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Home»Notizie giuridiche
Notizie giuridiche Ordinamento Giudiziario Forense

Un nuovo procedimento dell’Antitrust contro il CNF in materia di pubblicità e siti internet degli avvocati.

Avv. Gianluca Lancianodi Avv. Gianluca Lanciano22 Giugno 2015
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iscrizione contemporanea a due albi professionali

L’Antitrust (AGCM) ha aperto un nuovo procedimento contro il CNF in materia di concorrenza e pubblicità su internet per la mancata ottemperanza al precedente provvedimento sanzionatorio del 22 ottobre 2014 (provvedimento n. 25154) ed a seguito del quale era stata irrogata una sanzione al Consiglio Nazionale Forense da quasi un milione di euro.

L’Antitrust prosegue l’offensiva contro il Consiglio Nazionale Forense che è rimasto inadempiente rispetto alle prescrizioni contenute nel precedente provvedimento sanzionatorio n. 25154 del 22 ottobre 2014 e pone particolare attenzione alla norma di cui all’35 del nuovo codice deontologico in materia di pubblicità degli avvocati ed, in particolare, di pubblicità attraverso siti internet.
Il Garante ricorda che nell’ottobre 2014 venne accertata la condotta anticoncorrenziale del Cnf che aveva limitato la libertà degli avvocati nella determinazione della propria condotta sul mercato, da una parte considerando illecito disciplinare la richiesta di compensi inferiori alle tariffe e, dall’altra, limitando l’utilizzo di un canale promozionale e informativo attraverso il quale rendere nota la convenienza della prestazione professisonale offerta.

In particolare, con riferimento a quest’ultimo punto, cruciale nella lettura dell’Antitrust è stato il parere del Cnf n. 48 del 2012 che considerava accaparramento della clientela l’attività pubblicitaria svolta dai professionisti attraverso l’uso di piattaforme come AmicaCard, ritenendo che le stesse consentono al professionista, dietro pagamento di un corrispettivo, di «pubblicizzare l’attività del suo studio evidenziando la misura percentuale dello sconto riservato ai titolari della carta».

Nel provvedimento dell’ottobre 2014, l’Autorità dava conto dei vantaggi economici svolta dalla pubblicità in un’economia di mercato, respingendo poi l’argomentazione del Cnf secondo cui sarebbe legittima la pubblicità effettuata dagli avvocati utilizzando solo siti con nomi di dominio propri, mentre sarebbe deontologicamente scorretto l’utilizzo di siti messi a disposizione da terzi per svolgere la medesima attività.

Ora il Garante rimprovera al Cnf due cose:

  1. Non avere dato  alcuna risposta sulle misure prese per rimuovere l’accertata situazione di lesione della concorrenza e ciò malgrado le ripetute sollecitazioni;
  2. Non solo non avere revocato il parere 48/2012 ma anzi averlo conservato  sul proprio sito istituzionale  e poi, reiterando la condotta censurata, avere inserito nel Codice deontologico una disposizione  (art. 35) che, nella sostanza, riproduce il contenuto del parere.

Sotto la lente è finito così l’articolo 35 secondo cui «L’avvocato può utilizzare, a fini informativi, esclusivamente i siti web con domini propri senza indirizzamento, direttamente riconducibili a sé, allo studio legale associato o alla società di avvocati alla quale partecipi, previa comunicazione al Consiglio dell’Ordine di appartenenza della forma e del contenuto del sito stesso», aggiungendo che «le forme e le modalità delle informazioni devono comunque rispettare i principi di dignità e decoro della professione» e stabilendo, infine, che «la violazione dei doveri di cui ai precedenti commi comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura». Di qui l’apertura di un nuovo procediemnto per inottemperanza.

L’AGCM osserva che le disposizioni del nuovo codice deontologico recepiscono le stesse argomentazioni del CNF in merito alla distinzione tra l’utilizzo – legittimo – di siti web con nomi di dominio propri per veicolare la pubblicità professionale e l’impiego – illegittimo – di siti messi a disposizione da terzi per svolgere la medesima attività, che sono state già espressamente rigettate dall’Autorità nel proprio provvedimento n. 25154 del 2014.
In particolare le prescrizioni contenute nel comma 9 dell’art. 35 del codice deontologico sull’obbligo di comunicazione preventiva al Consiglio dell’Ordine di appartenenza della forma e del contenuto dei siti utilizzati per lo svolgimento di attività pubblicitarie, nonché la disposizione di chiusura di cui al comma 11 con cui si subordinano “le forme e le modalità delle informazioni al rispetto dei “principi di dignità e decoro della professione”, oltre a contrastare con le vigenti disposizioni di legge, si pongono in contrasto con quanto contenuto nel citato provvedimento dell’Autorità.
Infatti, tali prescrizioni confermano e inaspriscono le limitazioni introdotte dal CNF per mezzo del parere n. 48/2012 all’impiego di un nuovo canale di diffusione delle informazioni relative all’attività professionale, idoneo a veicolare anche la convenienza economica della prestazione.
In conclusione, le sopra citate disposizioni dell’art. 35 del codice deontologico forense, entrato in vigore il 15 dicembre 2014, si pongono in contrasto con i principi e le valutazioni effettuate dall’Autorità nel provvedimento n. 25154 del 22 ottobre 2014; esse, pertanto, costituiscono una violazione di quanto disposto alla lettera c) del deliberato del provvedimento, con il quale l’Autorità diffidava il CNF dal porre in essere in futuro comportamenti analoghi a quello oggetto dell’infrazione accertata

Vedi anche: Sconti sulle parcelle e siti internet: sanzioni dell’Antitrust al CNF per restrizioni alla libera concorrenza.

Art. 35. Codice Deontologico Forense
Dovere di corretta informazione

[…]
9. L’avvocato può utilizzare, a fini informativi, esclusivamente i siti web con domini propri senza reindirizzamento, direttamente riconducibili a sè, allo studio legale associato o alla società di avvocati alla quale partecipi, previa comunicazione al Consiglio dell’Ordine di appartenenza della forma e del contenuto del sito stesso.
10. L’avvocato è responsabile del contenuto e della sicurezza del proprio sito, che non può contenere riferimenti commerciali o pubblicitari sia mediante l’indicazione diretta che mediante strumenti di collegamento interni o esterni al sito.
11. Le forme e le modalità delle informazioni devono comunque rispettare i principi di dignità e decoro della professione.
12. La violazione dei doveri di cui ai precedenti commi comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura.

Provvedimento AGCM n. 25487 sulle Condotte restrittive del CNF

[…]

VISTO in particolare l’articolo 15, comma 2, della citata Legge, nella parte in cui prevede che, in caso di inottemperanza alla diffida di cui al comma I dello stesso articolo, l’Autorità applica la sanzione amministrativa pecuniaria fìno al dieci per cento del fatturato ovvero, nei casi in cui sia stata applicata la sanzione di cui al comma I, di importo non inferiore al doppio della sanzione già applicata con un limite massimo del dieci per cento del fatturato, determinando altresì il termine entro il quale il pagamento della sanzione deve essere effettuato; VISTA la Legge 24 novembre 1981, n. 689;

VISTO il proprio provvedimento n. 25154 del 22 ottobre 2014, con il quale è stato accertato che il Consiglio Nazionale Forense (CNF), in violazione dell’art. 101 TFUE, ha posto in essere un’intesa unica e continuata, restrittiva della concorrenza, consistente nell’adozione di due decisioni volte a limitare l’autonomia dei professionisti rispetto alla determinazione del proprio comportamento economico sul mercato, stigmatizzando quale illecito disciplinare la richiesta di compensi inferiori ai minimi tariffari e limitando l’utilizzo di un canale promozionale e informativo attraverso il quale si veicola anche la convenienza economica della prestazione professionale;

[…]

VISTI i punti (b) ed (e) del dispositivo del citato provvedimento, con i quali, rispettivamente, si ordina al CNF di assumere misure atte a porre termine all’infrazione accertata, dandone adeguata comunicazione agli iscritti, e di comunicare tali adempimenti all’Autorità, trasmettendo una specifica relazione entro il 28 febbraio 2015; VISTO il punto (e) del dispositivo del citato provvedimento, con il quale si diffida il CNF dal porre in essere in futuro comportamenti analoghi a quello oggetto dell’infrazione;

VISTO il punto (c) del dispositivo del citato provvedimento, con il quale si diffida il CNF dal porre in essere in futuro comportamenti analoghi a quello oggetto dell’infrazione;

VISTI gli atti del procedimento;

CONSIDERATO quanto segue:

I. IL PROVVEDIMENTO DI CONCLUSIONE DELL’ISTRUTTORIA 1748 – CONDOTTE RESTRITTIVE DEL CNF

1. Con provvedimento n. 25154 del 22 ottobre 2014, l’Autorità ha accertato che “il Consiglio Nazionale Forense [CNF n.d.r.], in violazione dell’articolo 101 del TFUE, ha posto in essere un’infrazione unica e continuata, restrittiva della concorrenza, consistente nell’adozione di due decisioni volte a limitare l’autonomia dei professionisti rispetto alla determinazione del proprio comportamento economico sul mercato, stigmatizzando quale illecito disciplinare la richiesta di compensi inferiori ai minimi tariffari [circolare n. 22-C/2006 n.d.r.] e limitando l’utilizzo di un canale promozionale e informativo attraverso il quale si veicola anche la convenienza economica delle prestazioni professionali [parere n. 48/2012 n.d.r.]” Infatti, la circolare ed il parere miravano a limitare direttamente e indirettamente la concorrenza tra i professionisti basata sulle condizioni economiche dell’offerta dei servizi professionali, con evidente svantaggio per i consumatori finali.

2. In particolare, la circolare n. 22-C 2006, pubblicata unitamente e quale premessa alle disposizioni in materia di tariffe prima e di parametri poi, prevedeva, inter alia, che “rifatto che le tariffe minime non siano più obbligatorie non esclude che – sempre civilisticamente parlando – le parti contraenti possano concludere un accordo con riferimento alle tariffe come previste dal D.M.
Tuttavia, nel caso in cui l’avvocato concluda patti che prevedano un compenso inferiore al minimo tariffario, pur essendo il patto legittimo civilisticamente, esso può risultare in contrasto con gli arti. 5 e 43 e. II del codice deontologico”, segnatamente con i criteri del decoro e della dignità professionale ivi contenuti.
Il parere n. 48/2012, invece, sussumeva nella fattispecie deontologica dell’accaparramento della clientela l’attività pubblicitaria svolta dai professionisti attraverso l’uso di piattaforme quali AmicaCard, ritenendo che le stesse consentono al professionista, dietro pagamento di un corrispettivo, di “pubblicizzare] l’attività del suo studio evidenziando la misura percentuale dello sconto riservato ai titolari della carta” effettuando, in tal modo, “un’offerta generalizzala al pubblico, il cui elemento distintivo è rappresentato dalla vantaggiosità dello sconto prospettato dal professionista offerente, mentre rimangono del tutto aspecifici ed indeterminati la natura e l’oggetto dell’attività al medesimo richiesta”, aggiungendo che “il sito costituisce […] un canale di informazione concentrato sul prevalente aspetto della mera convenienza economica del servizio offerto […]”, comportando “lo svilimento della prestazione professionale da contratto d’opera intellettuale a questione di puro prezzo”.

3. Come risulta dal provvedimento di chiusura dell’istruttoria, alla data di adozione dello stesso, l’infrazione accertata risultava ancora in corso.
Infatti, mentre nel corso del procedimento istruttorio, la circolare n. 22-C/2006 era stata rimossa dalla banca dati del CNF, dove era pubblicata unitamente alle tariffe ministeriali (e poi anche ai parametri), il parere n. 48/2012 continuava ad essere pubblicato sia nella sezione “circolari e pareri” della banca dati del CNF, sia nella sezione del sito web dedicata alla deontologia forense (www.codicedeontologico-cnf.it), entrambe accessibili a chiunque dalla homepage del sito istituzionale del CNF, e non risultavano atti di revoca dello stesso comunicati agli iscritti.

4. Con specifico riferimento alla natura restrittiva del parere n. 48/2012, nel citato provvedimento, l’Autorità aveva rilevato che il parere “introduce una restrizione della concorrenza tra i professionisti sottoposti alla vigilanza del CNF. impedendo loro di utilizzare determinate piattaforme digitali per pubblicizzare i propri servizi professionali, anche con riguardo alla componente economica degli stessi […]” pertanto esso “limita l’impiego da parte degli avvocati di un importante canale messo a disposizione dalle nuove tecnologie per la diffusione dell’informazione circa la natura e al convenienza dei servizi professionali offerti, potenzialmente in grado di raggiungere un ampio numero di consumatori sul territorio nazionale. Piattaforme quali AmicaCard, infatti, costituiscono un mezzo idoneo per fornire agli avvocati nuove opportunità professionali, offrendo loro una maggiore capacità di attrazione di clientela rispetto alle tradizionali forme di comunicazione pubblicitaria; inoltre tali strumenti permettono agli avvocati di penetrare nuovi mercati, consentendo di mettere in concorrenza servizi offerti da professionisti anche geograficamente distanti tra loro. Gli avvocati come noto, pur essendo iscritti presso uno specifico albo circondariale, possono liberamente esercitare la propria attività professionale sull’intero territorio nazionale, dovendo, esclusivamente, nel caso di attività giudiziale, munirsi di un domiciliatario per ricevere la notifica degli atti processuali, laddove non abbiano una sede nel luogo dove si trova l’autorità giudiziaria preso la quale il giudizio è in corso”.

5. Nel provvedimento, inoltre, l’Autorità dava conto dei vantaggi economici e della funzione pro-competitiva svolta dalla pubblicità in un’economia di mercato, rigettando poi l’argomentazione del CNF secondo cui sarebbe legittima la pubblicità effettuata dagli avvocati utilizzando siti con nomi di dominio propri, mentre sarebbe deontologicamente scorretto l’utilizzo di siti messi a disposizione da terzi per svolgere la medesima attività.
In relazione a quest’ultimo aspetto, infatti, nel citato provvedimento si afferma espressamente che “appare inoltre artificiosa e non condivisibile la distinzione, effettuata dal CNF, tra la pubblicità veicolata dai professionisti tramite propri siti web, considerata legittima, e quella veicolata tramite le vetrine online quali AmicaCard, che il CNF ritiene invece in violazione della norma deontologica relativa all’accaparramento della clientela. La distinzione, basata sul fatto che nel primo caso il sito web è accessibile alla generalità degli utenti, mentre nel secondo caso lo sarebbe solo agli iscritti al circuito attraverso il quale si pubblicizza l’attività professionale, appare capziosa e in ogni caso non risulta corrispondente alla realtà dei falli nel caso di specie. È infatti emerso che le vetrine di AmicaCard e le informazioni ivi contenute sono accessibili a chiunque navighi sul web, mentre ciò che è riservato agli iscritti al circuito è unicamente il vantaggio economico, consistente in uno sconto sul compenso professionale che il professionista si impegna a riconoscere agli affiliati al circuito AmicaCard In ogni caso, anche qualora ciò non fosse, e la pubblicità online fosse visibile esclusivamente da un numero ristretto di utenti, segnatamente gli affiliati al circuito in questione, ciò non muterebbe la natura pubblicitaria della comunicazione e il rilievo per i consumatori destinatari delle informazioni ivi contenute. Del resto anche la pubblicità su riviste generali o specializzate, ovvero le inserzioni su guide tematiche o su rubriche quali, ad esempio, le Pagine Gialle, sono visibili esclusivamente da coloro che acquistano o ricevono tali pubblicazioni, ma la legge non prevede alcun trattamento maggiormente restrittivo per queste forme di pubblicità rispetto a quella per esempio veicolata attraverso cartelloni pubblicitari o via etere.
D’altra parte né la riforma Bersani né i successivi interventi di liberalizzazione in materia di pubblicità dei professionisti, compresa da ultimo la legge di riforma dell’ordinamento forense, introducono distinzioni tra la pubblicità diretta alla generalità degli utenti consumatori e quella diretta a un gruppo ristretto degli stessi, risultando entrambe forme lecite di comunicazione delle informazioni professionali”.

6. L’Autorità rigettava, infine, le argomentazioni del CNF volte a giustificare la restrizione concorrenziale provocata dal parere n. 48/2012 sulla base della pretesa idoneità della stessa a perseguire in maniera proporzionata obiettivi di interesse generale, rilevando inoltre come il legislatore nella ed. riforma Bersani – prima – e nella legge forense poi – abbia sancito la legittimità della pubblicità professionale”, anche mediante strumenti informatici, senza distinguere in base all’appartenenza degli stessi ai professionisti o all’accessibilità agli stessi da gruppi più o meno ampi di utenti/consumatori.

II – L’INOTTEMPERANZA ALLA LETTERA (B) ed (E) DEL DELIBERATO DEL PROVVEDIMENTO n. 25154 del 22 ottobre 2014

a) Fatto

7. Il provvedimento dell’Autorità n. 25154 del 22 ottobre 2014 prescriveva la trasmissione da parte del CNF, entro il 28 febbraio 2015, di una relazione scritta finalizzata ad illustrare le misure assunte dal CNF per porre termine all’infrazione dell’art. 101 TFUE accertata nel provvedimento stesso, come disposto dalla lettera b) del dispositivo.
Essendo trascorso il termine sopra indicato, il CNF, con comunicazione del 14 aprile 2015, veniva sollecitato a presentare la citata relazione prevista dalla lettera e) del dispositivo. A tale richiesta non seguiva, tuttavia, alcuna risposta da parte del CNF.

8. Da accertamenti, effettuati in data 7, 13 e 21 maggio 2015, è emerso che il parere n. 48/2012 risulta ancora pubblicato nel sito istituzionale del CNF, sia nella sezione dedicata alla deontologia professionale (wwv.codicedeontohgico-cnf.it), dove sono raccolti i pareri, la prassi e le sentenze in materia deontologica, sia nella banca dati del CNF, nella sezione “circolari e pareri”, accessibile dalla homepage del silo istituzionale dello stessò4.
è inoltre emerso che non risultano pubblicati sul sito del CNF atti e o comunicazioni di revoca del parere n. 48/2012.

b) Valutazioni e conclusioni sull’inottemperanza alla lettera (b) ed (e) del deliberato del provvedimento tu 25154 del 22 ottobre 2014

9. Dalle evidenze raccolte e dal comportamento passivo tenuto dal CNF a seguito della chiusura dell’istruttoria emerge che il Consiglio non si è conformato a quanto deliberato nel provvedimento adottato dall’Autorità il 22 ottobre 2014, lettere b) ed e), a mente del quale il CNF avrebbe dovuto adottare “misure atte a porre termine ali ‘infrazione dandone adeguata comunicazione agli iscriltr e comunicare le stesse all’Autorità mediante specifica relazione scritta, entro il 28 febbraio 2015.

10. Infatti, il CNF non ha provveduto a revocare il parere n. 48/2012 dandone adeguata comunicazione agli iscritti, in tal modo perpetuando la restrizione concorrenziale oggetto dell’accertamento istruttorio.

III – L’INOTTEMPERANZA ALLA LETTERA (C) DEL DELIBERATO DEL PROVVEDIMENTO n. 25154 del 22 ottobre 2014

a) Fatto

11. L’Autorità, nel citato provvedimento n. 25154 del 22 ottobre 2014, oltre ad accertare l’infrazione commessa dal CNF, diffidava quest’ultimo dal porre in essere in futuro comportamenti analoghi a quello oggetto dell’infrazione accertata.

12. Tuttavia, in data 21 maggio 2015, si rilevava che il vigente codice deontologico forense, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 16 ottobre 2014 ed entrato in vigore il 15 dicembre 2014, all’articolo 35, rubricato “Dovere di corretta informazione”, prescrive al comma 9 che “L’avvocato può utilizzare, a fini informativi, esclusivamente i siti web con domini propri senza reindirizzamento, direttamente riconducibili a sè, allo studio legale associato o alla società di avvocati alla quale partecipi, previa comunicazione al Consiglio dell’Ordine di appartenenza della forma e del contenuto del sito stesso” aggiungendo al comma 11 che “Le forme e le modalità delle informazioni devono comunque rispettare i principi di dignità e decoro della professione” e stabilendo, infine, al comma 12 che “la violazione dei doveri di cui ai precedenti commi comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura”.

13. La Relazione illustrativa del codice deontologico specifica che: “l’art. 35 (“dovere di corretta informazione”) trova ora collocazione sempre in questo titolo e, in applicazione dell’art. 17 dei principi generali (che mutua la previsione legislativa), affina, semplifica e razionalizza gli articoli 17 e 17 bis del codice ancora vigente e si pone in diretta saldatura con il divieto di accaparramento di clientela; degne di particolare menzione sono le previsioni di cui ai commi 9 e IO destinate a presidiare, con la realistica consapevolezza dell’arduità del compito, il complesso ed articolato mondo di internet; il comma 11, con il valore che assume come previsione “di chiusura”, riflette una linea interpretativa da sempre fatta propria ed avallala dalla giurisprudenza del Consiglio Nazionale Forense e della Corte di legittimità”.

b) Valutazioni e conclusioni sul inottemperanza alla lettera (c) del deliberato del provvedimento ti. 25154 del 22 ottobre 2014

14. In via preliminare si ricorda che, secondo la consolidata giurisprudenza comunitaria e nazionale, i professionisti sono qualificabili quali imprese ai fini dell’applicazione delle norme in materia di concorrenza e, agli stessi fini, gli ordini professionali costituiscono associazioni di imprese.
Parimenti, la giurisprudenza comunitaria e nazionale ha espressamente riconosciuto che i codici deontologici costituiscono deliberazioni di associazioni di imprese, rientrando, in quanto tali, nel campo materiale di applicazione dell’articolo 101 del TFUE.

15. Le disposizioni contenute nell’art. 35 del vigente codice deontologico forense ripropongono sostanzialmente quanto contenuto nel parere n. 48/2012, giungendo a ritenere, al pari del parere, deontologicamente scorretto – pertanto sanzionabile disciplinarmente – l’utilizzo di piattaforme digitali messe a disposizione degli avvocati da soggetti terzi per veicolare informazioni relative all’attività professionale, in tal modo “limitando I utili—o di un canale promozionale e informativo attraverso il quale si veicola anche la convenienza economica della prestazione”.
Così facendo, il CNF ha reiterato l’infrazione accertata e stigmatizzata nel provvedimento di chiusura dell’istruttoria del caso 1748.
In particolare, le disposizioni del codice deontologico recepiscono le argomentazioni del CNF in merito alla distinzione tra l’utilizzo – legittimo – di siti web con nomi di dominio propri per veicolare la pubblicità professionale e l’impiego – illegittimo – di siti messi a disposizione da terzi per svolgere la medesima attività, che, come visto sopra, sono state espressamente rigettate dall’Autorità nel proprio provvedimento.

16. Tale continuità tra i principi e gli argomenti alla base del parere n. 48/2012 e le disposizioni dell’art. 35 del vigente codice deontologico forense emerge inoltre dal contenuto della relazione illustrativa del codice. Questa, infatti, espressamente individua l’art. 35 quale anello di congiunzione tra le disposizioni deontologiche in materia di pubblicità e quelle in materia di accaparramento della clientela, fattispecie quest’ultima sotto la quale, in assenza di una disposizione analoga all’attuale art. 35, il parere n. 48/2012 sussume la condotta dei professionisti che utilizzano piattaforme digitali per pubblicizzare i propri servizi professionali.

17. Parimenti, la prescrizione contenuta nel comma 9 dell’art. 35 del codice deontologico sull’obbligo di comunicazione preventiva al Consiglio dell’Ordine di appartenenza della forma e del contenuto dei siti utilizzati per lo svolgimento di attività pubblicitarie, nonché la disposizione di chiusura di cui al comma 11 con cui si subordinano “le forme e le modalità delle informazioni al rispetto dei “principi di dignità e decoro della professione”, oltre a contrastare con le vigenti disposizioni di legge, si pongono in contrasto con quanto contenuto nel citato provvedimento dell’Autorità.

18. Infatti, tali prescrizioni confermano e inaspriscono le limitazioni introdotte dal CNF per mezzo del parere n. 48/2012 all’impiego di un nuovo canale di diffusione delle informazioni relative all’attività professionale, idoneo a veicolare anche la convenienza economica della prestazione.

19. In conclusione, le sopra citate disposizioni dell’art. 35 del codice deontologico forense, entrato in vigore il 15 dicembre 2014, si pongono in contrasto con i principi e le valutazioni effettuate dall’Autorità nel provvedimento n. 25154 del 22 ottobre 2014; esse, pertanto, costituiscono una violazione di quanto disposto alla lettera c) del deliberato del provvedimento, con il quale l’Autorità diffidava il CNF dal porre in essere in futuro comportamenti analoghi a quello oggetto dell’infrazione accertata.

RITENUTO

Pertanto che la permanenza e la mancata revoca con adeguata comunicazione agli iscritti del parere n. 48/2012 rappresenti una violazione del deliberato del provvedimento n. 25154 del 22 ottobre 2014, perpetuando l’accertata situazione anticoncorrenziale, e che la riproposizione nell’art. 35 del codice deontologico di disposizioni già censurate nel provvedimento n. 25154 del 22 ottobre 2014 integri una violazione del divieto di reiterare comportamenti analoghi a quelli oggetto dell’infrazione accertata;

DELIBERA

a) Di contestare al Consiglio Nazionale Forense (CNF) la violazione di cui all’articolo 15, comma 2 della Legge n. 287/90 per inottemperanza al provvedimento dell’Autorità n. 25154 del 22 ottobre 2014;

b) che il responsabile del procedimento è il dott. Matteo Pierangelo Negrinotti;

c) che gli atti del procedimento possono essere presi in visione presso la Direzione Manifatturiero e Servizi della Direzione Generale per la Concorrenza di questa Autorità dai legali rappresentanti del Consiglio Nazionale Forense, nonché da persone da essi delegate;

d) con riguardo all’inottemperanza contestata, che, ai sensi dell’articolo 18, comma 1, della Legge n. 689/81, entro il termine di trenta giorni dalla notificazione del presente provvedimento, gli interessati possono far pervenire all’Autorità scritti difensivi e documenti e chiedere di essere sentiti;

e) che il procedimento deve concludersi entro centottanta giorni dalla notificazione del presente provvedimento.

Il presente provvedimento sarà notificato ai soggetti interessati e pubblicato nel Bollettino dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.

IL SEGRETARIO GENERALE

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