Cassazione penale, sez. III, 28 febbraio 2008, n. 9112
Dispone il primo comma dell’art. 100 del D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati ) «Chiunque, con minacce o con atti di violenza, turba il regolare svolgimento delle adunanze elettorali, impedisce il libero esercizio del diritto di voto o in qualunque modo altera il risultato della votazione, è punito con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da lire 600.000 a lire 4.000.000».
Per tale reato vi è stata la condanna degli imputati che, giunti dopo le ore 22,00 (orario di chiusura dei seggi elettorali) dinnanzi ai cancelli dell’edificio in cui erano allestiti i seggi e trovandoli chiusi, dapprima aizzavano i presenti ad entrare, asserendo falsamente di essere in possesso di un fax della Prefettura che aveva disposto la proroga della durata delle operazioni elettorali. Successivamente, spintonando un agente della polizia municipale, introducevano alcune persone attraverso un piccolo cancello che veniva utilizzato per far uscire gli elettori che avevano esercitato il diritto di voto, ed infine, dopo aver aperto con la forza il cancello automatico di chiusura del piazzale facendolo uscire dai binari, consentivano a tutto il gruppo degli astanti di entrare nell’edificio e votare.
Al fine dell’integrazione della fattispecie criminosa prevista dall’art. 100, 1 comma del D.P.R. 361/57, la Suprema corte ha ravvisato nella condotta sopra descritta, per un verso, l’esercizio di un’azione violenta, che non deve necessariamente avere come destinatarie le persone, ma anche le cose, per altro verso, la turbativa del regolare svolgimento dell’adunanza elettorale e l’alterazione del risultato delle elezioni, essendo state ammesse al voto persone non aventi più diritto ad esercitarlo per essersi presentate ai seggi dopo l’orario di chiusura.
È stata inoltre ritenuta irrilevante ai fini della configurabilità del reato in esame la circostanza che i risultati elettorali del seggio ove si erano verificati i fatti non fossero stati oggetto di annullamento.
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Cassazione penale, sez. III, 28 febbraio 2008, n. 9112