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L’immigrato con precedenti penali non può essere espulso se è affidatario di un minore.

Redazionedi Redazione13 Settembre 2016Aggiornato il:13 Settembre 2016
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Corte di Giustizia UE, 13 settembre 2016, C. 165-14

Il diritto dell’Unione non consente né di rifiutare in modo automatico un permesso di soggiorno a un cittadino di un paese non UE che ha l’affidamento esclusivo di un cittadino minorenne dell’UE, né di espellerlo dal territorio UE per il solo motivo che ha precedenti penali.
Per poter essere adottata, una misura di espulsione deve essere proporzionata e basata sul comportamento personale del cittadino di un paese non UE e tale comportamento deve rappresentare una minaccia effettiva, attuale e sufficientemente grave per un interesse fondamentale della società dello Stato membro ospitante.

A causa dei loro precedenti penali, due cittadini di paesi non UE hanno ricevuto notifica, rispettivamente, di un diniego di permesso di soggiorno e di una decisione di espulsione da parte delle autorità dello Stato membro ospitante di cui hanno la nazionalità i loro figli minorenni, i quali sono ad essi affidati e hanno la cittadinanza dell’Unione. Il sig. Alfredo Rendón Marín è padre e affidatario esclusivo di un figlio avente la cittadinanza spagnola e di una figlia avente la cittadinanza polacca. Entrambi i figli minorenni hanno sempre abitato in Spagna (causa C-165/14). CS, da parte sua, è madre di un figlio avente la cittadinanza britannica che risiede con lei nel Regno Unito e del quale ha l’affidamento esclusivo (causa C-304/14).
Si richiama l’attenzione della stampa sul fatto che la causa C-304/14 è stata presentata in forma anonima dal giudice britannico del rinvio che ha emesso un’ordinanza in tal senso («Anonimity Order») per tutelare gli interessi del figlio di CS.
Il Tribunal Supremo (Corte di cassazione, Spagna) e l’Upper Tribunal (Immigration and Asylum Chamber) London (Sezione immigrazione e asilo del tribunale superiore di Londra, Regno Unito) chiedono alla Corte di giustizia se la sola esistenza di precedenti penali possa giustificare il diniego del diritto di soggiorno o l’espulsione di un cittadino di un paese non UE che ha l’affidamento esclusivo di un minore cittadino dell’UE.
Nelle sue odierne sentenze, la Corte dichiara in primo luogo che il diritto dell’Unione osta a una normativa nazionale che, in modo automatico, nega il rilascio di un permesso di soggiorno o infligge l’espulsione a un cittadino di un paese non UE che ha l’affidamento esclusivo di un cittadino minorenne dell’UE per il solo motivo che detto cittadino non UE ha precedenti penali, qualora tale diniego o tale espulsione costringa il minore a lasciare il territorio dell’Unione.
La Corte chiarisce, anzitutto, che la direttiva sulla libertà di circolazione e di soggiorno dei cittadini dell’UE e dei loro familiari (Direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri) si applica ai cittadini dell’UE e ai loro familiari che si recano o soggiornano in uno Stato membro diverso da quello di cui hanno la cittadinanza. Di conseguenza, tale direttiva si applica alla situazione del sig. Rendón Marín e di sua figlia avente la cittadinanza polacca, ma non si applica a quella del sig. Rendón Marín e di suo figlio avente la cittadinanza spagnola e nemmeno a quella di CS e di suo figlio avente la cittadinanza britannica: infatti, tali figli hanno sempre soggiornato nello Stato membro di cui hanno la cittadinanza. Pertanto, solo il sig. Rendón Marín e sua figlia avente la cittadinanza polacca possono beneficiare del diritto di soggiorno in forza della direttiva.
La Corte indica, poi, che il Trattato FUE conferisce a chiunque possegga la cittadinanza di uno Stato membro lo status di cittadino dell’Unione europea. In virtù di tale status, ciascun cittadino dell’Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. Pertanto, la Corte dichiara che il figlio del sig. Rendón Marín e il figlio di CS, che sono cittadini dell’UE, possono beneficiare di siffatto diritto. La Corte precisa che il Trattato FUE osta a qualsiasi provvedimento nazionale che abbia l’effetto di privare i cittadini dell’UE del godimento effettivo dei diritti attribuiti dal loro status di cittadini dell’UE. Tale privazione si verifica quando il diniego di un permesso di soggiorno nei confronti di un cittadino di un paese non UE o la sua espulsione produrrebbero l’effetto di costringere suo figlio, cittadino dell’Unione e del quale egli ha l’affidamento esclusivo, ad accompagnarlo e, quindi, a lasciare il territorio dell’Unione.
Tuttavia, la Corte precisa che lo status di cittadino dell’UE non incide sulla possibilità, per gli Stati membri, di giustificare una deroga al diritto di soggiorno dei cittadini dell’UE o dei loro familiari (a prescindere dalla circostanza che tale diritto sia esercitato in forza della direttiva o del Trattato) per motivi, in particolare, di ordine pubblico o di pubblica sicurezza. Siffatta deroga deve rispettare la Carta, il principio di proporzionalità e basarsi sul comportamento personale del soggetto interessato, al fine di verificare se egli rappresenti una minaccia effettiva, attuale e sufficientemente grave per la società dello Stato membro ospitante. Al fine di valutare se tale deroga sia conforme al principio di proporzionalità, occorre tener conto di alcuni criteri, quali la durata del soggiorno, l’età, lo stato di salute, la situazione familiare ed economica, l’integrazione sociale e culturale, l’importanza dei legami del cittadino con il suo paese d’origine e il grado di gravità dell’infrazione.
Per quanto concerne la situazione del sig. Rendón Marín, la Corte chiarisce che la sola condanna penale emessa a suo carico nel 2005 non è sufficiente a giustificare il diniego del permesso di soggiorno senza una valutazione del suo comportamento personale né dell’eventuale minaccia che egli potrebbe rappresentare per l’ordine pubblico o la pubblica sicurezza.
Peraltro, la Corte riconosce che, in circostanze eccezionali, uno Stato membro può adottare una misura di espulsione invocando l’eccezione connessa al mantenimento dell’ordine pubblico e alla salvaguardia della pubblica sicurezza, fermo restando che tali nozioni devono essere intese in modo restrittivo. Per giustificare siffatta misura di espulsione, si deve valutare se, tenuto conto dei reati commessi da un cittadino di uno Stato terzo che ha l’affidamento esclusivo di un minore cittadino dell’Unione europea, il suo comportamento personale rappresenti una minaccia effettiva, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società. A tal riguardo, si deve tener conto dei suesposti criteri. La Corte considera che, nel caso di CS, il giudice britannico deve valutare concretamente il livello di pericolosità di quest’ultima contemperando gli interessi in questione (vale a dire il principio di proporzionalità, l’interesse superiore del figlio e i diritti fondamentali di cui la Corte assicura il rispetto).

Corte di Giustizia UE, 13 settembre 2016, C. 165-14

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