Cassazione civile, sez. I, 22 aprile 2013, n. 9660
L’art. 9, terzo comma, della legge n. 898 del 1 dicembre 1970, come sostituito dall’art. 13, terzo comma, della legge 6 marzo 1987, n. 74, dispone che “qualora esista un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, una quota della pensione e degli altri assegni a questi spettanti è attribuita dal Tribunale, tenendo conto della durata del rapporto, al coniuge rispetto al quale è stata pronunciata la sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e che sia titolare dell’assegno di cui all’art. 5”.
La legge 28 dicembre 2005, n. 263, all’art. 5, comma 1, è intervenuta per dirimere i contrasti interpretativi inerenti la formulazione della richiamata disposizione, disponendo al riguardo che “per titolarità dell’assegno ai sensi dell’art. 5 deve intendersi l’avvenuto riconoscimento dell’assegno medesimo da parte del tribunale ai sensi del predetto art. 5 della citata L. n. 898 del 1970”.
Tale disposizione interpretativa recepisce la sentenza della Corte costituzionale n. 87 del 1995, con la quale era stata dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale della legge n. 898 del 1970, art. 9, comma 2, nel testo di cui alla L. n. 74 del 1987, nella parte in cui condiziona il diritto alla pensione di reversibilità alla titolarità di un assegno attribuito giudizialmente ai sensi dell’art. 5 e non anche alla titolarità di un assegno attribuito convenzionalmente.
Anche la giurisprudenza di legittimità ampiamente prevalente è ferma nel ritenere che “il diritto del coniuge divorziato alla pensione di reversibilità, o a una quota di essa in caso di concorso con il coniuge superstite, presuppone che il richiedente, al momento della morte dell’ex coniuge, sia titolare di un assegno di divorzio giudizialmente riconosciuto ai sensi dell’art. 5 della legge predetta, non essendo sufficiente che egli versi nelle condizioni per ottenerlo, e neppure che in via di fatto, o per effetto di private convenzioni intercorse fra le parti, abbia ricevuto regolari elargizioni economiche dall’ex coniuge (v., tra le altre, Cass., sentt. n. 21002 del 2008, n. 12149 del 2007, n. 5422 del 2006)”.
Nel caso di specie, pertanto, la Corte d’Appello ha correttamente rigettato il ricorso dell’ex moglie volto all’ottenimento della pensione di reversibilità, in quanto la sentenza di divorzio non conteneva alcuna pronuncia di condanna alla corresponsione di un assegno divorzile in favore della medesima, mentre gli assegni ricevuti da quest’ultima con cadenza mensile andavano riferiti esclusivamente al contributo dovuto dall’ex marito per il mantenimento della loro figlia, così come stabilito in sede di accordo intervenuto tra i coniugi al momento della separazione consensuale, e formalizzato attraverso la omologazione della stessa ad opera del giudice.
Cassazione civile, sez. I, 22 aprile 2013, n. 9660