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TAR Liguria, sez. I, 10 dicembre 2018, n. 956

Redazionedi Redazione26 Gennaio 2019Aggiornato il:26 Gennaio 2019
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iscrizione contemporanea a due albi professionali

FATTO
La Società Grandi Stazioni p.a., partecipata da Ferrovie dello Stato con capitale pubblico maggioritario, è stata costituita alla scopo di riqualificare e gestire i complessi immobiliari delle tredici maggiori stazioni ferroviarie italiane.
Il programma di interventi, denominato “Programma Grandi Stazioni”, è stato approvato con deliberazione del C.I.P.E. n. 10 del 14 marzo 2003, secondo la procedura disciplinata dall’art. 1 della legge 21 dicembre 2001, n. 443 (cd. “legge obiettivo”).
Con la deliberazione suddetta, è stato approvato, tra l’altro, il progetto definitivo di riqualificazione, adeguamento e messa a norma della stazione di Genova Principe, comprendente sia gli spazi per i servizi ferroviari propriamente intesi sia quelli utilizzati per i cosiddetti “servizi secondari”, inclusi gli ambienti dedicati ad attività commerciali.
Ai sensi dell’art. 1 della citata legge n. 443/2001 e dell’art. 4 del d.lgs. 20 agosto 2002, n. 190, l’approvazione del progetto definitivo consentiva la realizzazione di tutte le opere previste, sostituendo ogni altro titolo abilitativo comunque denominato, compreso il permesso di costruire.
Con atto del 28 giugno 2016, è stata disposta la scissione parziale di Grandi Stazioni S.p.a. che ha mutato la propria denominazione in Grandi Stazioni Rail S.p.a.: il ramo di azienda dedicato allo sfruttamento economico dei complessi immobiliari delle principali stazioni ferroviarie è stato trasferito alla Società di nuova costituzione Grandi Stazioni Retail S.p.a.
Ciò premesso, la questione dedotta nel presente giudizio concerne l’applicabilità del contributo di costruzione agli spazi del fabbricato della stazione diversi rispetto a quelli destinati alle attività ferroviarie in senso stretto.
Facendo seguito a precedenti comunicazioni, infatti, il Comune di Genova ha inviato alle Società ricorrenti la nota del 22 novembre 2016, con cui chiedeva il pagamento del contributo di costruzione relativo agli spazi destinati ad attività commerciali o assimilabili, quantificato nella somma complessiva di € 278.071,55, calcolata sulla base delle tabelle in vigore nel Comune di Genova per interventi di ristrutturazione edilizia per funzioni commerciali (€ 105,53/mq).
Con il ricorso in epigrafe, notificato il 19 gennaio 2017 e depositato il 2 febbraio successivo, Grandi Stazioni Rail S.p.a. e Grandi Stazioni Retail S.p.a. contestano la pretesa suddetta e chiedono che, previo annullamento della citata nota comunale, sia accertata l’insussistenza dell’obbligo di corrispondere la somma ivi indicata.
Questi i motivi di gravame:
I) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1, legge n. 443/2001, e 4, comma 5, d. lgs. 190/2002, in relazione agli artt. 16 e 17, d.P.R. 380/2001 nonché agli arttt. 2934, 2943 e 2946 cod.civ. Estinzione per prescrizione.
Il termine per far valere il preteso diritto al pagamento del contributo di costruzione decorreva dalla data di approvazione del progetto definitivo da parte del C.I.P.E., sicché tale diritto risultava prescritto al momento della quantificazione e richiesta del contributo.
II) Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1, legge n. 443/2001, 1 e seg., d. lgs. 190/2002. Violazione della delibera CIPE 14/3/2003 in relazione dell’art. 17 del d.P.R. n. 380/2001 nonché all’art. 7, l.r. 25/1995.
Sussistono i presupposti soggettivi e oggettivi per l’applicazione dell’esenzione prevista dall’art. 17, comma 3, lettera c), t.u. edilizia.
Inoltre, trova applicazione nella fattispecie l’art. 7 della legge regionale ligure n. 25 del 1995, secondo cui, nel caso di immobili a destinazione mista, si applica la tariffa relativa alla funzione prevalente, ossia quella di stazione ferroviaria che è esonerata dal pagamento del contributo di costruzione.
III) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 41 e seg., l. 443/2001, d.lgs. n. 190/2002, delibera CIPE 11/3/2003 in relazione all’art. 17, d.P.R. 380/2001. Falsità del presupposto e/o travisamento.
In subordine, è illegittima l’applicazione della tariffa prevista per le attività commerciali a tutti gli spazi dedicati a “servizi secondari”, compresi quelli destinati al servizio tendenzialmente esclusivo dei viaggiatori, quali bar e ristoranti.
Inoltre, è illegittima la pretesa di applicare la tariffa oggi vigente, anziché quella inferiore che vigeva nel 2003.
Si costituiva formalmente in giudizio l’intimato Comune di Genova.
Con atto notificato il 28 settembre 2017, parte ricorrente ha proposto un’istanza cautelare in via autonoma, in ragione della sopravvenuta emissione della cartella di pagamento.
L’istanza cautelare è stata accolta con ordinanza n. 278 del 25 ottobre 2017.
In prossimità dell’udienza di trattazione, la difesa comunale ha depositato una memoria con cui prende posizione nel senso dell’infondatezza delle tesi di controparte.
Le ricorrenti hanno controdedotto con memoria di replica.
Il ricorso, quindi, è stato chiamato alla pubblica udienza del 7 novembre 2018 e trattenuto in decisione.
DIRITTO
1) Le Società ricorrenti, affidatarie degli interventi di riqualificazione della stazione ferroviaria di Genova Principe nell’ambito del programma di opere strategiche delineato dalla cosiddetta “legge obiettivo” n. 443 del 2001, contestano la pretesa del Comune di Genova inerente al pagamento del contributo di costruzione relativamente agli spazi del fabbricato destinati a “servizi secondari”, comprendenti locali destinati ad attività commerciali e di ristoro per i viaggiatori.
2) Con il primo motivo di ricorso, le esponenti eccepiscono l’intervenuta prescrizione del diritto de quo.
Esso, infatti, avrebbe avuto decorrenza dalla data di approvazione del progetto definitivo delle opere che, ai sensi dell’art. 1 della citata legge n. 443, sostituiva tutti i titoli abilitativi necessari per la loro realizzazione, compreso il permesso di costruire.
Posto che il progetto definitivo è stato approvato con provvedimento del C.I.P.E. in data 14 marzo 2003, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 161 del 14 luglio 2003, il termine di prescrizione sarebbe ampiamente scaduto al momento della richiesta del contributo di costruzione, effettuata con nota comunale del 22 novembre 2016.
L’eccezione non è fondata.
E’ vero, infatti, che il dies a quo per il computo della prescrizione relativa al contributo di costruzione decorre, in linea di principio, dal rilascio del titolo edilizio, nella fattispecie sostituito dalla deliberazione con cui il C.I.P.E. ha approvato il progetto definitivo delle opere.
La ratio sottesa all’art. 2935 c.c. implica, però, che la prescrizione non possa decorrere se non dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, vale a dire dal momento in cui sono esattamente noti tutti gli elementi necessari per la determinazione dell’entità della somma dovuta.
Ciò comporta che, ai fini della decorrenza del termine di prescrizione, il progetto debba essere definito con un grado di dettaglio tale da consentire la precisa determinazione, alla stregua dei parametri prestabiliti, del quantum dell’obbligazione gravante sul privato.
Nel caso in esame, già al momento della presentazione del progetto di intervento, il Comune aveva espressamente evidenziato la necessità di acquisire “elaborati di integrazione progettuale riguardanti il preciso computo delle superfici e l’indicazione delle specifiche funzioni per servizi primari e secondari per i viaggiatori” (cfr. deliberazione di Giunta n. 1031 del 5 settembre 2002).
La quantificazione del contributo presupponeva, quindi, l’esatta definizione delle superfici destinate a commercio e pubblici servizi, concretamente resa possibile solo attraverso la documentazione pervenuta al Comune nella fase conclusiva dei lavori.
Solo da tale momento, è stato possibile determinare la distribuzione e la consistenza degli spazi (potenzialmente) rilevanti ai fini della contribuzione, sicché va disattesa l’eccezione di prescrizione sollevata dalla parte ricorrente.
3) E’ fondato, invece, il secondo motivo di ricorso, concernente la sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’esenzione prevista dall’art. 17, comma 3, lettera c), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
Tale disposizione, nella parte di specifico interesse, stabilisce che “il contributo di costruzione non è dovuto: per gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti”.
La ratio di tale previsione si identifica chiaramente con l’agevolazione degli interventi preordinati al soddisfacimento di esigenze della collettività, onde evitare che siano imposti oneri concessori al soggetto che interviene per l’attuazione del pubblico interesse.
Per integrare la fattispecie normativa, peraltro, si rende necessario il concorso di due requisiti: uno di carattere oggettivo e l’altro di carattere soggettivo.
Non è sufficiente, cioè, che l’intervento riguardi opere pubbliche o di interesse generale (requisito oggettivo), ma si richiede anche che le opere siano realizzate da un “ente istituzionalmente competente” (requisito soggettivo).
Sotto quest’ultimo profilo, condivisa giurisprudenza ha chiarito che la nozione di “enti istituzionalmente competenti” non comprende solo i soggetti pubblici, ma anche i soggetti privati, purché l’opera sia realizzata per conto di un ente pubblico (cfr., fra le ultime, T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 3 novembre 2016, n. 2011).
Non può ostare al riconoscimento dell’esenzione in parola, pertanto, il fatto che l’intervento di adeguamento funzionale della stazione ferroviaria di Genova Principe sia stato realizzato da un soggetto avente natura formalmente privatistica.
Rimane da stabilire, sul piano oggettivo, se l’intervento sugli spazi destinati a “servizi secondari” sia ascrivibile o meno alla categoria delle “opere pubbliche o di interesse generale” che legittima l’esenzione.
L’Amministrazione resistente ritiene che gli interventi di ristrutturazione delle parti di una stazione ferroviaria destinate ad attività commerciali non possano essere considerati alla stregua di opere pubbliche o di interesse generale, dovendosi avere esclusivo riguardo all’obiettiva destinazione delle superfici, tanto più che gli spazi in questione vengono utilizzati a titolo oneroso e che le attività ivi insediate non sono riservate ai soli viaggiatori.
Tale argomentazione non persuade.
Le moderne stazioni ferroviarie, infatti, non si limitano a fornire accesso ai binari, vendita di biglietti e informazioni ai viaggiatori, ma sono ordinariamente corredate di servizi per l’utenza che comprendono attività di ristoro ed esercizi commerciali di varia natura.
Come nel caso degli aeroporti, tali attività si pongono in inscindibile nesso funzionale con le esigenze dei soggetti che fruiscono del servizio di trasporto, sicché è lecito affermare che i relativi spazi costituiscono parte integrante dell’infrastruttura ferroviaria e che gli interventi su di essi concorrono alla configurazione dell’opera di interesse generale.
Nel caso di specie, peraltro, la difesa comunale si è limitata a rimarcare l’estensione degli spazi in questione, ma non ha allegato più circostanziati elementi atti a dimostrare, ove del caso, che i locali commerciali della stazione ferroviaria costituiscano un polo di attrazione per la clientela “esterna”, come se si trattasse di una galleria commerciale aperta alla città che beneficia di una rendita di posizione derivante dall’ubicazione presso una grande stazione ferroviaria.
Non è stato dimostrato, in sostanza, che l’esistenza di esercizi commerciali nella stazione di Genova Principe risponda concretamente ad esigenze diverse da quelle dei clienti/viaggiatori che vi afferiscono.
Gli interventi di ristrutturazione degli spazi in questione non configurano, perciò, opere con evidente destinazione commerciale, bensì necessarie per garantire, attraverso il soddisfacimento di esigenze fondamentali degli utenti (particolarmente evidenti nel caso di attività quali gli esercizi di ristoro o le rivendite di giornali), condizioni di efficienza imprescindibili per rendere il servizio ferroviario competitivo rispetto alle altre modalità di trasporto.
In ragione del vincolo indissolubile con le necessarie condizioni di qualità del servizio, si deve conseguentemente ritenere che gli esercizi in parola non siano semplicemente strumentali al servizio ferroviario in senso stretto, ma concorrano alla sua erogazione, sicché la riqualificazione degli spazi ad essi dedicati non esorbita dal perimetro dell’opera di interesse generale.
Per tali ragioni, la prospettazione di parte ricorrente merita di essere condivisa e, per l’effetto, deve essere accertata l’insussistenza dell’obbligazione relativa al pagamento del contributo di costruzione preteso dal Comune di Genova, attesa l’applicabilità dell’esenzione ex art. 17, comma 3, lettera c), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
4) Prescindendo dalla censura relativa alla violazione dell’art. 7, l.r. n. 25/1995, nonché da quelle dedotte in via subordinata con il terzo motivo di gravame, pertanto, il ricorso è fondato e deve essere accolto.
La novità della questione affrontata induce a disporre l’integrale compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione.
Per l’effetto, annulla l’atto impugnato e accerta la non debenza della somma richiesta dal Comune di Genova per contributo di costruzione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 7 novembre 2018 con l’intervento dei magistrati:
(omissis)

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