Cassazione penale, sez. III, 27 dicembre 2023, n. 51442
In tema di atti di “pirateria” commessi al di fuori delle acque territoriali italiane (e in particolare nella c.d. “zona Contigua”), la definizione di cui all’art. 1135 Codice della Navigazione, comprende le condotte di chi commette “atti di depredazione in danno di una nave nazionale o straniera o del carico, ovvero a scopo di depredazione commette violenza in danno di persona imbarcata su una nave nazionale o straniera”.
La definizione di pirateria (“piracy”) si desume dall’art. 101 della Convenzione delle Nazioni Unite di Montego Bay del 10 dicembre1982, ratificata in Italia con L. 2 dicembre 1994, n. 689, il cui testo originale definisce la condotta come “any illegal acts of violence or detention, or any act of depredation” (termine, quest’ultimo, erroneamente tradotto in italiano con “rapina”), ossia “qualsiasi atto di violenza o sequestro, o qualsiasi atto di depredazione”, termine comprensivo di qualsiasi sottrazione a base violenta.
La norma include anche il delitto di estorsione, come si ricava dal combinato disposto dell’art. 1135 c.n. con il successivo 1137, a norma del quale “il comandante o l’ufficiale di una nave nazionale o straniera, che sul litorale della Repubblica commette alcuno dei fatti previsti negli artt. 628, 629 c.p., è punito a norma dell’art. 1135 c.n.”.
La norma di cui all’art. 1135 c.n. si pone quindi in termini di specialità rispetto alle disposizioni contenute nel codice penale.
«L’art. 1135 del Codice della Navigazione rubricato “Pirateria”, sanziona con la pena della reclusione da dieci a venti anni “il comandante o l’ufficiale di nave nazionale o straniera, che commette atti di depredazione in danno di una nave nazionale o straniera o del carico, ovvero a scopo di depredazione commette violenza in danno di persona imbarcata su una nave nazionale o straniera”.
Nonostante la rubrica dell’articolo, la norma non contiene una precisa definizione delle condotte di “pirateria”, contenuta invece nell’art. 101 della Convenzione delle Nazioni Unite di Montego Bay del 10 dicembre 1982, ratificata in Italia con L. 2 dicembre 1994, n. 689.
La norma, nel testo italiano della Convenzione, definisce la condotta incriminata come “ogni atto illecito di violenza o di sequestro, o ogni atto di rapina”. Tale formulazione letterale della norma sembrerebbe, prima facie, includere solamente quelle condotte predatorie indicate dal GIP quali necessarie per integrare la fattispecie penale invocata dal pubblico ministero.
Tuttavia, il testo originale della Convenzione, in lingua inglese, nella definizione di pirateria (“piracy”) non menziona il termine “robbery”, ossia “rapina”, bensì parla di “any illegal acts of violence or detention, or any act of depredation”, ossia “qualsiasi atto di violenza o sequestro, o qualsiasi atto di depredazione”.
Il termine esatto, per descrivere la condotta (accanto alla violenza e al sequestro di persona) è, quindi, non quello di “rapina”, utilizzato nella traduzione italiana della Convenzione, bensì quello di “depredazione” (termine inglese/americano, quello di “depredation”, che indica - fonte Cobuild/Collins - ogni “act of preying upon or plundering”, ossia qualsiasi atto di predoneria o saccheggio), che, puntualmente, è dato rinvenire nell’art. 1135 c.n..
Tale disposizione va letta congiuntamente al successivo art. 1137 del Codice della Navigazione a mente del quale “il comandante o l’ufficiale di una nave nazionale o straniera, che sul litorale della Repubblica commette alcuno dei fatti previsti negli artt. 628,629 c.p., è punito a norma dell’art. 1135 c.n.”, previsione che ricalca quella prevista dal “Code of Practice for the Investigation of Crimes of Piracy and Armed Robbery against Ships of the International Maritime Organisation (IMO)” (Assembly Resolution A.1025), il quale sanziona gli atti di pirateria compiuti nelle acque interne (ovvero nelle acque territoriali), anziché in mare aperto, definendo i primi quali “armed robbery against ships (territorial waters)”, e, i secondi, come “acts of piracy (international waters)”.
Dal combinato disposto delle due norme, lette congiuntamente alle definizioni fornite in proposito dagli strumenti internazionali, appare evidente che il termine “depredazione” ricomprenda, secondo la legislazione italiana, tutte le ipotesi di spossessamento violento di beni altrui, indipendentemente dalla qualificazione della condotta in termini di rapina ovvero di estorsione.
Ai presenti fini, pertanto, stante la latitudine del concetto di “depredazione”, a nulla rileva la tradizionale distinzione operata dalla Corte (v., ex multis, Sez. 2, n. 14880 del 19/01/2012, Di Cecio, n. m.), secondo cui la rapina si differenzia dall’estorsione in virtù del fatto che nell’estorsione il soggetto passivo, benché coartato, partecipa alla condotta criminosa ponendo in essere l’atto di disposizione patrimoniale che rappresenta l’ingiusto profitto, mentre nella rapina la vittima è soggetto meramente passivo della violenza esercitata dal rapinatore sulla sua persona, e quindi la consumazione del reato non richiede la cooperazione della persona offesa (differenza che porta, tradizionalmente, ad affermare che nella rapina vi è una vis absoluta e nell’estorsione una vis relativa), anche se, in proposito, evidenzia il Collegio che le condizioni in cui è maturato il fatto, in concreto, già inducessero a ritenere sussistente un atto di “violenza” ricompreso nella prima parte della definizione di “pirateria”, posta la evidente mancanza di scelta in capo alle persone offese, minacciate di essere lasciate alla loro sorte alla deriva.
«[…] la condotta di cui all’art. 1135 c.n. (ovvero il reato di pirateria) si pone in termini di specialità rispetto ai delitti di rapina ed estorsione.
Il delitto di “pirateria”, infatti, oltre ad essere un reato “proprio” del comandante o dell’ufficiale di nave nazionale o straniera (nonché, ai sensi del comma 2, ma con pene via via ridotte, degli altri componenti dell’equipaggio e degli estranei, comunque a bordo di nave), contiene l’ulteriore elemento specializzante costituito dall’essere, la condotta, commessa “in danno di una nave nazionale o straniera o del carico”.
In applicazione del principio di specialità, pertanto, la norma di cui all’art. 1135 c.n. deve trovare applicazione in luogo degli artt. 628 e 629 c.p., risolvendo un caso di concorso apparente di norme (v. Sez. U., n. 20664 del 23/02/2017, Stalla, Rv. 269668 - 01, secondo cui “nella materia del concorso apparente di norme non operano criteri valutativi diversi da quello di specialità previsto dall’art. 15 c.p., che si fonda sulla comparazione della struttura astratta delle fattispecie, al fine di apprezzare l’implicita valutazione di correlazione tra le norme, effettuata dal legislatore”)».
Massima tratta da: Estratto della sentenza
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Cassazione penale, sez. III, 27 dicembre 2023, n. 51442