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Amministrativo Enti locali Sentenze

TAR Abruzzo Pescara, sez. I, 28 aprile 2008, n. 449

Redazionedi Redazione28 Aprile 2008
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iscrizione contemporanea a due albi professionali

FATTO

Riferisce il ricorrente, Ispettore capo della Polizia di Stato, in servizio presso la Questura di Pescara, di essere stato sottoposto a procedimento disciplinare a seguito del rapporto del 30.11.2006, con cui il Dirigente della Squadra mobile di Pescara segnalava che in due occasioni il ricorrente aveva denigrato la figura e l’operato del detto Dirigente, nonché screditato l’immagine della Polizia di Stato.
Il Consiglio di disciplina, dopo aver udito nella seduta del 2.3.2007, l’incolpato, deliberava di proporre a maggioranza l’irrogazione della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per mesi uno, deliberazione alla quale si uniformava il Capo della polizia, emanando il provvedimento impugnato, notificato il 21.5.2007, con ricorso notificato il 12.6.2007, con cui si deduce con il primo motivo la nullità dell’atto in quanto privo di data, mancanza questa rilevante poiché l’art. 21 del DPR n. 737/1981 stabilisce che il decreto che irroga la sanzione deve essere notificato all’interessato entro dieci giorni dalla sua data, che a sua volta è rilevante ai fini della decorrenza dei termini per la perenzione del procedimento, ex art. 120 del T.U. sul pubblico impiego.
Con la seconda doglianza si denuncia la violazione dell’art. 16 del DPR 737/1981 in relazione all’art. 149 del DPR n. 3/1957 e del principio costituzionale di cui all’art. 97, in quanto il Vice Questore aggiunto, Dott. Claudio Mastromattei, componente del Consiglio di disciplina, avrebbe dovuto astenersi, avendo espresso solidarietà al collega Dirigente della Squadra mobile.
Si denuncia poi con il terzo motivo dedotto l’illegittimità dell’impianto accusatorio basato sull’uso illegittimo di intercettazioni ambientali acquisite nell’ambito di un procedimento penale a carico di altri soggetti e al quale è del tutto estraneo il ricorrente.
Con la quarta censura prospettata si sostiene che il comportamento disciplinarmente sanzionabile, ai sensi dell’art. 6 del DPR n. 737/1981, sarebbe quello posto in essere dal dipendente che denigra l’Amministrazione con atti e fatti che si riflettano sul decoro delle funzioni, ma non una conversazione privata svoltasi in una stanza chiusa non accessibile al pubblico.
Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata, che replica alle tesi avversarie, ritenendole infondate e chiedendo che il ricorso sia rigettato.
La causa è stata trattenuta per la decisione nell’udienza pubblica del 20 marzo 2008, in cui, durante la discussione orale, il difensore della parte ha chiesto a verbale che il TAR disponga una consulenza in ordine alla trascrizione dei nastri che hanno intercettato le conversazioni intrattenute dal ricorrente nell’ufficio del Sindaco; ha altresì richiesto termine per poter presentare un certificato relativo ai carichi pendenti del ricorrente.

DIRITTO

Le richieste avanzate dal difensore del ricorrente durante la trattazione orale del ricorso vanno disattese.
La prima di tali richieste, che mira alla nomina di un CTU che trascriva i nastri su cui sono state registrate le conversazioni intrattenute in due incontri dal ricorrente nell’ufficio del Sindaco di Montesilvano, va respinta in quanto l’Amministrazione, che a ciò ha provveduto, è stata in grado di desumere in modo chiaro ed inequivoco elementi di colpevolezza dell’interessato.
Quanto all’ulteriore richiesta, va pure essa respinta, perché del tutto irrilevante, ai fini del decidere, appare la presentazione del certificato relativo ai carichi pendenti del ricorrente, che il difensore in ogni caso avrebbe potuto produrre nei termini di legge.
Il ricorso non appare fondato.
In ordine al primo motivo, secondo cui l’atto impugnato, privo di data, sarebbe nullo anche perché trattasi di elemento rilevante sotto diversi profili, si osserva preliminarmente che è lo stesso ricorrente a riconoscere che la mancanza della data non comporta “de jure” la nullità dell’atto.
Relativamente alla rilevanza della data per quanto previsto dall’art. 21.4 del DPR 737/1981 (che impone all’amministrazione di notificare all’interessato il decreto che irroga la sanzione disciplinare entro dieci giorni dalla data di emanazione), si replica che detto termine ha natura ordinatoria e non perentoria, non essendo prevista alcuna conseguenza in caso di mancato rispetto del termine stesso, per cui perde d’importanza la mancanza dell’elemento di cui discutesi (C.S.A.P. 27.6.2006, n. 10; TAR Toscana, sez. I, 28.3.2006, n. 1098).
Sostiene altresì il ricorrente che la data è rilevante ai fini della decorrenza dei termini per la perenzione del procedimento disciplinare, ex art. 120 del DPR 10-1.1957, n. 3.
La norma citata prevede in effetti un termine perentorio, poiché sanziona l’estinzione del procedimento disciplinare quando siano decorsi novanta giorni dall’ultimo atto senza che nessun ulteriore atto sia stato compiuto.
Nella specie, il decreto, privo di data, che ha irrogato la sanzione, è stato notificato il 21.5.2007, sicché deve necessariamente assumersi tale data quale quella coincidente con l’emanazione del decreto stesso.
Poiché l’ultimo atto compiuto del procedimento è stato quello della Commissione di disciplina, la cui seduta si è tenuta il 2.3.2007, l’atto impugnato, notificato – si ripete – il 21.5.2007, risulta adottato nel rispetto del termine di cui all’art. 120 citato, con che si dimostra che la mancanza della data non ha avuto alcuna incidenza negativa sulla validità ed efficacia dell’atto, né ha avuto riflessi negativi sotto altri profili.
Al motivo con cui si rileva l’obbligo di astensione del componente il Consiglio di disciplina, dott. Mastromattei, si osserva che le cause di ricusazione od astensione, previste dall’art. 149 del DPR n. 3/1957, richiamato dall’art. 16.13 del DPR n. 737/1981, sono tassative e vanno applicate con criterio di stretto rigore.
In data 18.11.2006 l’Associazione nazionale funzionari di Polizia, tramite la Segreteria provinciale, ha espresso solidarietà al collega Dirigente della Squadra mobile di Pescara, Dott. Zupo, destinatario di gravissime e intollerabili intimidazioni solo per aver condotto una delicata indagine che ha determinato l’adozione di misure cautelari nei confronti del Sindaco di Montesilvano e di esponenti del mondo politico e imprenditoriale. La dichiarazione di solidarietà contiene altre espressioni di critica e di condanna di coloro che hanno tentato di calunniare e diffamare detto Dirigente, risultato destinatario di pesanti attacchi, rivolti anche alla sua famiglia.
Per tale dichiarazione, il Dott. Mastromattei, secondo il ricorrente, si sarebbe dovuto astenere dal partecipare al Consiglio di disciplina.
L’assunto non merita di essere condiviso perché tale dichiarazione non riguarda il ricorrente, risultando espressa, in sede sindacale, in relazione agli attacchi di cui il Dott. Zupo era risultato destinatario da parte della classe politica e imprenditoriale per le indagini che lo stesso stava svolgendo ed anche perché è anteriore all’atto di contestazione di addebiti che reca la data del 14.12.2006.
Dalla dichiarazione di solidarietà di cui sopra non è inoltre dato evincere alcuna specifica e personale situazione di grave inimicizia del Dott. Mastromattei nei confronti del ricorrente, per cui non ricorre né tale causa di ricusazione o di astensione obbligatoria, né quella di cui alla lett. b) del menzionato art. 149, non potendo la dichiarazione predetta essere posta sullo stesso piano di chi ha dato consigli o manifestato il suo parere sull’oggetto del procedimento fuori dell’esercizio delle sue funzioni.
A nulla rileva poi che il predetto componente del Consiglio di disciplina sia stato alquanto severo nei suoi apprezzamenti nella sede in cui si è assunta collegialmente la decisione di sanzionare il ricorrente, rientrando ciò nel suo potere, discrezionalmente esercitato in relazione ai fatti, ritenuti evidentemente particolarmente gravi.
L’irrilevanza della dichiarazione resta confermata anche dal mancato esercizio del diritto di ricusazione da parte dell’odierno ricorrente.
Infondato è anche il motivo circa la pretesa inutilizzabilità delle intercettazioni ambientali quali fonti di prova.
La giurisprudenza sul punto è di avviso diverso rispetto a quello espresso in ricorso.
Si è affermato che il principio dell’inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite (art. 191 c.p.p.) opera nel solo processo penale, sicché non dispiega effetti nell’ambito del procedimento disciplinare attivato dalla P.A. nei confronti del proprio dipendente, procedimento per il quale ogni dato idoneo a fondare un determinato convincimento è utilizzabile, purché esso sia “ab estrinseco” legittimo, posto che il sistema sanzionatorio non conosce il principio di tipicità delle fonti di prova (TAR Sicilia, Palermo, sez. I, 15.1.2003, n. 22).
Il divieto, di cui all’art. 270 c.p.p., di utilizzare i risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi da quelli nei quali sono state disposte, riguarda i procedimenti penali diversi, ma non già i procedimenti disciplinari, per i quali -come detto- deve ritenersi valida l’acquisizione , comunque avvenga, di ogni notizia rilevante sotto il profilo della responsabilità disciplinare.
L’Amministrazione è venuta a conoscenza del comportamento gravemente sleale del proprio dipendente a seguito di intercettazioni ambientali mirate ad accertare le condotte degli amministratori del Comune di Montesilvano, registrando le conversazioni intrattenute dal ricorrente in due incontri con il Sindaco del detto Comune e in cui l’interessato si è lasciato andare a gravi affermazioni lesive della dignità e onorabilità del Dirigente della Squadra mobile e dell’immagine e decoro della Polizia di Stato.

Inammissibile è infine la censura con cui si tenta di dimostrare l’insussistenza dell’illecito disciplinare in quanto impinge nel merito del giudizio sulla gravità della infrazione commessa, essendo rimessa esclusivamente al potere dell’Amministrazione di valutare la rispondenza della condotta tenuta dal proprio dipendente ai canoni di lealtà e ai doveri di istituto, che andavano e vanno, nella specie, osservati con maggior rigore, trattandosi di un dipendente che riveste la delicata qualifica di Ispettore capo della Polizia di Stato.
La sanzione comminata trova fondamento, contrariamente a quanto si sostiene, nell’art. 6.3, n. 3 del DPR 737/1981, che prevede la sospensione dal servizio per “denigrazione dell’Amministrazione o dei superiori”, fatto che si avvera anche quando si verifichi in una conversazione con altre persone (nella specie il Sindaco di Montesilvano e un assessore del detto Comune, cui rivelava peraltro circostanze e fatti riservati), posto che in ogni occasione un dipendente della Polizia di Stato è tenuto ad essere leale e fedele verso l’Amministrazione di appartenenza e i suoi funzionari e ad osservare i propri doveri di istituto.
Correttamente pertanto l’Amministrazione ha valutato detti fatti gravemente lesivi dei doveri cui è tenuto un Ispettore capo di polizia, comminando una sanzione che deve ritenersi rispondente al criterio di proporzionalità o adeguatezza, valutazione questa che spetta in via esclusiva all’Amministrazione e che è insindacabile in sede di giudizio di legittimità, salva la manifesta illogicità, ipotesi questa che non ricorre nel caso di specie (TAR Lazio, Latina, 20.4.2004, n. 222).
Per le ragioni tutte che precedono il ricorso va respinto.
Le spese di causa seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, respinge il ricorso in epigrafe.
Condanna il soccombente al pagamento delle spese di causa che si liquidano in € 2.000,00.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Pescara nella camera di consiglio del giorno 20/03/2008 con l’intervento dei Magistrati:
(omissis)

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