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L’attività di cartomante è legale se il compenso richiesto non è eccessivo

Redazionedi Redazione16 Luglio 2020Aggiornato il:16 Luglio 2020
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iscrizione contemporanea a due albi professionali

Consiglio di Stato, sez. III, 1 luglio 2020, n. 4189

L’attività di cartomante è lecita se il compenso richiesto non è eccessivo. Se invece all’attività di cartomante vengano attribuite proprietà prodigiose o taumaturgiche e, facendo leva su di esse, sia richiesto un corrispettivo sproporzionato è integrata l’ipotesi, vietata, della ciarlataneria.

L’art. 121 T.U.L.P.S. (R.D. n. 773/1931), in combinato disposto con l’art. 231 del relativo Regolamento di esecuzione (R.D. n. 635/1940), vieta espressamente il mestiere di ciarlatano ovvero di  “... ogni attività diretta a speculare sull’altrui credulità, o a sfruttare o alimentare l’altrui pregiudizio, come gli indovini, gli interpreti di sogni, i cartomanti, coloro che esercitano giochi di sortilegio, incantesimi, esorcismi o millantano o affettano in pubblico grande valentia nella propria arte o professione, o magnificano ricette o specifici, cui attribuiscono virtù straordinarie o miracolose”.

Pur tuttavia l’attività di cartomanzia, anche se non formalmente regolata, è presa espressamente in considerazione da diverse norme, nel presupposto dunque della sua liceità. In particolare, il decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del Consumo), all’art. 28, detta una specifica disciplina in materia di servizi di astrologia, cartomanzia e assimilabili, vietando unicamente quelle comunicazioni che, al pari dell’art. 121 T.U.L.P.S., siano tali da indurre in errore o sfruttare la credulità del consumatore. Anche il Regolamento recante la disciplina dei servizi a sovrapprezzo di cui al D.M. n. 145/2006 contempla, tra gli altri, i servizi di astrologia e cartomanzia”,

Nell’ambito di un ordinamento giuridico imperniato, come quello vigente, sul principio di libera determinazione degli individui, in cui lo Stato ha pressoché dismesso ogni funzione latamente paternalistico-protettiva e di orientamento etico nei confronti dei consociati, anche le dinamiche di mercato sono tendenzialmente affidate, dal lato della domanda e dell’offerta, alla libera interazione dei suoi protagonisti, i quali, con le loro scelte, determinano l’oggetto dello scambio, ne apprezzano, secondo insindacabili valutazioni di carattere soggettivo, l’utilità e ne determinano, infine, il valore (economico): sempre che, naturalmente, non vengano compromessi beni e valori di carattere superiore (come l’ordine pubblico, il buon costume, la salute dei cittadini ecc.), di cui lo Stato conserva l’irrinunciabile funzione di tutela.
In tale contesto, anche un servizio che, in apparenza, sia oggettivamente privo o comunque di indimostrabile utilità, quale può essere considerata l’attività divinatoria propria del cartomante, in quanto riconducibile alle cd. scienze occulte o esoteriche (per definizione non sottoponibili a prove di verificabilità), può rappresentare un bene “commerciabile”, perché idoneo a rispondere ad una esigenza, per quanto illusoria ed opinabile, meritevole di soddisfacimento e, in quanto tale, suscettibile di generare, in termini mercantili, una corrispondente “domanda”.
Tale può essere, appunto, quella di chi cerchi l’alleviamento dei suoi dubbi esistenziali o la rassicurazione delle sue certezze nei “segni” ricavabili, attraverso la mediazione del cartomante, dalla lettura ed interpretazione delle “carte”.

In tale quadro, di cui non può non tenere conto l’interpretazione di disposizioni nate in un diverso e ben più risalente (dal punto di vista socio-economico ed istituzionale) contesto, deve rilevarsi che, come anticipato, la stessa fattispecie regolamentare pone l’accento sulle specifiche modalità di svolgimento dell’attività del cartomante, disponendo che essa, per non tracimare nella sfera operativa del divieto, non debba tradursi nella “speculazione sull’altrui credulità” ovvero nello “sfruttamento o alimentazione dell’altrui pregiudizio”.
Ebbene, premesso che anche il servizio cartomantico implica l’impegno di energie (materiali ed intellettuali), e quindi ha una sua concreta tangibilità economica, atta a fungere da elemento corrispettivo del contratto stipulato con il richiedente (sebbene nelle forme semplificate proprie del contatto telefonico o comunque “a distanza”), e che i concetti stessi di “speculazione” e di “sfruttamento” implicano la ricerca ed il conseguimento di un utile sovradimensionato rispetto alle risorse impiegate o all’effettivo valore economico del bene e/o servizio scambiato, ciò che assume non secondario rilievo ai fini della valutazione della legittimità o meno dell’attività di cartomante, è appunto la sussistenza di un rapporto di proporzione tra il “servizio” divinatorio offerto ed il prezzo richiesto e pagato per riceverlo: con la conseguenza che, a segnare il discrimine tra attività di cartomanzia e ciarlataneria, ovvero al fine di identificare la connotazione “speculativa” o “profittatrice” della stessa, sono proprio i mezzi e le modalità impiegate al fine di offrire al pubblico la “prestazione” profetica.

Da tale punto di vista, lo sconfinamento nell’area della “ciarlataneria” si verifica appunto quando il “messaggio” commerciale che accompagna l’offerta del servizio tende a rappresentare la prestazione divinatoria non nella sua impalpabile valenza predittiva, ma come strumento realmente efficace ed infallibile per la preveggenza del futuro, con la connessa richiesta di una contropartita commisurata al maggior valore che la prestazione, per come artatamente rappresentata, assumerebbe, ovvero quando, per le modalità e/o le circostanze in cui si svolge la relazione tra cartomante e cliente, essa denota l’approfittamento da parte del primo della eventuale situazione di particolare debolezza psicologica del secondo.
In altre parole, finché la prestazione cartomantica viene offerta nella sua reale essenza ed il corrispettivo pattuito conserva un ragionevole equilibrio con la stessa, non è dato discutere di “speculatività” dell’attività del soggetto erogatore; laddove, invece, alla stessa vengano attribuite proprietà prodigiose o taumaturgiche e, facendo leva su di esse, sia richiesto un corrispettivo sproporzionato rispetto alla sua valenza meramente “consolatoria”, potrà dirsi integrata l’ipotesi (vietata) della “ciarlataneria”.

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Consiglio di Stato, sez. III, 1 luglio 2020, n. 4189

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