Corte giustizia UE, 13 marzo 2025, C. 247/23
La rettifica dei dati relativi all’identità di genere non può essere subordinata alla prova del trattamento chirurgico di riassegnazione sessuale
L’articolo 16 del regolamento UE 2016/679 (GDPR) relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati impone a un’autorità nazionale incaricata della tenuta di un registro pubblico di rettificare i dati personali relativi all’identità di genere di una persona fisica qualora tali dati non siano esatti.
L’indicata norma, inoltre, richiede che ai fini dell’esercizio del diritto di rettifica dei dati personali relativi all’identità di genere di una persona fisica, contenuti in un registro pubblico, tale persona può essere tenuta a fornire gli elementi di prova pertinenti e sufficienti che si possono ragionevolmente richiedere a detta persona per dimostrare l’inesattezza di tali dati. Tuttavia, uno Stato membro non può in alcun caso subordinare, mediante una prassi amministrativa, l’esercizio di tale diritto alla produzione di prove di un trattamento chirurgico di riassegnazione sessuale.
A tale riguardo la Corte ha osservato che, in forza del GDPR e, in particolare, del principio di esattezza enunciato da quest’ultimo, l’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento, senza ingiustificato ritardo, la rettifica dei dati personali che lo riguardano e sono inesatti. Tale regolamento concretizza così il diritto fondamentale, sancito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), secondo il quale ogni persona ha il diritto di accedere ai dati raccolti che la riguardano e di ottenerne la rettifica. A tal riguardo, la Corte ha ricordato che il carattere esatto e completo di tali dati deve essere valutato alla luce della finalità per la quale essi sono stati raccolti.
Nel caso di specie, dopo aver osservato che il trattamento di cui trattasi rientra nell’ambito di applicazione ratione materiae del GDPR, la Corte ha indicato che spetta al giudice territoriale verificare l’esattezza del dato di cui trattasi alla luce della finalità per la quale esso è stato raccolto.
Se la raccolta di tale dato aveva lo scopo di identificare la persona interessata, detto dato sembrerebbe riguardare l’identità di genere vissuta da tale persona, e non quella che le sarebbe stata assegnata alla nascita. In tale contesto, la Corte ha precisato che uno Stato membro non può invocare l’assenza, nel proprio diritto nazionale, di una procedura di riconoscimento giuridico della transidentità per ostacolare l’esercizio del diritto di rettifica. Infatti, sebbene il diritto dell’Unione non pregiudichi la competenza degli Stati membri nel settore dello stato civile delle persone e del riconoscimento giuridico della loro identità di genere, tali Stati devono tuttavia, nell’esercizio di tale competenza, rispettare il diritto dell’Unione, compreso il RGPD, letto alla luce della Carta.
Di conseguenza, la Corte ha concluso che il GDPR deve essere interpretato nel senso che esso impone a un’autorità nazionale incaricata della tenuta di un registro pubblico di rettificare i dati personali relativi all’identità di genere di una persona fisica qualora tali dati non siano esatti, ai sensi di tale regolamento.
In secondo luogo la Corte ha constatato che, ai fini dell’esercizio del suo diritto di rettifica, tale persona può essere tenuta a fornire gli elementi di prova pertinenti e sufficienti che possono ragionevolmente essere richiesti per dimostrare l’inesattezza di detti dati. Tuttavia, uno Stato membro non può in alcun caso subordinare l’esercizio del diritto di rettifica alla presentazione di prove di un trattamento chirurgico di riassegnazione sessuale.
Infatti, un siffatto requisito lede, in particolare, l’essenza del diritto all’integrità della persona e del diritto al rispetto della vita privata, di cui rispettivamente agli articoli 3 e 7 della Carta. Inoltre, un siffatto requisito non è, in ogni caso, necessario né proporzionato al fine di garantire l’affidabilità e la coerenza di un registro pubblico, quale il registro dell’asilo, dal momento che un certificato medico, ivi compresa una precedente psicodiagnosi, può costituire un elemento di prova pertinente e sufficiente al riguardo.
Art. 16 Regolamento UE 2016/679 (GDPR
Diritto di rettifica
L’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la rettifica dei dati personali inesatti che lo riguardano senza ingiustificato ritardo. Tenuto conto delle finalità del trattamento, l’interessato ha il diritto di ottenere l’integrazione dei dati personali incompleti, anche fornendo una dichiarazione integrativa.
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Corte giustizia UE, 13 marzo 2025, C. 247/23