Cassazione civile, sez. lavoro, 5 agosto 2020, n. 16721
Un lavoratore italiano, dopo un primo periodo di lavoro in Italia, è stato impiegato presso l’ESA European Space Agency, che è organizzazione internazionale, non soggetta al diritto degli Stati membri o al diritto dell’Unione Europea. Detto lavoratore ha quindi acceso posizioni contributive sia presso l'INPS che presso il sistema pensionistico dell’ESA (Agenzia Spaziale Europea).
Pur non avendo l’INPS stipulato alcun accordo che consentisse il trasferimento dei contributi versati, il lavoratore ha richiesto comunque di cumulare, ottenendo un pro rata italiano, tali contributi a quelli versati presso l’ESA e dai quali è scaturita la pensione di anzianità erogata dall’Agenzia medesima. Il medesimo lavoratore aveva successivamente maturato un'anzianità contributiva presso l'INPS di oltre 20 anni.
INPS ha respinto la domanda di totalizzazione per mancanza di uno specifico accordo con l’Ente Spaziale ed il lavoratore, impugnando la decisione, è risultato vittorioso davanti ai giudici di merito ma non a seguito di ricorso per cassazione, proposto dall’Ente di previdenza.
Gli ermellini, richiamando la sentenza della Corte giustizia UE sez. V, 04/07/2013, n. 233, hanno ricordato che per giurisprudenza costante,”(...) il cittadino dell’Unione che usufruisca del diritto alla libera circolazione dei lavoratori e abbia esercitato un’attività lavorativa in uno Stato membro diverso da quello di cui è originario, indipendentemente dal luogo di residenza e dalla cittadinanza, rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 45 TFUE. Il cittadino dell’Unione che lavori in uno Stato membro diverso dal suo Stato d’origine e che abbia accettato un impiego in un’organizzazione internazionale rientra anch’esso nell’ambito di applicazione di tale disposizione (v., in tal senso, sentenza del 16 febbraio 2006, Oberg, C-185/04, Racc. pag. 1-1453, punti 11 e 12 nonché la giurisprudenza citata)”.
È stato tuttavia precisato che «Il riconoscimento della qualità di lavoratore ai fini dell’ambito di applicazione dell’art. 45 TUEF e della disciplina regolamentare a tale qualità connessa, tuttavia non è sufficiente a giustificare l’accoglimento della pretesa.
Infatti, la stessa giurisprudenza della CGUE (CGUE Sez. VIII 5 dicembre 2019 n. 398) ha chiarito che né il TFUE né i regolamenti nn. 1408/71 e 883/2004 hanno previsto né prevedono norme concernenti il trasferimento del capitale che rappresenta i diritti a pensione già maturati, ma prevedono il principio della totalizzazione dei periodi, come emerge dall’art. 48 TFUE quale attuato da detti regolamenti».
In definitiva è stato ritenuto che la fattispecie non rientrasse nell’ambito di applicazione della totalizzazione Europea, giacché la stessa è rivendicata al fine non di ottenere il diritto a pensione, ma di incrementare una pensione anticipata già ottenuta in via autonoma.
In ogni caso la pretesa fatta valere in giudizio non è stata ritenuta fondata neanche avuto riguardo agli artt. 45 e 48 TFUE. Se è vero che «il diritto primario dell’Unione non può garantire ad un assicurato che il trasferimento in un altro Stato membro resti neutrale in materia previdenziale, ma ove tale trasferimento, in considerazione delle disparità tra i regimi e le normative degli Stati membri, risulti meno favorevole per l’interessato sotto il profilo previdenziale, una normativa nazionale è conforme al diritto dell’Unione solo se la stessa non svantaggi il lavoratore interessato rispetto a quelli che svolgono l’insieme delle loro attività nello Stato membro in cui essa si applichi e non si risolva nel fatto puro e semplice di versare contributi previdenziali a fondo perduto (v. sentenza Mulders, C-548/11, EU:C:2013:249, punto 45 e giurisprudenza ivi richiamata)». Ebbene «Nel caso di specie, tale effetto sfavorevole ai danni del contro ricorrente non si è determinato, giacché, come osservato dall’INPS, la contribuzione versata in Italia (pari a venti anni e nove mesi), al compimento del sessantanseiesimo anno, ha determinato autonomamente l’insorgere del diritto alla pensione di vecchiaia in applicazione della L. n. 214 del 2011, art. 24, commi 6 e 7. In altri termini, la peculiare situazione previdenziale del contro ricorrente e, in particolare, la circostanza che lo stesso ha lasciato la propria occupazione in Italia per spostarla presso altro Stato dell’Unione, non gli ha procurato l’impossibilità di ottenere un trattamento pensionistico di vecchiaia, né ha fatto sì che i contributi versati in Italia restassero a fondo perduto; dunque, non si è verificata la situazione di discriminazione indiretta contro la quale opera il disposto dell’art. 45 TFUE».
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Cassazione civile, sez. lavoro, 5 agosto 2020, n. 16721