Corte Costituzionale, 17 gennaio 2025, n. 2
Infondate le questioni di legittimità costituzionale del comma 1-bis dell’art. 438 c.p.p. che prevede I’inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con l’ergastolo
Sono state dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 438, comma 1-bis, del codice di procedura penale, introdotto dall‘art. 1, comma 1, lettera a), della legge 12 aprile 2019, n. 33 e che prevede Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo, sollevate dalla Corte di assise di Cassino in riferimento agli artt. 3, 24, 27 e 111 della Costituzione.
Secondo la Consulta, contrariamente a quanto assunto dalla Corte rimettente, non v’è ragione per negare alla regola incorporata nell’art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen. una solida ragionevolezza, perché la scelta legislativa di far dipendere l’accesso al giudizio abbreviato dalla sussistenza di una circostanza a effetto speciale «esprime un giudizio di disvalore della fattispecie astratta marcatamente superiore a quello che connota la corrispondente fattispecie non aggravata; e ciò indipendentemente dalla sussistenza nel caso concreto di circostanze attenuanti, che ben potranno essere considerate dal giudice quando, in esito al giudizio, irrogherà la pena nel caso di condanna» (ancora sentenza n. 260 del 2020).
È stato altresì ribadito che, secondo la costante giurisprudenza della medesima Corte, «la facoltà di chiedere i riti alternativi - quando è riconosciuta – costituisce certamente una modalità, tra le più qualificanti ed incisive di esercizio del diritto di difesa ma che la negazione legislativa di tale facoltà in rapporto ad una determinata categoria di reati non vulnera il nucleo incomprimibile del predetto diritto (sentenza n. 95 del 2015).
L’accesso a riti alternativi, peraltro, costituisce «parte integrante del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. soltanto in quanto il legislatore abbia previsto la loro esperibilità in presenza di certe condizioni; di talché esso deve essere garantito ogniqualvolta il rito alternativo sia stato ingiustificatamente negato a un imputato per effetto di un errore del pubblico ministero nella formulazione dell’imputazione, di una erronea valutazione di un giudice intervenuto in precedenza nella medesima vicenda processuale, ovvero di una modifica dell’imputazione nel corso del processo (sentenza n. 14 del 2020 e precedenti ivi citati). Ma dall’art. 24 Cost. non può dedursi un diritto di qualunque imputato ad accedere a tutti i riti alternativi previsti dall’ordinamento processuale penale, come invece parrebbe, erroneamente, presupporre il giudice a quo» (sentenza n. 260 del 2020).
Nell’impianto della riforma contenuta nella legge n. 33 del 2019, l’imputazione formulata dal pubblico ministero è oggetto di un primo vaglio ad opera del giudice per le indagini preliminari, che è tenuto, al termine dell’udienza preliminare, a provvedere sulla richiesta originaria avanzata dall’imputato, e comunque sull’eventuale riproposizione della domanda di giudizio abbreviato formulata ai sensi dell’art. 438, comma 6, cod. proc. pen.
Al di là del rito all’interno del quale è chiamato a giudicare sulle richieste dell’imputato, il giudice del dibattimento, ai sensi dell’art. 438, comma 6-ter, cod. proc. pen., è in ogni caso tenuto ad applicare la riduzione di pena prevista per il rito speciale in questione nel caso in cui, in esito all’accertamento del fatto, siano ritenute insussistenti le aggravanti contestate dal pubblico ministero che avrebbero determinato l’applicabilità della pena dell’ergastolo e, quindi, l’inammissibilità del giudizio abbreviato ai sensi dell’art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen.
La preclusione all’accesso al giudizio abbreviato, pertanto, dipende solo nella fase iniziale dalla valutazione del pubblico ministero sull’oggetto della contestazione. Tale valutazione «è poi oggetto di puntuale vaglio da parte dei giudici che intervengono nelle fasi successive del processo, ed è sempre suscettibile di correzione, quanto meno nella forma del riconoscimento della riduzione di pena connessa alla scelta del rito, come accade rispetto a ogni altro rito alternativo» (sentenza n. 260 del 2020).
Questa affermazione vale anche per il giudizio immediato, rispetto al quale l’art. 458 cod. proc. pen. (non censurato nel presente giudizio) demanda al giudice per le indagini preliminari di decidere sulla richiesta di giudizio abbreviato avanzata dall’imputato, pronunciandosi «in ogni caso» in camera di consiglio, nel corso della quale è applicabile anche l’art. 438, comma 6-ter, cod. proc. pen. (a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 27, comma 1, lettera b, numero 1, del d.lgs. n. 150 del 2022).
Corte Costituzionale, 17 gennaio 2025, n. 2