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Banca Borsa Mercati finanziari Sentenze

Tribunale di Padova, 13 gennaio 2016

Avv. Gianluca Lancianodi Avv. Gianluca Lanciano11 Marzo 2016
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iscrizione contemporanea a due albi professionali

-Omissis-

Parte attrice ha convenuto in giudizio parte convenuta chiedendo
l’accertamento della usurarietà della pattuizione degli interessi nei
due mutui, uno a tasso fisso ed uno variabile e la conseguente
condanna alla restituzione di quanto illegittimamente addebitato.
Si è costituita la convenuta chiedendo respingersi le domande
attoree.
La causa, documentale, è stata inviata in decisione senza attività
istruttoria. Le domande attoree sono infondate vanno rigettate.

FATTO E DIRITTO
Va in primo luogo osservato che nella comparsa di costituzione parte convenuta non ha sollevato alcuna eccezione di prescrizione sicché quella precisazione contenuta nella terza memoria di parte convenuta deve essere un refuso di un’altra causa.
Parimenti è infondata l’eccezione di carenza di interesse ad agire spiegata dalla convenuta perché, se fosse fondata la doglianza dell’attore, l’interesse si rinvenirebbe nell’ottenimento della restituzione di quanto pagato.
Nel merito le domande attoree sono palesemente infondate e le domande vanno respinte.
Va in primo luogo osservato che in realtà entrambi i mutui sono a tasso variabile. Il primo (8240772 del 20/01/2004) prevede un tasso fisso del 3,1% solo per i primi sei mesi perché poi diventa a tasso variabile. Il secondo invece (10305340 del 20/09/2007) è integralmente variabile.
L’unica doglianza che si rinviene nell’atto di citazione è che dalla sommatoria tra i tassi corrispettivi e quelli moratori si sforerebbe la soglia usura.
L’attore ha precisato di aver integralmente estinto entrambi i rapporti e non ha dedotto, o meglio non ha contestato quanto eccepito dalla convenuta, di essere mai andato in mora.
Va certamente ribadita la correttezza della deduzione attorea per cui la usurarietà della pattuizione va rilevata nella sua genesi poiché se l’usura si verifica in concreto nel corso dell’applicazione delle pattuizioni, si parlerà al più di usura sopravvenuta e non già originaria.
Tuttavia, nel caso di specie, ciò appare inverosimile poiché, essendo i contratti di mutuo oggetto di causa a tasso variabile ancorato all’EURIBOR, i tassi avranno avuto un andamento conforme all’andamento di quel tasso e l’attrice non ha mai dedotto alcunché sul modo di svilupparsi del tasso nel corso del rapporto, concentrandosi esclusivamente sull’originaria pattuizione, sicché si deve dare per assodato che la banca abbia correttamente recepito le variazioni periodiche dell’EURIBOR, come da contratto, mancando alcuna doglianza sul punto.
Il primo mutuo (8240772 del 20/01/2004) prevedeva un tasso corrispettivo iniziale del 3,10%. Il tasso medio di riferimento, citato dallo stesso attore, era all’epoca del 4,24% e quello soglia del 6,36% come riconosciuto dalla stessa parte attrice.
Il tasso corrispettivo è talmente lontano dalla soglia che non vi è alcuna possibilità che quel tasso abbia superato la soglia né l’attore ha introdotto elementi di fatto che possano indurre a ritenere che vi sia stato uno sforamento.
Maggiori problematiche lo pone il tasso di mora.
La mora pattuita in entrambi i contratti prevede una clausola particolare di salvaguardia che di fatto garantisce alla banca che il tasso di mora sia il tasso soglia usura arrotondato per difetto a favore del correntista.
Tale clausola impedisce ab origine che quella pattuizione possa sforare la soglia proprio per come è stata pattuita. Diverso sarebbe il caso se in effetti la banca avesse applicato interessi usurari perché la clausola di salvaguardia non potrebbe essere idonea ad elidere una clausola che sia già usuraria ab origine. I contratti prodotti però non presentano tale problematica sicché si può soprassedere dall’esame approfondito della questione.
In ogni caso coglie nel segno parte attrice laddove riferisce che nella giurisprudenza si sta affermando il principio per cui per confrontare il tasso di mora, che non viene rilevato dai decreti trimestrali ministeriali, si debba operare un aumento per la mora media rilevata dalla Banca d’Italia con un delta del 2,10%.
È vero che nessuna norma o nessuna fonte secondaria prevede l’obbligo di tale maggiorazione, tuttavia tale maggiorazione va applicata per sopperire a quello che è evidentemente un vuoto, ovvero la mancata rilevazione trimestrale dei tassi medi di mora.
Quella rilevazione media consente di rendere confrontabile un dato, l’interesse di mora, che in caso contrario si esporrebbe alla facile censura di voler confrontare il tasso di mora medio soglia usura con una cosa diversa ovvero con il tasso corrispettivo medio soglia usura.
Poiché il tasso di mora è di norma anche pattuito proprio come una maggiorazione del tasso corrispettivo con uno spread, tale metodo di calcolo si presta anche a rappresentare un criterio ragionevole ed omogeneo al fine di verificare se il tasso di mora pattuito sia o meno usurario ab origine.
Nel caso di specie il tasso di mora del primo mutuo (8240772 del 20/01/2004) fu pattuito nel 6,35% mentre quello soglia era del 9,51%, calcolato applicando il valore medio del 2,1% ed il moltiplicatore della legge 108/96 (1,5 fino al terzo trimestre del 2011).
Medesima valutazione va fatta per il secondo mutuo (10305340 del 20/09/2007) il cui tasso di mora fu pattuito nel 8,85% mentre quello soglia era del 11,52%.
Non può invece in alcun modo essere preso neppure in considerazione il metodo di calcolo offerto dall’attore che vorrebbe sommare gli interessi corrispettivi con quelli di mora perché tale metodo di calcolo non si rinviene nei contratti prodotti né esiste alcuna norma di legge o anche di rango inferiore, che induca ad operare tale sommatoria.
Totalmente infondata è anche la deduzione per cui il metodo di ammortamento alla francese genererebbe un indebito anatocismo.
È pur vero che per la determinazione della rata periodica nell’ammortamento francese viene utilizzata la formula di capitalizzazione composta, ma, ciò non ha alcun effetto nella determinazione della quota interessi, calcolata sul debito residuo, quindi sul solo capitale.
La nota formula matematica del piano di ammortamento alla francese viene utilizzata esclusivamente per determinare l’equivalenza tra il totale delle quote capitale contenute nelle rate e il prestito, in pratica con la formula è determinato l’unico importo della rata costante che sia in grado di rimborsare quel prestito, con l’applicazione di quel tasso ed in quel lasso di tempo.
Va quindi rigettata l’eccezione relativa al metodo di ammortamento alla francese che non genera, all’evidenza, alcun effetto anatocistico illegittimo. L’unica doglianza fondata sarebbe quella afferente alla maggiore onerosità del piano di ammortamento con il metodo alla francese piuttosto che di quello con il metodo all’italiana, ma l’onerosità di un piano di rimborso non è stata dedotta e sarebbe in ogni caso irrilevante non avendo conseguenze in punto di nullità, ma afferendo alla convenienza di una certa proposta contrattuale rispetto ad altra.
Non colgono nel segno neppure le doglianze relative alle spese accessorie che vengono esposte in modo apodittico e rapportate in forma percentuale in modo errato non avendo le spese richiamate alcun raffronto con la durata del rapporto come se addebitare 5 euro per comunicazioni periodiche nel corso di un anno per un mutuo trentennale di 50.000 euro potesse portare ad affermare che quelle spese incidono per uno 0,0001% sul tasso pattuito, sommandosi ad esso aritmeticamente, per verificare il superamento del tasso soglia. Se davvero si volesse fare un simile raffronto lo si dovrebbe fare sulla durata trentennale del rapporto e ciò porterebbe ad un valore pari a 0,000003% ovvero un numero incredibilmente piccolo per la presunta incidenza delle spese periodiche.
Tale modo di operare è quindi concettualmente errato perché non tiene conto, per esempio, della durata complessiva del rapporto.
Conclusivamente, fondandosi la causa solo sul fatto che il mutuo prevede la pattuizione di interessi usurari per il fatto che la somma di quelli di mora con quelli corrispettivi sono usurari, la stessa appare manifestamente infondata e va rigettata.
Le spese del presente procedimento seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo ai sensi del D.M. 55/2014 pubblicato nella G.U. del 02/04/2014 applicabile a questo procedimento giusto il disposto della norma transitoria contenuta nell’art. 28 del suddetto regolamento, così come stabilito anche da Cass. SSUU n. 17406/2012 del 25/09/2012, evidenziando in particolare che nella presente causa non si rinvengono specifici elementi di personalizzazione che giustifichino il discostarsi dai valori medi.

P.Q.M.

Il Giudice, ogni diversa domanda ed eccezione reiette ed ogni ulteriore deduzione disattesa, definitivamente pronunciando,
1) Rigetta le domande attoree poiché infondate;
2) Condanna S. M., in persona del legale rappresentante protempore, a rifondere a CASSA DI RISPARMIO A. S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, le spese legali del presente procedimento che si liquidano in euro 7.254,00 per compenso, oltre ad I.V.A., C.N.P.A. e al rimborso delle spese forfettarie sul compenso pari al15% ex DM 55/2014;
3) Visto l’art. 52 D.Lgs. 196/2003, dispone che, in caso di diffusione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica, su riviste, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri datiidentificativi degli interessati;
Sentenza provvisoriamente esecutiva ex lege.
Così deciso in Padova, il 13 gennaio 2016.

Disclaimer: Contenuti a scopo informativo e divulgativo che non sostituiscono il parere legale di un avvocato. Per una consulenza legale personalizzata contatta lo studio dell’avv. Gianluca Lanciano: Clicca e compila il form · WhatsApp 340.1462661 · Chiama 340.1462661 · Scrivi info@miolegale.it
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