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Tribunale civile di Milano, sez. IX, 21 maggio 2013

Redazionedi Redazione30 Dicembre 2014Aggiornato il:30 Dicembre 2014
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iscrizione contemporanea a due albi professionali

PREMESSA IN FATTO
M ed N contraevano matrimonio in data … 1999, in Milano, con rito civile. Dall’unione nascevano i figli …., tutti minorenni. In data 3 gennaio 2013, depositavano consensualmente in Cancelleria ricorso perché fosse pronunciata, tra di loro, la separazione personale, allegando la sopravvenuta intollerabilità della convivenza. In data 3 aprile 2013, comparendo dinanzi al Presidente del Tribunale, confermavano le condizioni di separazione condivise e, in particolare, prevedevano:
1) l’affidamento condiviso dei figli con collocamento presso la madre, cui assegnata la casa coniugale;
2) libero diritto di visita del padre, secondo accordi con la madre;
3) corresponsione, da parte del padre, di un assegno di mantenimento per la prole, pari ad euro 125,00 per ciascuno dei figli, da versare alla madre mensilmente. Nelle condizioni di separazione, i coniugi prevedevano, originariamente, nell’atto di ricorso, la cessione, da parte del marito in favore della moglie, della quota pari al 50% della piena proprietà del suo immobile sito in Milano alla via …. (già casa coniugale), con accollo da parte di entrambi del 50% del mutuo. Comparendo dinanzi al Presidente, modificavano la clausola de qua e prevedevano che N trasferisse a titolo gratuito alla moglie la proprietà superficiaria per 90 anni della quota del 50% dell’appartamento coniugale sito in Milano alla via …. Nell’atto introduttivo del giudizio, segnalavano che la cessione della proprietà rappresentava la modalità attraverso la quale N erogava, in favore della M, il mantenimento a questa riconosciuto: in particolare, davano atto che il trasferimento avveniva “a titolo solutorio per l’assolvimento dell’obbligo di mantenimento del marito nei confronti della moglie” (v. ricorso, pag. 4, clausola n. 16). L’impostazione non mutava con il trasferimento della proprietà superficiaria in luogo di quella piena (v. verbale di separazione, pag. 8, clausola n. 10). Sempre in occasione dell’udienza del 3 aprile 2013, i coniugi segnalavano che nella cessione era compresa una quota di comproprietà sull’area e su tutti i vani ed enti comuni (v. allegati relativi alla proprietà condominiale). Così precisando la comune volontà, le parti richiedevano pronunciarsi l’omologa dell’accordo di separazione. Il Presidente rimetteva gli atti al Pubblico Ministero, riservandosi di riferire in camera di consiglio.
CONSIDERAZIONI IN DIRITTO 1. LEGALITÀ DEL CONTENUTO NEGOZIALE DELL’ACCORDO
In via preliminare devono essere rilevate le incongruenze logico-giuridiche che si rintracciano nel tessuto negoziale sottoscritto dalle parti e che non rendono immediatamente percepibile come univoca la volontà dei coniugi. A parte ogni rilievo circa l’utilizzo improprio dei termini “piena proprietà” e “proprietà superficiaria” e, dunque, in merito alla differenza tra diritto dominicale e diritto di superficie (il primo, originario oggetto del ricorso; il secondo, oggetto del verbale di separazione), deve rilevarsi come la M abbia dichiarato, ai sensi dell’art. 1665 c.c., di avere visitato l’immobile e di “sollevare il venditore” da ogni responsabilità (v. verbale di udienza, pag. 3, paragrafo quinto): in tal modo, tuttavia, le parti si sono riferite alla cessione a titolo oneroso, al cospetto di un atto essenzialmente donativo, seppur con causa mista, ed hanno chiamato in causa la disciplina del contratto di appalto, del tutto inconferente. Va comunque rilevato come, in realtà, l’equivoco utilizzo delle frasi nel ricorso e nel verbale di separazione si traduca anche in una errata prospettazione della effettiva realtà in diritto: come risulta ad acta (v. atto notarile versato nel fascicolo), N e M, con rogito registrato in data 17 dicembre 2003, hanno acquistato (in comproprietà) dall’Azienda Lombarda per l’Edilizia residenziale di Milano (ALER, già IACPM) “il diritto di superficie” (v. art. 1), per anni 90, a partire dal 10 ottobre 1996. Ma nemmeno la stessa Aler è la proprietaria (v. art. 9 contratto) in quanto il bene immobile è stato alla stessa ceduto, in diritto di superfice, dal CIMEP, giusta atto notarile del 25 novembre 1995, con immissione in possesso dal 10 ottobre 1996.
Un ulteriore problema logico-giuridico riguarda, poi, la validità negoziale dell’atto e la sua stessa opponibilità all’Azienda lombarda. L’accordo sottoscritto da cedente il diritto di superficie e superficiari, infatti, espressamente richiama, in modo cogente e vincolante, un accordo ulteriore integrante il rogito (la cd. “Convenzione” che è richiamata con il regime giuridico della relatio bilaterale; v., infatti, art. 8 del contratto) che le parti non hanno versato in atti e, dunque, non vi è modo di conoscere eventuali limitazioni alla legittimazione negoziale e soprattutto eventuali divieti imperativi imposti dall’ente cedente a tutela di interessi pubblici (trattandosi di edilizia sovvenzionata ed agevolata). Un’ unica ma significativa limitazione si apprende, tuttavia, dalla lettura dell’art. 9 del contratto tra Aler ed acquirenti, in cui viene trascritta la clausola n. 8 della convenzione: ebbene, si tratta di un vincolo di indisponibilità poiché gli acquirenti non possono cedere a terzi il proprio diritto se non alle condizioni stabilite dalla citata convenzione. Condizioni di cui non si rintraccia alcuna menzione nell’accordo di separazione. Un limite contrattuale ulteriore si apprezza nell’art. 10: a pena di risoluzione, gli acquirenti hanno l’obbligo di “abitare effettivamente l’alloggio”. A ben vedere, l’accordo di separazione entra in regime di interferenza con la disciplina pubblicistica e, soprattutto, introduce clausole dispositive del bene immobile in assenza dell’intervento dell’Azienda lombarda che, in questo modo, viene, di fatto, estromessa da una convenzione che la riguarda e privata della possibilità di porre in essere gli eventuali poteri (autoritativi o contrattuali) di competenza. In un quadro quale quello così ricostruito, non è affatto possibile portare a termine, in modo soddisfacente, il controllo di legalità dell’accordo che, anzi, allo stato dà esito negativo, per tutti i motivi segnalati.
2. LEGITTIMITÀ DEL TRASFERIMENTO DEL DIRITTO REALE IN SEDE DI SEPARAZIONE CONSENSUALE
Inoltre il Collegio non può non rimarcare come lo stesso si ponga in insanabile contrasto
con l’indirizzo espresso da questa sezione, a partire dal 6 marzo 2009. Questo Tribunale ha infatti affermato che (v. ex multis, Trib. Milano, sez. IX, decreto 16 dicembre 2009, est. G. Servetti) – pur riconoscendo che possa essere considerato ius receptum nel nostro ordinamento la possibilità per i coniugi di pattuire trasferimenti di diritti reali, anche immobiliari, nel quadro delle più generali pattuizioni che accompagnano le ipotesi di soluzione consensuale della crisi coniugale e che, tuttavia, “non è detto che la pattuizione debba avvenire in sede giudiziale” (Trib. Bari, 8 aprile 2008) – lo strumento della dichiarazione (n.d.r. di trasferimento del diritto reale) a verbale differisce profondamente dall’atto pubblico redatto da notaio ai sensi della legge notarile. Infatti, in quest’ultimo caso, le parti sono assistite da un professionista in grado di assicurare, ad esempio, la ottimale ricognizione della consistenza del bene e dei suoi confini; la sua libertà da trascrizioni pregiudizievoli al momento dell’atto; la capacità delle parti; la possibilità di evitare clausole nulle. La rinuncia a tali cautele comporta per le parti una garanzia per così dire minore, che mette gravemente in discussione il precetto costituzionale dell’effettività della tutela giurisdizionale (artt. 3, 2° comma, e 24 Cost.) dal momento che le parti, pur ottenendo un effetto traslativo del diritto ed una possibile trascrizione, assumono dei rischi (inesatta identificazione del bene e della sua provenienza, sussistenza di pesi ecc.) che innanzi al notaio sarebbero invece cautelati, oltre che da professionalità specifica da uno specifico statuto disciplinare e deontologico del soggetto che roga l’atto”. Nell’ambito dell’indirizzo in parola, questo Tribunale ha anche affermato che le parti, per effetto della loro autonomia contrattuale e della conseguente interpretazione dell’art. 711 c.p.c. e 4, comma 16°, Il Collegio non ignora certo come il giudice superiore, in passato, non abbia condiviso l’indirizzo qui espresso; e, tuttavia, l’ermeneutica respinta dalla Corte di Appello deve, invero, ritenersi oggi confermata dai più recenti interventi normativi del Legislatore: si tratta della legge 30 luglio 2010 n. 122, di conversione del d.l. 21 maggio 2010 n. 78. L’art. 19 comma IV del saggio di legificazione in parola ha, infatti, manipolato l’art. 29 della legge 27 febbraio 1985 n. 52, inserendo il comma 1-bis in cui si prevede che: «Gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti , ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie , sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. La predetta dichiarazione può essere sostituita da un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale. Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari».
Ebbene, come emerge in modo univoco e limpido, il Legislatore – nel più ampio contesto delle misure urgenti intese a contrastare l’elusione fiscale e contributiva – ha espressamente demandato al «notaio» e non ad altri operatori, il compito della individuazione e della verifica catastale, nella fase di stesura degli atti traslativi così concentrando, nell’alveo naturale del rogito notarile, il controllo indiretto statale a presidio degli interessi pubblici coinvolti. Ne consegue, quale corollario fisiologico, che il controllo del notaio non può certo essere sostituito da quello del giudice, ostandovi l’evidente quanto pacifica diversità di ruolo e funzioni. Soprattutto, comunque, si versa in un ambito governato dal principio di tassatività e legalità in cui la figura professionale scelta dal legislatore (notaio) è insuscettibile di interpretazione analogica. A ben vedere, l’intervento legislativo costituisce una ferma risposta alle perplessità espresse da tempo al tema qui in esame, imperniate sull’inettitudine del verbale dell’udienza presidenziale di separazione consensuale ed al verbale di udienza collegiale nella causa divorzile a fare le veci dell’atto pubblico notarile. È stato in particolare osservato come, nel procedimento avanti al giudice, non vi sia alcuna garanzia del rispetto della normativa urbanistica (con riferimento alle menzioni previste dalla legge a pena di nullità dell’atto di trasferimento immobiliare) e di quella tributaria (anche alla luce delle continue modifiche immesse nell’Ordinamento). Anche la giurisprudenza di merito più recente, peraltro, re melius perpensa, si è orientata nel senso di non ritenere più ammissibili i trasferimenti immobiliari in seno alle separazione consensuali o ai divorzi congiunti (ex multis, v. Trib. Alba, Circolare del 30 maggio 2012; Trib. Bologna, con effetto dall’1 gennaio 2013).
CONCLUSIONI
Rilevato
che la tradizionale distinzione tra contenuto necessario ed eventuale del verbale di separazione è finalizzata ad individuare un nucleo essenziale in assenza del quale il giudice dovrebbe senz’altro negare l’omologazione, ma non a stabilire i confini del provvedimento di omologa;
che in sede di omologazione delle condizioni di separazione personale il tribunale deve operare il doveroso controllo di aderenza delle clausole proprie della prima categoria alle norme di legge ed alla tutela dei diritti indisponibili delle parti, specie con riguardo alle questioni di status ed alla posizione della prole minore;
che, nel caso in esame, i coniugi, nel formalizzare l’accordo, hanno inserito la clausola del trasferimento immobiliare, clausola che rientra nell’espressione della loro autonomia negoziale,
ma che , per tutti i motivi sopra delineati, non può essere avallata da questo Tribunale;
che, peraltro, dagli atti non si evince la volontà di subordinare la separazione consensuale alla possibilità di effettuare in questa sede il trasferimento con effetti reali, dacché esso riguarda solo il diritto di superficie , mentre comunque la casa coniugale è stata assegnata alla
moglie, garantendole la possibilità di abitarvi con i figli;
che la rinuncia all’assegno di mantenimento da parte della moglie è espressa “ a fronte della
cessione gratuita dell’immobile, ma tale cessione, come già riportato, è solo relativa al diritto di superficie e le parti potranno procedere separatamente, alla stregua dei principi privatistici e contrattuali nelle deputate sedi;
che le ulteriori pattuizioni risultano confacenti all’interesse dei minori;
che in applicazione del generale principio di conservazione dell’atto, deve procedersi all’omologazione del verbale sottoscritto dalle parti quanto al suo contenuto necessario e tipico, rispetto al quale non si ravvisano elementi di valenza ostativa,
P. Q. M.
Visto l’art. 711 c.p.c.,
OMOLOGA
il verbale di separazione personale sottoscritto dai coniugi M e N in data 3.4.2013 limitatamente
alle condizioni sub 4)5)6)7)8)9)11)12)13)14)15)16)17).
Dichiara non luogo a provvedere in ordine alle residue condizioni.
Così deciso in Milano, in camera di consiglio, il 21 maggio 2013.
Il Cancelliere Il presidente
Dott.ssa Nadia Dell’Arciprete

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