Cassazione civile, sez. III, 15 gennaio 2021, n. 653
Ai fini dell’aborto terapeutico non è necessario che la malformazione si sia già prodotta
La norma di cui all’art. 6 lettera b) della Legge 194/1978 prevede che l’interruzione volontaria della gravidanza, oltre i primi 90 giorni, possa essere praticata “quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”.
L’inciso compreso tra le due virgole (“tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del feto”) vale a specificare che tra i processi patologici da considerare sono compresi anche quelli attinenti a rilevanti anomalie o malformazioni del feto.
Per praticare l’aborto terapeutico non vi è quindi necessità che l’anomalia o la malformazione si sia già prodotta e risulti strutturalmente o clinicamente accertata essendo sufficiente che la gestante sia messa al corrente di aver contratto una patologia che, con apprezzabile grado di probabilità, sia atta a produrre anomalie o malformazioni del feto.
Il medico che non informi correttamente e compiutamente la gestante dei rischi di malformazioni fetali correlate a una patologia dalla medesima contratta, può essere chiamato a risarcire i danni conseguiti alla mancata interruzione della gravidanza alla quale la donna dimostri che sarebbe ricorsa a fronte di un grave pregiudizio per la sua salute fisica o psichica.
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Cassazione civile, sez. III, 15 gennaio 2021, n. 653