Cassazione civile, sez. I, 24 giugno 2022, n. 20452
La revoca dell’assegnazione della casa coniugale non comporta un aumento automatico dell’assegno di separazione o divorzio
«Com’è noto l’assegnazione della casa familiare, in caso di divorzio o separazione, è prevista a tutela dell’interesse prioritario dei figli minorenni e dei figli maggiorenni non economicamente autosufficienti, e conviventi con uno dei genitori, a permanere nell’ambiente domestico in cui sono cresciuti, in modo tale da garantire la conservazione delle loro abitudini di vita e delle relazioni sociali radicatesi in tale ambiente (cfr. Cass., Sez. I, 12/10/2018, n. 25604; Cass., Sez. VI, 7/02/2018, n. 3015).
A tale provvedimento risulta estranea qualsiasi valutazione inerente alla regolamentazione dei rapporti economici tra i genitori, i quali, ai sensi dell’art. 337 sexies c.c., comma 1, secondo periodo, vengono in considerazione soltanto in via consequenziale, una volta adottata la relativa decisione, ai fini dell’eventuale riequilibrio in favore del coniuge che, in quanto proprietario o comproprietario dell’immobile, subisca una limitazione delle proprie facoltà di godimento e disposizione, per effetto dell’imposizione del predetto vincolo; tale riequilibrio non ha peraltro carattere automatico, presupponendo una valutazione, da compiersi caso per caso, dell’incidenza della predetta limitazione sulla situazione economica complessiva di chi la sopporta e del vantaggio indirettamente arrecato al coniuge con cui i figli convivono, corrispondente al risparmio della spesa necessaria per procurarsi un’autonoma sistemazione abitativa.
Così come l’assegnazione della casa familiare non comporta necessariamente una riduzione dell’assegno dovuto al coniuge beneficiario, anche la revoca della stessa non giustifica l’automatico riconoscimento di un maggiore importo in favore di quest’ultimo, trattandosi di un provvedimento al quale, come accade per l’assegnazione, risulta estranea ogni valutazione di ordine economico, in quanto avente come presupposto esclusivamente l’accertamento del venir meno dell’interesse dei figli alla conservazione dell’habitat domestico, in conseguenza del raggiungimento della maggiore età e dell’autosufficienza economica da parte degli stessi o della cessazione del rapporto di convivenza con il genitore assegnatario».
Nel caso di specie la Suprema Corte ha ritenuto corretta la decisione dei Giudici di appello nella parte in cui, confermato la revoca dell’assegnazione della casa coniugale, già disposta dal Giudice di primo grado, non hanno previsto un corrispondente aumento dell’assegno divorzile riconosciuto alla ricorrente.
Secondo gli Ermellini la domanda di riconoscimento di un maggiore importo a titolo di assegno divorzile, in caso di revoca dell’assegnazione della casa familiare, deve considerarsi implicitamente rigettata, pur in mancanza di un’espressa statuizione.
Cassazione civile, sez. I, 24 giugno 2022, n. 20452