FATTO
Con delibera 25 9 1991 n. 1182 il Comune di Montesilvano approvava la perizia di variante al progetto per la sistemazione di una strada; con delibera n. 588 del 29 5 92 e con decreto sindacale del 9 6 1992 si disponeva l’occupazione temporanea per anni tre. La delibera n 567 del 9 6 95 prorogava di due anni i termini, ma alla data del 1 7 1997 il decreto di esproprio non era ancora adottato.
Secondo la parte ricorrente ci si trova quindi in presenza di un’occupazione acquisitiva, per cui chiede il risarcimento dei danni commisurato al valore venale dei beni, previo accertamento dell’avvenuta acquisizione a titolo originario delle proprietà dei ricorrenti, oltre che al risarcimento per il deprezzamento del residuo terreno per la perdita di accesso al raccordo stradale, ordinando la trascrizione del trasferimento della proprietà.
Resiste in giudizio il Comune.
Con memoria depositata il 7 febbraio 2009 i ricorrenti hanno ulteriormente ribadito le proprie argomentazioni.
Il Comune con memoria depositata il 12 febbraio 2009 ha precisato le sue conclusioni.
Infine nel corso della pubblica udienza del 19 febbraio 2009 la causa è stata trattenuta per le decisione.
DIRITTO
1. – Con il ricorso in esame – come sopra esposto – è stata chiesta la condanna dell’Amministrazione comunale intimata al risarcimento dei danni per l’illegittima occupazione di un’area di proprietà del ricorrente.
Era, invero, accaduto che il Comune di Montesilvano con delibera 25 9 1991 n. 1182 avesse approvato la perizia di variante al progetto per la sistemazione di una strada; successivamente con delibera n. 588 del 29 5 92 e con decreto sindacale del 9 6 1992 aveva disposto l’occupazione temporanea per anni tre. La delibera n 567 del 9 6 95 prorogava di due anni i termini, ma alla data del 1 7 1997 il decreto di esproprio non era ancora adottato.
In sostanza, all’occupazione aveva fatto seguito la costruzione della strada, ma non l’adozione del decreto di esproprio ed il pagamento delle relative indennità.
2. In via pregiudiziale deve rilevarsi che con riferimento a tale pretesa nella sostanza fatta valere con il ricorso, sembra sussistere la giurisdizione di questo Tribunale a conoscere della controversia dedotta.
Come sopra già precisato, invero, il ricorrente ha subito da parte del Comune un’occupazione acquisitiva (e non usurpativa), in quanto alla legittima occupazione d’urgenza non ha mai fatto seguito l’adozione del decreto di esproprio, e rivendica nella sostanza il pagamento dei danni subiti.
Ora della questione si è più volte occupata la giurisprudenza amministrativa e questo TAR (tra le tante, sentenza n. 673 del 2007), la quale – pur con alcune perplessità ha ripetutamente avuto modo di affermare che, dopo le sentenze della Corte Costituzionale 6 luglio 2004, n. 204, e 11 maggio 2006, n. 191, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario a conoscere delle controversie aventi ad oggetto il risarcimento del danno derivante da occupazione c.d. usurpativa ove tale occupazione non sia in alcun modo riconducibile all’esercizio di un potere amministrativo, mentre sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo ove l’occupazione sia riconducibile all’esercizio di un potere amministrativo (cfr., da ultimo Cons. giust. amm. reg. Sic., 20 giugno 2007, n. 504, e Cons. St., sez. VI, 7 settembre 2006, n. 5190, e 4 agosto 2006, n. 4763, e sez. IV, 22 giugno 2006, n. 3878).
A tale giurisprudenza – va ulteriormente ricordato – ha già aderito, anche di recente, la sede di L’Aquila di questo Tribunale (cfr. le sentenze 29 maggio 2007, nn. 272-279), per cui deve ritenersi sussistente la giurisdizione del Giudice amministrativo a conoscere della controversia dedotta, in quanto l’occupazione del bene in questione (da qualificarsi come “acquisitiva” e non come “usurpativa”) è certamente collegata e riconducibile all’esercizio di un potere amministrativo, dal momento che – come già detto – tale occupazione non è avvenuta “sine titulo”, ma è riconducibile all’esercizio di un pubblico potere.
Sul punto va ricordata altresì la decisiva pronuncia dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 30 luglio 2007 n. 9, secondo cui l’occupazione di un immobile da parte di un’amministrazione, che si protragga senza un decreto di esproprio anche dopo la scadenza dei termini fissati nella dichiarazione di pubblica utilità, è pur sempre riconducibile all’esercizio del pubblico potere e, di conseguenza, le relative vertenze risarcitorie sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 34 d.lg. 31 marzo 1998 n. 80 e dell’art. 53 t.u. 8 giugno 2001 n. 327.
3. – Ciò posto e per passare all’esame nel merito delle richieste di cui al ricorso, va in punto fatto precisato che i terreni di proprietà della parte ricorrente, da anni occupati, hanno oggi subito per le particelle 1793 e in parte 1794 una irreversibile modificazione con l’esecuzione dei lavori di costruzione della strada in questione; inoltre, neanche alla data odierna, risulta siano stati assunti gli atti conclusivi della procedura espropriativa. Infine la residua parte di terreno confinante avrebbe – nella prospettazione di parte ricorrente – subito un deprezzamento essendo rimasta interclusa.
Dall’esame degli atti e considerando quanto concordemente rappresentato dalle parti sembrano, pertanto, pacifiche le seguenti circostanze:
a) che non è stato assunto, neanche alla data odierna, il decreto definitivo di esproprio;
b) che vi è stata una irreversibile trasformazione di parte delle aree di proprietà della parte ricorrente, mentre le aree residue avrebbero subito un deprezzamento;
c) che non sono state corrisposte somme o indennità per l’occupazione delle aree in questione.
Non sembra, infine, che l’Amministrazione abbia assunto l’atto di cui all’art. 43 del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327.
Partendo da tali premesse in punto di fatto, va ricordato che tale art. 43, come è noto, ha disposto che “valutati gli interessi in conflitto, l’autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso vada acquisito al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario vadano risarciti i danni”, con l’ulteriore precisazione che tale atto di acquisizione debba dare “atto delle circostanze che hanno condotto alla indebita utilizzazione dell’area, indicando, ove risulti, la data dalla quale essa si è verificata” e debba determinare “la misura del risarcimento del danno e ne dispone il pagamento, entro il termine di trenta giorni, senza pregiudizio per l’eventuale azione già proposta”.
La genesi di tale disposizione è stata oggetto di diffusa analisi da parte dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, che con decisione 29 aprile 2005, n. 2, ha avuto modo di affermare che, in caso di illegittimità della procedura espropriativa e di realizzazione dell’opera pubblica, l’unico rimedio riconosciuto dall’ordinamento per evitare la restituzione dell’area è l’emanazione del provvedimento di acquisizione ex art. 43, in assenza del quale l’Amministrazione non può addurre l’intervenuta realizzazione dell’opera pubblica quale causa di impossibilità oggettiva e quindi come impedimento alla restituzione ed, in tal senso e con le precisazioni esposte, l’istituto dell’acquisizione c.d. sanante di cui all’articolo 43, commi 1 e 2, rispetta i parametri imposti dalla Corte europea e dai principi costituzionali, perché:
a) l’acquisto del bene avviene in virtù di un provvedimento previsto dalla legge e, soprattutto, con efficacia ex nunc, sicché sono rispettate le esigenze di chiarezza dell’ordinamento e di preminenza del diritto;
b) il provvedimento è sindacabile e l’esercizio della discrezionalità è circondato da particolari cautele di cui va verificato il rispetto in sede giurisdizionale;
c) è in ogni caso assicurato il risarcimento del danno;
d) in assenza di provvedimento, la restituzione dell’area non può essere impedita, se non per scelta autonoma del privato che rinunci alla restituzione.
Con tale decisione è stato, infine, precisato che tale art. 43 è applicabile anche nei confronti delle procedure nelle quali risulti intervenuta prima dell’entrata in vigore del D.P.R. n. 327 del 2001 la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza; con la conseguenza che tale disposizione consente, in caso di apprensione e modifica di res sine titulo o con titolo annullato, la possibilità di neutralizzare la domanda di restituzione della parte interessata o con l’adozione di un atto formale preordinato all’acquisizione del bene (con corresponsione di quanto spettante a titolo risarcitorio) o con la speciale domanda giudiziale formulata nel processo di cui è parola nello stesso art. 43.
Ciò posto, sembra al Collegio evidente dall’esame degli scritti difensivi della parte resistente che questa non sia disposta a restituire il bene in questione, che è utilizzato per fini pubblici e che, pertanto, la parte ricorrente abbia diritto al risarcimento per la perdita del bene. Peraltro, va, in aggiunta, ricordato che la stessa parte ricorrente non ha chiesto con il ricorso la restituzione dei beni immobili in questione, ma esclusivamente il pagamento di una somma a titolo di risarcimento dei danni.
4. – Tale richiesta con riferimento a quanto sopra esposto non può non esser accolta, in quanto dall’esame degli atti sembra evidente che alla data odierna l’occupazione in atto sia abusiva, né sembra per un verso che il diritto al risarcimento dei danni si sia prescritto.
Va al riguardo ricordato che, esaminando una controversia analoga a quella ora all’esame, il Giudice di appello ha di recente avuto modo di chiarire (Cons. St., sez. IV, 27 maggio 2007,) la mancanza di pregio dei principi più volte affermati praeter legem dalla giurisprudenza, per i quali anche in assenza di un atto di natura ablatoria, l’Amministrazione acquista a titolo originario la proprietà dell’area altrui, quando su di essa abbia realizzato in tutto o in parte un’opera pubblica, in attuazione della dichiarazione della pubblica utilità e che dalla data in cui si verifica tale acquisto, comincia a decorrere il termine quinquennale per il risarcimento del danno, derivante dalla perdita del diritto di proprietà.
Tali principi, invero, non sono condivisibili, per due essenziali ragioni: in primo luogo, perché dai principi della Convenzione Europea sui diritti dell’uomo, che hanno una diretta rilevanza nell’ordinamento interno, emerge il principio che preclude di ravvisare una “espropriazione indiretta” o “sostanziale”, pur in assenza di un idoneo titolo, previsto dalla legge; in secondo luogo, perché tali principi oggi contrastano con il predetto art. 43 del testo unico n. 327 del 2001, già sopra analizzato, il cui testo e la cui ratio non consentono di ritenere sussistente un termine quinquennale, decorrente dalla trasformazione irreversibile dell’area o dalla realizzazione dell’opera, decorso il quale si verificherebbe la prescrizione della pretesa risarcitoria.
Al contrario, l’art. 43 ribadisce il principio per il quale, nel caso di occupazione sine titulo, vi è un illecito il cui autore ha l’obbligo di restituire il suolo e di risarcire il danno cagionato, salvo il potere dell’Amministrazione di fare venire meno l’obbligo di restituzione, con l’atto di acquisizione del bene al proprio patrimonio.
5. – In applicazione del disposto dell’art. 35 del D.L.vo 31 marzo 1998, n. 80, si dispone, pertanto, che la parte resistente, al fine di risarcire il danno cagionato con l’illegittima ed irreversibile trasformazione degli immobili in questione, debba proporre alla parte ricorrente entro sessanta giorni dalla comunicazione della presente sentenza una somma applicando i criteri di cui n. 6 del predetto art. 43, con la precisazione che, ove le parti non giungano ad un accordo, potrà essere chiesta a questo Tribunale la determinazione della somma dovuta.
Il risarcimento del danno, dovrà, pertanto, essere determinato “nella misura corrispondente al valore del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità” e, in ogni caso, “col computo degli interessi moratori, a decorrere dal giorno in cui il terreno sia stato occupato senza titolo”.
Quanto alla diminuzione patrimoniale del terreno residuo rimasto in proprietà dei ricorrenti, essa non sussiste, considerato che dalla documentazione in atti emerge come le zone attigue a quelle oggetto di acquisizione, ancorché intercluse, abbiano beneficiato dal punto di vista economico dell’ampliamento della sede stradale. Per questa parte il ricorso va quindi rigettato.
Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso in esame deve, conseguentemente, essere accolto nella parte e nel senso sopra indicati e, per l’effetto, il Comune resistente dovrà procedere ad una quantificazione dei danni cagionati alla parte ricorrente dalla illegittima ed irreversibile trasformazione dell’immobile in questione.
La spese, secondo la nota regola, seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo, Sezione di Pescara, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, in parte lo accoglie e in parte lo rigetta come da motivazione.
Condanna il Comune di Montesilvano a corrispondere alla parte ricorrente la somma di euro 3.000 (tre mila) a titolo di spese, competenze ed onorari di difesa, oltre agli oneri di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Pescara nella camera di consiglio del giorno 19/02/2009 con l’intervento dei Magistrati: (omissis)