Fatto
La ricorrente P. R. è titolare di una azienda agricola sita in Savoca (Me), omissis, ed ivi anche di un fabbricato rurale il cui piano terraneo è adibito a stalla.
Nel corso di accertamenti eseguiti dal Comune ai fini della definizione di un altro contenzioso giudiziario pendente (per altri aspetti) presso questo stesso Tar, è stata riscontrata l’esecuzione di ampliamenti edilizi abusivi riguardanti il predetto fabbricato rurale, consistenti in particolare in: 1) nel cd. corpo A – incremento di volume in elevazione (per mc 28,42), ed incremento di volume in ampliamento (per mc. 38,50); 2) nel cd. corpo B – manufatto in mattoni forati e copertura in eternit (per mc 203 circa), manufatto in blocchi di cemento e copertura in eternit (per mc. 50,86).
Con ordinanza n. 1 del 22 giugno 2007 il Responsabile dell’Area Tecnica del Comune di Savoca ha pertanto ordinato la demolizione delle realizzazioni abusive, previa rimozione e smaltimento delle coperture in eternit da eseguire secondo un piano autorizzato dalla competente A.U.S.L.
Avverso la predetta ordinanza è stato proposto il ricorso in epigrafe – ritualmente notificato e depositato – con il quale si deducono le seguenti censure:
1) violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della L.R. 37/1985 – Incompetenza;
2) ulteriore profilo di incompetenza ratione materiae del responsabile dell’Area tecnica del Comune di Savoca;
3) violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della L. 241/90;
4) violazione dell’art. 3 della L. 241/90 – eccesso di potere sotto il profilo della erroneità dei fatti presupposti, del difetto di istruttoria, della contraddittorietà con proprie precedenti determinazioni, dell’arbitrarietà e della manifesta ingiustizia – abuso di potere e/o sviamento;
Si è costituito in giudizio per controdedurre e resistere il Comune di Savoca.
Con ordinanza n. 1067/2008 è stata rigettata la domanda di sospensione cautelare dell’atto impugnato.
In vista dell’udienza di trattazione del merito parte ricorrente ha depositato una memoria difensiva, nella quale viene anche precisato che il Comune ha successivamente avviato il procedimento per l’acquisizione gratuita degli immobili per cui è causa.
Alla pubblica udienza del 21 maggio 2009 la causa è stata trattenuta per la decisione.
Diritto
Il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto.
1. Il primo motivo di ricorso è imperniato sulla asserita incompetenza del Dirigente dell’Area Tecnica, derivante dal fatto che il provvedimento impugnato avrebbe dovuto essere adottato ai sensi dell’art. 2 L.R. 37/1985 dal Sindaco, nella qualità di autorità di vigilanza sull’attività urbanistico/edilizia.
La censura è destituita di fondamento.
Il potere di adottare atti repressivi in materia urbanistico/edilizia è stato trasferito, negli enti locali, ai dirigenti con l’art. 107, lett. g, del T.U.E.L. approvato con D. Lgs. 267/2000, in attuazione del principio generale che riserva agli organi di governo solo poteri di indirizzo e di controllo, e che demanda all’apparato burocratico comunale l’emanazione degli atti di gestione. Deve, quindi, ritenersi implicitamente abrogata la competenza in precedenza riconosciuta al Sindaco in tale materia (Cfr. Tar Lazio Roma, 3866/2008).
Ma vi è di più. Tale peculiare riparto di competenze fra organi di indirizzo ed organi di gestione non è una innovazione del legislatore del 2000, ma risale già all’ordinamento sulle autonomie locali di cui alla Legge n. 142/1990, e specificamente (per la materia che qui interessa) all’art. 51, lett. f-bis introdotta con la L. 127/1997.
Non vi è, quindi, dubbio sul fatto che anche in Sicilia la repressione degli abusi edilizi sia di competenza dirigenziale (cfr. Tar Palermo, 754/2002; Tar Catania, 5/2006; Id. 180/2008) posto che la L. 142/1990 (e le sue successive modifiche) è stata espressamente recepita dalla Regione con le LL.RR. 48/1991 e 23/1998.
2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia un altro profilo di incompetenza dell’organo che ha emesso il provvedimento impugnato, facendo specifico riferimento alla parte in cui vengono dettate speciali precauzioni per la rimozione dei tetti in eternit.
Questa circostanza – a parere della ricorrente – connoterebbe l’atto come “ordinanza contingibile ed urgente” adottata per emergenze di pubblica igiene o per garantire l’incolumità dei cittadini, e rientrerebbe certamente nella competenza esclusiva del Sindaco ai sensi degli artt. 50 o 54 del D. Lgs. 267/2000.
Anche tale profilo di incompetenza non sussiste. In realtà, il provvedimento impugnato non assume (né ambisce ad esserlo) il ruolo di ordinanza contingibile ed urgente ex artt. 50 o 54 del T.U.E.L.: da una parte, è significativo il fatto che le predette norme non siano neanche richiamate nel preambolo; dall’altra parte, non ne ricorrono comunque i presupposti normativi. In particolare, non appare sussistente né il “caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale” cui fa riferimento l’art. 50; né la necessità di “prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana” di cui all’art. 54 citato.
La realtà è diversa. Il Dirigente comunale competente a disporre la demolizione degli abusi edilizi si è solo preoccupato di rispettare le norme del D. Lgs. 22/1997 (Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), che viene infatti citato nel preambolo, per evitare che la demolizione irrogata potesse comportare di fatto la dispersione di dannose particelle di eternit nell’ambiente. Quindi, vengono solo regolamentate alcune cautele che si innestano in un ordinario procedimento di demolizione di manufatti abusivi.
3. Con il terzo motivo, parte ricorrente denuncia la violazione delle regole sulla partecipazione procedimentale dettate dall’art. 7 della L. 241/90, che le avrebbe impedito di introdurre nel procedimento una rilevante argomentazione: quella relativa alla vetustà delle opere, risalenti ad un periodo in cui la normativa non richiedeva autorizzazione alcuna.
Senza addentrarsi nel dibattito giurisprudenziale riguardante la spettanza o meno di tale comunicazione nel procedimento di demolizione degli abusi edilizi, si osserva che la censura risulta infondata già in base alle controdeduzioni della difesa del Comune.
Si specifica, infatti, che l’argomentazione riguardante la preesistenza delle opere era già stata sostenuta (infruttuosamente) dalla ricorrente nel parallelo contenzioso instaurato con il medesimo Comune avverso il diniego di autorizzazione sanitaria. Ne discende che il vizio di mancata comunicazione dell’avvio di procedimento non invalida il provvedimento in esame, posto che – ai sensi dell’art. 21 octies L. 241/90 – il contenuto di questo non avrebbe potuto risentire dell’intervento in funzione dialettica della parte interessata, che aveva già espresso all’Amministrazione il proprio punto di vista sulla questione.
4. Più articolato risulta il quarto motivo di ricorso, con il quale si deduce:
4.1. in primo luogo, che i corpi aggiunti oggetto dell’ordine di demolizione risalirebbero ad epoca remota, antecedente al 1967, come affermato anche con perizia giurata redatta ai fini del parallelo giudizio svolgentesi innanzi a questa stessa A.G. In secondo luogo, ed in via subordinata, la ricorrente deduce che anche a ritenere di non poter datare esattamente le opere edilizie realizzate, esse risalgono certamente a molti anni addietro, sicché il provvedimento repressivo oggi avversato sarebbe intervenuto tardivamente, a molti anni di distanza dalla realizzazione dell’abuso e senza apposita motivazione, quando ormai si era ingenerato un affidamento nel privato proprietario.
4.2. Per altro verso, la ricorrente rileva la insufficiente identificazione delle tre tettoie (anch’esse oggetto di demolizione) e ne deduce, inoltre, il carattere pertinenziale, dal quale discende – sul piano giuridico – il loro assoggettamento solo al regime dell’”autorizzazione” edilizia, e non della “concessione”, ed – in mancanza di titolo edilizio – la conseguente irrogabilità solo di sanzioni pecuniarie, e non ripristinatorie (quale è l’ingiunta demolizione).
4.3. In ultimo – per quanto concerne le coperture in eternit – la ricorrente contesta la valutazione implicita di pericolosità di detto materiale adombrata nel provvedimento impugnato, sostenendo che i rischi per la salute sono connessi solo all’abrasione ed allo sfaldamento dell’eternit, eventi questi che non si possono verificare in atto con la semplice adibizione a mera copertura.
Anche tale censura risulta infondata.
Sotto il primo profilo – quello concernente la vetustà degli interventi – il Collegio rileva l’infondatezza della tesi di parte ricorrente: non sussiste, infatti, contrasto tra le osservazioni contenute nel provvedimento impugnato, nel quale si dà atto che i corpi di fabbrica originari (denominati convenzionalmente A e B) sono antichi, risultano regolarmente catastati come particella 603 del foglio 15, ma sono stati oggetto di abusivo ampliamento in sopraelevazione ed estensione superficiale (il corpo A), e in sola estensione superficiale (il corpo B).
La predetta descrizione non è, quindi, smentita dalle risultanze contenute nella perizia giurata dell’Ing. Filippo Russo, offerta come prova dalla ricorrente, nella quale viene affermato che “Considerata la tipologia ed il grado di vetustà delle murature e dell’immobile nel suo insieme, il sottoscritto è in grado di affermare che l’epoca di realizzazione è sicuramente antecedente al 1° settembre 1967. La ditta proprietaria, inoltre, ha dichiarato che successivamente a tale data nell’immobile in oggetto non sono stati eseguiti lavori per i quali era necessario il rilascio di concessione od autorizzazione edilizia da parte del Comune di Savoca”.
Dunque, il perito afferma espressamente ciò che oggi non è contestato: ossia, che l’immobile “nel suo insieme” è di antica fattura.
Ma l’abuso rilevato dal Comune è un altro, e consiste nella successiva realizzazione di ampliamenti costruttivi, innestati su una struttura legittima e preesistente: queste realizzazioni successive emergono già icto oculi dalle fotografie prodotte in seguito al sopralluogo effettuato da Comune, che mostrano delle aggiunte realizzate con materiale edilizio diverso, che risalta sulle vecchie mura della costruzione.
La perizia giurata quindi non può essere utile alla ricorrente per fornire la prova della vetustà anche delle opere aggiunte. Anche perché nella predetta perizia il tecnico non si è assunto la responsabilità di affermare che l’antico manufatto non è stato ampliato o modificato in seguito, ma si è limitato a riportare – sul punto – l’affermazione de “la ditta proprietaria” che – ovviamente – non può costituire prova o principio di prova.
In conclusione, l’assunto della preesistenza degli ampliamenti alla data del 1967 non è provato. E, dunque, non può essere contestata l’affermazione sulla natura abusiva (per mancanza della necessaria concessione) contenuta nel provvedimento impugnato. Né può invertirsi l’onere della prova, addossando al Comune il compito di provare che le opere sono state realizzate in un certa epoca.
Né maggiore successo ottiene la seconda parte della censura, laddove si lamenta la tardività dell’intervento repressivo del Comune a fronte di una (non meglio determinata) “anzianità” dei lavori abusivi.
Infatti, a prescindere dalla non configurabilità di un “affidamento” a seguito della realizzazione di un illecito, l’accertamento specifico delle soprelevazioni e degli ampliamenti contestati sembra risalire solo ad epoca recente: il sopralluogo effettuato dal Comune nel 2006, cui è seguita nel 2007 l’ordinanza di demolizione oggi impugnata.
Per altro verso, la censura è infondata anche nella parte riguardante le coperture in eternit di apposte sui locali costruiti in allargamento del corpo B.
È, infatti, evidente che la preventiva presentazione di un piano di smaltimento dell’amianto approvato dall’A.U.S.L. imposta dal Comune resistente è collegata alla specifica esecuzione dei lavori di demolizione ingiunti e risulta funzionale alla tutela della salute nella specifica circostanza, essendo questo il momento in cui si concretizza il rischio di frantumazione e dispersione dell’eternit.
Per quanto concerne, invece, la parte del provvedimento in cui viene ingiunta la rimozione di n. 3 tettoie, che la ricorrente ritiene non essere individuate in maniera sufficientemente chiara, e che assumerebbero però – sempre secondo la ricorrente – natura di mere pertinenze non demolibili (ma sanzionabili solo sotto il profilo pecuniario), occorre fare una precisazione in punto di fatto.
In verità, né il provvedimento impugnato, né le fotografie prodotte dal Comune consentono di individuare autonome strutture abusive costituite da semplici tettoie (cioè, da coperture prive di pareti laterali annesse ad altro fabbricato principale), se ne deve dedurre che il provvedimento voleva verosimilmente fare riferimento alle coperture dei locali realizzati abusivamente, che dovranno essere demolite insieme ai locali sottostanti, salve restando le particolari prescrizioni imposte per quelle coperture che risultano realizzate in eternit.
In sintesi, non può essere isolata nel provvedimento una specifica prescrizione che imponga la demolizione di altre “tettoie”, oltre quelle costituenti copertura dei locali abusivi rinvenuti.
In conclusione, il ricorso non può essere accolto, ma si stimano sussistenti giusti motivi per compensare le spese processuali tra le parti costituite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia – sezione staccata di Catania (sez. interna I^) – rigetta il ricorso in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 21/05/2009 con l’intervento dei Magistrati:
(omissis)