consuetudinarie esistenti nella Comunità internazionale».

L’Avvocatura osserva, inoltre, che le norme internazionali richiamate dal rimettente avrebbero carattere meramente programmatico e lascerebbero agli Stati la discrezionalità nell’individuare le misure con le quali assicurare la fruizione dei suddetti diritti.

2.2.4 – La difesa dello Stato sostiene, infine, che anche le censure relative alla violazione degli artt. 34 e 38 Cost., in relazione agli artt. 30 e 31 Cost. siano infondate, in quanto il legislatore non avrebbe pregiudicato il diritto del disabile all’istruzione obbligatoria di cui all’art. 34 Cost., data la molteplicità degli interventi disposti in tal senso e che la riduzione delle ore di sostegno consentirebbe, comunque, l’integrazione scolastica delle persone disabili.

Non sarebbe leso neanche il diritto del disabile all’inserimento nel mondo del lavoro, previsto dall’art. 38, terzo comma, Cost., e lo Stato non sarebbe venuto meno al suo obbligo di affiancare o sostituire la famiglia nella cura del disabile, come previsto dagli artt. 38, quarto comma, e 30, primo comma, Cost.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 413 e 414, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008), nella parte in cui, rispettivamente, fissano un limite al numero degli insegnanti di sostegno e aboliscono la possibilità di assumere con contratto a tempo determinato i suddetti insegnanti, in deroga al rapporto docenti ed alunni indicato dall’art. 40, comma 3, della legge n. 449 del 1997, in presenza di disabilità particolarmente gravi.

Ad avviso del giudice rimettente le norme censurate violerebbero gli artt. 2, 3, 38, terzo e quarto comma, della Costituzione, in quanto, in contrasto con i valori di solidarietà collettiva nei confronti dei disabili gravi, ne impedirebbero «il pieno sviluppo, la loro effettiva partecipazione alla vita politica, economica e sociale del Paese» ed introdurrebbero «un regime discriminatorio illogico e irrazionale» che non terrebbe conto del diverso grado di disabilità di tali persone, incidendo così sul nucleo minimo dei loro diritti.

Sarebbero, altresì, violati gli artt. 4, primo comma, 35, primo e secondo comma, in relazione all’art. 38, terzo comma, Cost., in quanto da tale violazione deriverebbe l’impossibilità per il disabile grave di conseguire «il livello di istruzione obbligatoria prevista», «quello superiore» e «l’avviamento professionale propedeutico per l’inserimento nel mondo del lavoro».

Le disposizioni statali sopra indicate sono, inoltre, sospettate d’illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 10, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 2, 3, 4, 35 e 38 Cost., in quanto si porrebbero in contrasto con «i principi (recte: norme) di diritto internazionale generalmente riconosciute a favore dei disabili», nonché con il diritto del disabile al pieno sviluppo della sua personalità (art. 2), con il principio di non discriminazione (art. 3), con il diritto all’educazione e all’inserimento nel mondo del lavoro (art. 38).

Infine, le norme censurate sono ritenute di dubbia compatibilità con gli artt. 34, primo comma, e 38, terzo e quarto comma, Cost., in relazione agli artt. 30, primo e secondo comma, e 31, primo comma, Cost., in quanto vanificano «per i disabili gravi la possibilità di accedere alla istruzione in tutte le sue forme e funzioni e disconosc[ono] gli obblighi in tal senso costituzionalmente previsti a carico dello Stato anche in funzione suppletiva della famiglia».

2. – In via preliminare, deve essere respinta l’eccezione di inammissibilità prospettata dal Presidente del Consiglio dei ministri sotto il profilo del difetto di rilevanza.

La difesa erariale osserva, infatti, che il comma 413, pur limitando il numero di posti di insegnanti di sostegno, «impone […] che venga assicurato lo sviluppo dei processi di integrazione degli alunni disabili, richiamando gli strumenti e le direttive individuati» dall’art. 1, comma 605, della citata legge n. 296 del 2006 «e, pertanto, anche mediante compensazioni tra Province diverse». Il rimettente, invero, nel sollevare la presente questione di legittimità costituzionale, non ha indicato i motivi per i quali i suddetti strumenti e, in particolare, la citata compensazione non sono in grado di dare piena tutela alla ricorrente nel giudizio a quo.

In realtà il giudice rimettente è chiamato a pronunciarsi su un provvedimento dell’amministrazione scolastica che, in applicazione delle disposizioni impugnate, ha negato il riconoscimento delle ore di sostegno inizialmente accordate, quindi tenendo conto anche degli strumenti alternativi previsti dalle suddette disposizioni, ivi compreso il citato meccanismo della compensazione delle province.

2.1. – Sempre in via preliminare devono essere dichiarate inammissibili le censure relative alla violazione degli artt. 4, primo comma, 35, primo e secondo comma, Cost., in relazione all’art. 38 Cost., nonché degli artt. 34, primo comma, e 38, terzo e quarto comma, Cost., in relazione agli artt. 30, primo e secondo comma, e 31, primo comma, Cost., in quanto non sufficientemente argomentate, risultando così formulate in modo generico ed apodittico (ex plurimis ordinanza n. 344 del 2008).

3. – Nel merito la questione è fondata.

Preliminarmente va precisato che i disabili non costituiscono un gruppo omogeneo. Vi sono, infatti, forme diverse di disabilità: alcune hanno carattere lieve ed altre gravi. Per ognuna di esse è necessario, pertanto, individuare meccanismi di rimozione degli ostacoli che tengano conto della tipologia di handicap da cui risulti essere affetta in concreto una persona.

Ciascun disabile è coinvolto in un processo di riabilitazione finalizzato ad un suo completo inserimento nella società; processo all’interno del quale l’istruzione e l’integrazione scolastica rivestono un ruolo di primo piano.

4. – Sotto il profilo normativo, il diritto all’istruzione dei disabili è oggetto di specifica tutela da parte sia dell’ordinamento internazionale che di quello interno. In particolare, per quanto attiene alla normativa internazionale, viene in rilievo la recente Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 13 dicembre 2006, entrata in vigore sul piano internazionale il 3 maggio 2008 e ratificata e resa esecutiva dall’Italia con legge 3 marzo 2009, n. 18, il cui art. 24 statuisce che gli Stati Parti «riconoscono il diritto delle persone con disabilità all’istruzione». Diritto, specifica la Convenzione in parola, che deve essere garantito, anche attraverso la predisposizione di accomodamenti ragionevoli, al fine di «andare incontro alle esigenze individuali» del disabile (art. 24, par. 2, lett. c), della Convenzione).

Quanto all’ordinamento interno, in attuazione dell’art. 38, terzo comma, Cost., il diritto all’istruzione dei disabili e l’integrazione scolastica degli stessi sono previsti, in particolare, dalla legge 5 febbraio 1992, n. 104 (legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate); legge che, come già osservato da questa Corte, è volta a «perseguire un evidente interesse nazionale, stringente ed infrazionabile, quale è quello di garantire in tutto il territorio nazionale un livello uniforme di realizzazione di diritti costituzionali fondamentali dei soggetti portatori di handicaps» (sentenza n. 406 del 1992).

In particolare, l’art. 12 della citata legge n. 104 del 1992 attribuisce al disabile il diritto soggettivo all’educazione ed all’istruzione a partire dalla scuola materna fino all’università (comma 2). Questa Corte ha già avuto modo di precisare che la partecipazione del disabile «al processo educativo con insegnanti e compagni normodotati costituisce, infatti, un rilevante fattore di socializzazione e può contribuire in modo decisivo a stimolare le potenzialità dello svantaggiato» (sentenza n. 215 del 1987).

Pertanto, il diritto del disabile all’istruzione si configura come un diritto fondamentale. La fruizione di tale diritto è assicurata, in particolare, attraverso «misure di integrazione e sostegno idonee a garantire ai portatori di handicaps la frequenza degli istituti d’istruzione» (sentenza n. 215 del 1987).

Tra le varie misure previste dal legislatore viene in rilievo quella del personale docente specializzato, chiamato per l’appunto ad adempiere alle «ineliminabili (anche sul piano costituzionale) forme di integrazione e di sostegno» a favore degli alunni diversamente abili (sentenza n. 52 del 2000).

Sempre nell’ottica di apprestare un’adeguata tutela dei disabili, in particolare per quelli che si trovano in una condizione di gravità, il legislatore, con la legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), all’art. 40, comma 1, ha previsto la possibilità di assumere, con contratti a tempo determinato, insegnanti di sostegno in deroga al rapporto alunni-docenti stabilito dal successivo comma 3. Il criterio numerico indicato dalla disposizione da ultimo richiamata è stato poi sostituito con il principio delle «effettive esigenze rilevate», introdotto dall’art. 1, comma 605, lett. b), della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007).

Le disposizioni censurate che prevedono, da un lato, un limite massimo nella determinazione del numero degli insegnanti di sostegno e, dall’altro, l’eliminazione della citata possibilità di assumerli in deroga, si pongono in contrasto con il riportato quadro normativo internazionale, costituzionale e ordinario, nonché con la consolidata giurisprudenza di questa Corte a protezione dei disabili fin qui richiamata.

È vero che, secondo costante giurisprudenza di questa Corte, il legislatore nella individuazione delle misure necessarie a tutela dei diritti delle persone disabili gode di discrezionalità (da ultimo, ex plurimis, sentenze n. 431 e 251 del 2008, ordinanza n. 269 del 2009). Si deve tuttavia riaffermare che, sempre secondo la giurisprudenza di questa Corte, detto potere discrezionale non ha carattere assoluto e trova un limite nel «[…] rispetto di un nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati» (sentenza n. 251 del 2008 che richiama sentenza n. 226 del 2000).

Risulta, pertanto, evidente che le norme impugnate hanno inciso proprio sull’indicato «nucleo indefettibile di garanzie» che questa Corte ha già individuato quale limite invalicabile all’intervento normativo discrezionale del legislatore.

La scelta operata da quest’ultimo, in particolare quella di sopprimere la riserva che consentiva di assumere insegnanti di sostegno a tempo determinato, non trova alcuna giustificazione nel nostro ordinamento, posto che detta riserva costituisce uno degli strumenti attraverso i quali è reso effettivo il diritto fondamentale all’istruzione del disabile grave.

La ratio della norma, che prevede la possibilità di stabilire ore aggiuntive di sostegno, è, infatti, quella di apprestare una specifica forma di tutela ai disabili che si trovino in condizione di particolare gravità; si tratta dunque di un intervento mirato, che trova applicazione una volta esperite tutte le possibilità previste dalla normativa vigente e che, giova precisare, non si estende a tutti i disabili a prescindere dal grado di disabilità, bensì tiene in debita considerazione la specifica tipologia di handicap da cui è affetta la persona de qua.

Alla stregua delle considerazioni che precedono, le disposizioni impugnate si appalesano irragionevoli e sono, pertanto, illegittime nella parte in cui, stabilendo un limite massimo invalicabile relativamente al numero delle ore di insegnamento di sostegno, comportano automaticamente l’impossibilità di avvalersi, in deroga al rapporto tra studenti e docenti stabilito dalla normativa statale, di insegnanti specializzati che assicurino al disabile grave il miglioramento della sua situazione nell’ambito sociale e scolastico.

Restano assorbiti gli altri profili di censura dedotti dal giudice rimettente.
P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 413, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 208), nella parte in cui fissa un limite massimo al numero dei posti degli insegnanti di sostegno;

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 414, della legge n. 244 del 2007, nella parte in cui esclude la possibilità, già contemplata dalla legge 27 dicembre 1997, n. 449, di assumere insegnanti di sostegno in deroga, in presenza nelle classi di studenti con disabilità grave, una volta esperiti gli strumenti di tutela previsti dalla normativa vigente.

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