Corte di Giustizia UE, 14 giugno 2012, C. 618-10
L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio Europeo del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori dispone che «Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive».
Il sistema di tutela istituito dalla direttiva 93/13 è fondato sull’idea che il consumatore si trovi in una situazione d’inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere nelle trattative che il grado di informazione, situazione che lo induce ad aderire alle condizioni predisposte preventivamente dal professionista senza poter incidere sul contenuto delle stesse.
Alla luce di una siffatta situazione di inferiorità, l’articolo 6 della direttiva prevede che le clausole abusive non vincolino i consumatori. Come emerge dalla giurisprudenza, si tratta di una disposizione imperativa tesa a sostituire all’equilibrio formale, che il contratto determina fra i diritti e gli obblighi delle parti contraenti, un equilibrio reale, finalizzato a ristabilire l’uguaglianza tra queste ultime.
Sulla base di tali principi la Corte ha statuito che il giudice nazionale è tenuto ad esaminare d’ufficio la natura abusiva di una clausola contrattuale che ricade nell’ambito di applicazione della direttiva 93/13 e, in tal modo, a porre un argine allo squilibrio che esiste tra il consumatore e il professionista.
Il ruolo così attribuito al giudice nazionale dal diritto dell’Unione nell’ambito di cui trattasi non si limita alla semplice facoltà di pronunciarsi sull’eventuale natura abusiva di una clausola contrattuale, bensì comporta parimenti l’obbligo di esaminare d’ufficio tale questione, a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine.
Pur tuttavia il giudice nazionale non può rivedere il contenuto delle clausole abusive inserite in simili contratti, una tale facoltà infatti contribuirebbe ad eliminare l’effetto dissuasivo esercitato sui professionisti dalla pura e semplice non applicazione nei confronti del consumatore di siffatte clausole abusive, dal momento che essi rimarrebbero tentati di utilizzare tali clausole, consapevoli che, quand’anche esse fossero invalidate, il contratto potrebbe nondimeno essere integrato, per quanto necessario, dal giudice nazionale, in modo tale, quindi, da garantire l’interesse di detti professionisti.
Ne consegue che una siffatta facoltà , se fosse riconosciuta al giudice nazionale, non potrebbe garantire, di per sé, una tutela del consumatore efficace quanto quella risultante dalla non applicazione delle clausole abusive. Peraltro, tale facoltà non potrebbe nemmeno desumersi dall’articolo 8 della direttiva 93/13, che lascia agli Stati membri la possibilità di adottare o mantenere, nel settore disciplinato da tale direttiva, disposizioni più severe, compatibili con il diritto dell’Unione, purché sia garantito un livello di protezione più elevato per il consumatore .
Risulta, pertanto, da tali considerazioni che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 non può essere interpretato nel senso che consente al giudice nazionale, nel caso in cui accerti l’esistenza di una clausola abusiva inserita in un contratto stipulato tra un professionista ed un consumatore, di rivedere il contenuto di detta clausola invece di escluderne semplicemente l’applicazione nei confronti di quest’ultimo.
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Corte di Giustizia UE, 14 giugno 2012, C. 618-10