OGGETTO: Pratica num. 20/IN/2014. Monitoraggio e studio delle problematiche attuative del Processo Civile Telematico.
1. PREMESSA.
Il Processo Civile Telematico (P.C.T.) è una realtà della giustizia italiana, a seguito della sua progressiva entrata in vigore del 30 giugno 2014 e 1 gennaio 2015. Il C.S.M. ne ha seguito lo sviluppo ben prima della sua applicazione attraverso un costante metodo di monitoraggio, studio e interlocuzione istituzionale. Si è in particolare utilizzata la rete dei referenti informatici distrettuali per seguirne le vicende attuative ( con incontri collegiali nel maggio e dicembre 2014) e si è tenuto un costante confronto con il Ministero della Giustizia sia in sede di comitato paritetico, che nell’ambito del tavolo tecnico per il p.c.t. istituito dal Ministro della Giustizia.
Il Consiglio Superiore della Magistratura ha già deliberato due volte, in data 12 giugno 2014 e 10 luglio 2014 in relazione alle prime criticità di impatto tecnico e normativo del nuovo sistema. Successivamente, con delibera del 5-19 novembre 2014 lo stesso Consiglio ha stabilito di effettuare una ulteriore verifica, avvalendosi in particolare dei Referenti Informatici Distrettuali attraverso una capillare attività di monitoraggio compiuta con la compilazione di un questionario on line.
Infine la S.T.O., a conclusione della raccolta dei relativi dati della disamina delle relazioni pervenute dai R.I.D. in data 19 febbraio 2015 ha depositato alla VII commissione una analitica relazione sullo stato della giustizia civile telematica, che si caratterizza per analiticità e completezza, oltre che per indubbia qualità di analisi. Essa costituisce l’ossatura della motivazione della presente delibera.
Ci si muove nella consapevolezza che organizzazione, innovazione e informatizzazione rappresentano imprescindibili strumenti di rafforzamento dell’efficienza e di velocizzazione dei tempi della giustizia. Allo stesso tempo però, occorre rifuggire dalla tentazione di intendere l’organizzazione come sostitutiva delle risorse, e non – invece – come un metodo di ottimizzazione e di migliore gestione delle stesse che – in ogni caso – devono essere costantemente assicurate in misura adeguata. Si tratta inoltre di strumenti che devono essere governati con cura per evitare il rischio, del tutto opposto all’obiettivo prefissato, di diminuzione delle garanzie e delle concrete possibilità per i cittadini di accesso alla difesa ed alla tutela dei diritti, nonché di riduzione della centralità della funzione del giudice nel controllo e nell’esercizio della giurisdizione.
Nell’ambito del Processo civile telematico, la promessa semplificazione e velocizzazione dei processi ha indiscutibilmente fatto i conti con l’impiego di risorse inadeguate in termini di hardware, assistenza tecnica e capacità di tenuta delle linee telematiche. Del tutto inadeguata è stata la formazione, ed anche la Scuola Superiore della Magistratura, in questo settore si è mossa in ritardo. Sono inoltre emerse questioni di difficile interpretazione normativa che potevano essere
risolte predisponendo gli opportuni accorgimenti in fase di avvio. E’ necessario ora riconsiderare le normativa processuale, pensata per un sistema cartaceo, in modo da adattarla alla nuova realtà del PCT
I giudici hanno supplito alle iniziali carenze con grande spirito di abnegazione, anche attraverso costante interlocuzione a livello locale con l’avvocatura.
Manca un ripensamento del ruolo e funzione del personale ausiliario del giudice che per effetto dell’informatizzazione del processo risulta sgravato di alcuni compiti ma non adeguatamente formato ed indirizzato allo svolgimento di nuove funzioni di supporto all’attività del giudice che opera con il PCT
La stabilizzazione ed estensione del PCT rischia di aggravare i problemi e moltiplicare la portata dei problemi.
Il metodo seguito dal C.S.M., di attento e costante monitoraggio, ha consentito non solo di compiere una ricognizione sul complessivo impatto dell’introduzione della nuove tecnologie nel processo civile, ma anche di raccogliere suggerimenti, spunti di riflessione, possibili soluzioni alle criticità che si sono manifestate in seguito alla prima applicazione del p.c.t.
Per questo motivo, in chiave propulsiva, dato il ruolo cruciale dell’ innovazione tecnologica nel processo e tenuto conto della necessità di incentivare la piena collaborazione tra il C.S.M. ed il Ministero della Giustizia, si procederà ad evidenziare sia i fattori di criticità sia le possibili soluzioni e gli interventi ritenuti necessari per rispondere alle crescenti esigenze.
2. IL P.C.T. E LE SUE PROBLEMATICHE STRUTTURALI: software, hardware, infrastruttura.
2.1 Il software.
Come già evidenziato nei precedenti atti consiliari, la prima fase di obbligatorietà ha rivelato che la principale criticità risiede nella complessità degli applicativi (sia dei registri, sia di quelli in uso ai magistrati) che ha prodotto il disorientamento degli operatori che adottano prassi eterogenee e incorrono spesso in errori di utilizzo, con l’incrementarsi delle richieste di assistenza. Primo obiettivo allora, in chiave evolutiva, dovrebbe essere una semplificazione del software che consentirebbe certamente la riduzione della richiesta di interventi dell’assistenza ed una diminuzione della domanda formativa.
Inoltre, essendo l’applicativo Consolle destinato a favorire il telelavoro del magistrato, dovrebbe essere semplificato il suo utilizzo delocalizzato che allo stato non è affatto intuitivo, nonché agevolato l’utente ad installare il programma e aggiornarlo, previo download da un’area riservata dall’esterno dell’ufficio.
L’attività di monitoraggio compiuta ha inoltre evidenziato la incompletezza degli applicativi con particolare riferimento:
- alle procedure esecutive e concorsuali;
- alla volontaria giurisdizione (tutelare, successioni, e rito speciale di famiglia)
- alle ritualità collegiali (di particolare importanza nei gradi di appello);
- alle funzioni presidenziali;
Per quanto riguarda le procedure esecutive la consolle del magistrato appare poco funzionale all’emissione dell’ordinanza di vendita e di assegnazione e alla gestione dei sub procedimenti. Si riscontra, infine, anche la mancanza di “placheholder”.
Per le procedure concorsuali (ma la criticità riguarda anche le procedure esecutive – specialmente immobiliari) è stato possibile riscontrare l’inadeguatezza dell’interfaccia per le esame delle istanze (in particolare con riferimento al “visto agli atti”) nonché la mancanza di adeguate funzionalità per la gestione dell’udienza di verifica dello stato passivo e l’esame delle istanze di insinuazione. Si deve ancora rilevare il mancato funzionamento delle funzioni di messaggistica (pure sviluppato) con i curatori ed il mancato sviluppo delle funzioni per l’emissione dei mandati di pagamento e per la verifica ed il controllo delle attività degli ausiliari del magistrato (attività queste che connotano fortemente il lavoro del giudice delegato ed acquisiscono particolare importanza). Si riscontra, infine, la vera e propria mancanza della gestibilità di riti ormai da tempo introdotti quali ad esempio il concordato preventivo in bianco.
Per quanto concerne la volontaria giurisdizione si riscontra la mancanza di modelli tipici a disposizione dei magistrati, la non integrazione dei registri di stato civile e delle successioni, la gestione incompleta della procedura di amministrazione di sostegno (ricalcata sul modello del processo civile ordinario senza distinguere la peculiare e rilevante fase di gestione della procedura successiva alla nomina dell’amministratore) la mancanza di una politica per lo sviluppo di punti di accesso o sportelli di prossimità per l’uso del Pct anche da parte dei cittadini e/o delle Pubbliche Amministrazioni. Un aspetto particolare, da considerare, riguarda il rispetto delle norme sulla privacy e il trattamento dei dati sensibili: tra gli altri, ad esempio, il settore tutelare nel quale vengono acquisite informazioni attinenti agli aspetti della salute (di cui è vietata la divulgazione), dello status e delle relazioni personali e del patrimonio delle persone. L’attuale logica del sistema, connotato da una sostanziale visibilità a tutte le parti del processo, non appare adeguato in tali situazioni sia per carenze nella gestione della procedura sia per la impossibilità di profilare in modo differente la visibilità degli atti. Così, a titolo esemplificativo, una parte costituita durante la nomina dell’amministratore di sostegno di fatto continua ad avere piena visibilità degli atti anche durante la gestione dell’amministrazione (fase nella quale il fascicolo non è ostensibile erga omnes ma anzi è riservato) a meno che non si ricorra a soluzioni drastiche quali la cancellazione della parte dal registro (con effetto ex tunc). Occorre quindi prevedere una gestione delle regole di visibilità più avanzata e selettiva rispetto a quella oggi adottata.
Quanto alle funzioni presidenziali si evidenzia l’attuale pratica indisponibilità per il presidente di una propria consolle con la quale gestire la materia delle assegnazioni e riassegnazioni, oltre che la incompletezza e problematicità del software per il deposito dell’atto telematico da parte del presidente.
Da più parti è, infine, segnalata l’inadeguatezza dei software per ciò che attiene alla mera lettura degli atti (impossibilità dell’uso di dispositivi diversi dal PC, impossibilità di lavorare direttamente sul pdf).
Di notevole rilievo è la mancanza di integrazione della figura del Pubblico Ministero nella infrastruttura del p.c.t.. Ciò, in effetti, pregiudica sia la possibilità di effettuare da parte dell’ufficio giudiziario le comunicazioni e le trasmissioni degli atti (si pensi alla notevole quantità di documenti che devono essere trasmessi nell’ambito dei riti consensuali concorsuali o nei riti di famiglia o nella volontaria tutelare) sia la possibilità per il Pubblico Ministero di accedere ai fascicoli in cui assume il ruolo di parte con evidente pregiudizio per la funzione svolta e disparità di trattamento anche rispetto alle parti private.
Deve essere inoltre evidenziata la pratica impossibilità per i magistrati di accedere agevolmente ai registri di cancelleria (necessità derivante dalla incompletezza dei dati forniti dagli applicativi per i magistrati), sia (per quanto consta) per la mancanza di una apposita “profilatura” in S.I.C.I.D., sia per i limiti di accesso previsti per la profilatura presente in S.I.E.C.I.C..
La già riscontrata difficoltà nell’utilizzo dell’interfaccia per l’esame delle istanze (evidenziata con riferimento ai riti esecutivi e concorsuali) è stata riscontrata anche per il contenzioso ordinario, lavoro e per la volontaria giurisdizione in genere.
Da ultimo, si osserva inoltre che:
- l’interfaccia realizzata per compiere le estrazioni statistiche (e disponibile dalla consolle del magistrato – cd. cruscotto del magistrato) non appare di facile ed intuitivo utilizzo né ne risulta sufficientemente testato diffuso ed evoluto l’utilizzo ();
- la gestione e l’utilizzo di documenti telematici richiede una capillare diffusione di software aggiuntivi (come ad es. Dragon, PDF Wiewer, ecc.) che possono agevolare il complesso lavoro del giudicare sollevando il magistrato da incombenze meramente pratiche ed esecutive;
- l’attuale sistema non consente al magistrato la consultazione di provvedimenti risalenti nel tempo ne è agevole la loro consultazione dagli applicativi di cancelleria (cd problema della “storicizzazione di consolle);
- la banca dati di giurisprudenza distrettuale presente nel software del magistrato non è coerentemente e sufficientemente sviluppata ed evoluta e presenta numerosi malfunzionamenti;
Sulla base delle rilevazioni compiute occorre quindi:
- provvedere tempestivamente alla individuazione degli intereventi necessari per la revisione, la semplificazione e la razionalizzazione degli applicativi ministeriali, anche per consentire una corretta gestione dei riti collegiali e per l’esercizio delle funzioni direttive, semidirettive ed amministrative;
- consentire (con l’adozione delle regole di sicurezza necessarie) l’installazione e l’aggiornamento della consolle del magistrato anche dal di fuori della rete giustizia;
- ottimizzare i processi di download dei dati e dei documenti consentendo anche l’archiviazione della base dati locale su supporti esterni;
- sviluppare ed adeguare la consolle per le procedure concorsuali e l’esecuzione forzata e la volontaria giurisdizione;
- rendere urgentemente disponibile un applicativo che consenta all’ufficio del pubblico ministero di consultare i fascicoli di suo interesse, di estrarre copie degli atti, di gestire le comunicazioni e notificazioni di cancelleria, di effettuare notificazioni (in materia civile) di depositare i propri atti;
- consentire, attraverso l’implementazione di specifici profili di utenza, la piena consultazione da parte dei giudici dei registri di cancelleria (compresa l’area dei depositi telematici);
- integrare i sistemi di consultazione degli uffici giudiziari con il datawarehouse civile e completare la sua realizzazione con l’inclusione dei riti S.I.E.C.I.C.;
- individuare, in ogni singolo ufficio (o, quantomeno, a livello distrettuale), specifico personale cui consentire ed affidare la consultazione del datawarehouse e ciò al fine di rispondere non solo alle richieste di informazioni provenienti dal C.S.M. e dell’amministrazione centrale, ma anche (e soprattutto) alle continue richieste di interrogazione che pervengono dai singoli uffici giudiziari e dai magistrati per fini organizzativi, valutativi ed ispettivi;
- garantire una adeguata ed immediata diffusione di tutti i software di maggiore utilizzo mediante la fornitura di PC già preinstallati ed in grado di essere immediatamente operativi.
2.2 L’ hardware.
Dall’analisi condotta sono emersi profili di criticità anche relativi alle dotazioni hardware degli uffici giudiziari. Appare evidente che in un sistema processuale basato sostanzialmente sull’utilizzo delle tecnologie la mancanza di strutture affidabili ed efficienti rischia di pregiudicare gravemente l’esercizio della giurisdizione.
Prima tra le criticità riscontrate e strettamente connessa alla forte domanda di preservare la qualità del lavoro da parte dei magistrati, è la questione delle difficoltà di operare esclusivamente mediante lettura video alla consultazione di complessi atti e documenti, quando a ciò si deve provvedere con apparecchiature inefficienti ed obsolete (in più occasioni e contesti segnalata dai magistrati utenti del pct). A ciò consegue che non è solo necessario garantire una adeguata
fornitura di beni e sevizi ma occorre anche che essi siano costantemente efficienti ed adeguati al mutare delle esigenze tecnologiche.
Occorrono, quindi, non solo pc, scanner e video di dimensioni sufficienti ma anche stampanti veloci individuali, materiali di consumo ed apparecchiature necessari a meglio gestire l’udienza e le esigenze di lettura (come doppi monitor e tastiere aggiuntive).
Da parte dei magistrati si segnala ancora la difficoltà nell’approvvigionamento e sostituzione delle smart card necessarie ad accedere ai software per i magistrati ed alle funzionalità del p.c.t..
Sulla base delle rilevazioni compiute occorre quindi:
- garantire la fornitura di stampanti veloci individuali (non multifunzione) a tutti i magistrati (quantomeno a coloro che ne facciano richiesta) ed al personale di cancelleria abilitato alla accettazione degli atti telematici ed al rilascio di copie;
- garantire, in relazione all’inevitabile aumento del volume di stampa conseguente all’obbligatorietà dei depositi telematici una, una adeguata fornitura di materiali di consumo;
- garantire adeguate dotazioni di scanner veloci;
- concepire e perseguire un piano di rinnovo costante del parco macchine che preveda la periodica (quantomeno triennale) sostituzione degli apparati con particolare riferimento alle stampanti ed ai pc portatili e stipulare contratti di assistenza e manutenzione hardware che prevedano non solo la riparazione ma anche la fornitura di apparati sostitutivi per il tempo strettamente necessario alla riparazione;
- pianificare il rinnovo automatico delle smart card (possibilmente mediante invio delle nuove credenziali d’accesso direttamente alla residenza del magistrato).
- semplificare le procedure di sostituzione delle smart card in caso di furto, smarrimento o danneggiamento; prevedendo livelli di servizio elevati stante il carattere bloccante per l’attività giurisdizionale del mancato accesso alla firma o in alternativa la possibilità di disporre di una seconda firma (ad esempio nella tessera elettronica di riconoscimento);
- prevedere sistemi di identificazione e firma elettronica alternativi a quelli attualmente in uso e che non necessitino di supporti fisici collegati al PC soprattutto per garantire la continuità del servizio;
- prevedere l’allestimento di aule d’udienza con dotazioni informatiche idonee allo svolgimento di udienze “telematiche” (anche collegiali);
- garantire, quantomeno ai magistrati che ne facciano richiesta, la fornitura di doppi monitor (di adeguate dimensioni), di più tastiere, di webcam e microfoni (eventualmente anche in dotazione domestica).
2.3 L’infrastruttura.
Non è in dubbio che sia stato effettuato da parte del Ministero della giustizia un significativo sforzo per garantire una efficiente sistema di rete. Si è avuto modo di apprezzare, in particolare, che la quasi totalità degli uffici giudiziari sono oggi raggiunti da collegamenti in fibra ottica e che gran parte dei palazzi di giustizia appaiono cablati. Ciò nonostante, da parte dell’utenza continuano a pervenire segnalazioni relative alla lentezza delle reti e dei sistemi, ma soprattutto si riscontrano continue interruzioni nella fornitura dei servizi dovute talvolta ad eccezionali ed imprevedibili accadimenti (es. rottura accidentale di cavi) talvolta ad attività programmate o programmabili. Ciò che tuttavia appare veramente disorientare gli uffici è, in queste ipotesi, la quasi totale mancanza di una preventiva informazione in ordine alle cause ed alle soluzioni relative ai blocchi del sistema e la mancanza di istruzioni sulle procedure di emergenza da attivare; si tratta di blocchi e interruzioni che, proprio perché non preavvisati, incidono pesantemente sul concreto esercizio della giurisdizione e sulla sua efficienza. Al fine di consentire una efficace e definitiva soluzione ai problemi riscontrati appare ineludibile (al fine di garantire potenzialità proprie di tutti i sistemi ad elevata efficienza e che necessitano di continuità) la previsione di sistemi di ridondanza e lo sviluppo di sistemi di disaster recovery dei quali, pure essendo stata annunciata la realizzazione ad
oggi non si conoscono gli esiti. A tale proposito sarebbe opportuno il ripensamento della collocazione fisica e organizzativa delle sale server, che andrebbero sviluppate in una logica di mirroring, con collocazione nelle grandi sedi metropolitane (ad esempio Milano, Napoli e Roma) cosicché ogni luogo abbia disponibile una copia dei dati da utilizzare per garantire la continuità del servizio.
Occorrerebbe poi evitare la diffusione delle infrastrutture a macchia di leopardo garantendo a tutti gli uffici eguale accesso alla giustizia: l’infrastruttura richiede consistenti interventi di potenziamento sia nella sua estensione geografica, dovendo raggiungere tutti gli uffici giudiziari, sia nella robustezza e disponibilità di banda di rete. È del resto il caso di evidenziare che, proprio la diffusione del Pct, in seguito alla sua progressiva obbligatorietà, incrementa giorno per giorno i problemi di connettività essendo in corso, come prevedibile un esponenziale aumento delle consultazioni on line soprattutto da parte dell’utenza esterna: a tale fenomeno si può rispondere solo decongestionando i sistemi e ricollocando i luoghi logici e fisici di consultazione dei dati per ridurre il peso dell’utenza sui sistemi interni che oggi mostrano continua sofferenza (come testimoniano i frequenti blocchi o rallentamenti).
Sulla base delle rilevazioni compiute occorre quindi:
- l’adozione di meccanismi di ridondanza dei sistemi al fine di assicurare continuità di esercizio con la creazione di un numero limitato di sale server nazionali in una logica di mirroring;
- l’aumento della “quantità” di banda a disposizione del sistema giustizia garantendo a tutti gli uffici il collegamento in fibra-ottica;
- la decongestione dei sistemi dal costante aumento delle consultazioni (ottimizzando i sistemi in modo tale che esse non incidano sulla velocità di accesso e risposta che deve essere garantita agli utenti abilitati interni ovvero separando la base dati in consultazione da quella in esercizio);
- la limitazione dei periodi di fermo dei sistemi sviluppando logiche di mirroring tra le sale server principali attualmente in esercizio e consentendo i blocchi programmati solo in periodo notturno ovvero in giorni non lavorativi;
- l’attivazione di un sistema capillare di informazione in ordine ai blocchi programmati dei sistemi ed un efficiente sistema di allarme per quelli non programmabili;
- la realizzazione d linee di back up e di sistemi di disaster recovery.
- A margine delle considerazioni svolte su software e infrastruttura appare il caso di evidenziare che alcuni dei problemi esposti potrebbero trovare una soluzione con una semplificazione della struttura del Pct che, pure senza essere stravolta, richiede un ripensamento evolutivo che faccia frutto degli aspetti critici già evidenziati.
In particolare :
- ripensare ed evolvere in senso semplificativo e migliorativo la gestione delle anagrafiche attualmente inutilmente moltiplicate; rendere accessibili all’operatore (eventualmente anche con automatismi) i dati delle PEC reperibili nei vari registri rilevanti per le comunicazioni e le notificazioni (INIPEC, Registro Imprese, etc);
- ripensare le modalità di deposito degli atti, in particolare, superare la logica della PEC per i depositi dei flussi dall’esterno, introducendo il più moderno concetto di upload con responsabilizzazione degli operatori.
3. IL P.C.T. E LE PROBLMATICHE ORGANIZZATIVE: FORMAZIONE, ASSISTENZA E ORGANIZZAZIONE.
3. 1 La formazione.
Nell’attuale situazione di transizione dalla gestione cartacea del processo a quella telematica, è indispensabile la programmazione di un consistente numero di iniziative formative che raggiungano tutti i giudici civili per creare un bagaglio di conoscenze sul diritto processuale, come modificato in concreto per l’effetto delle comunicazioni e notificazioni telematiche, nonché per effetto della obbligatorietà del pct. La formazione dovrà riguardare non solo le norme e la loro genesi ma anche gli aspetti tecnici che le norme evocano. In definitiva è necessaria una formazione che unisca all’esame delle norme da interpretare, il contemporaneo esame critico degli applicativi rispetto ai quali si riscontra (anche dai dati dei monitoraggio) una insufficiente formazione dei magistrati (che deve necessariamente estendersi anche al funzionamento della infrastruttura tecnologica). Nella stessa ottica dovrebbe essere oggetto di una attività specifica di formazione, destinata al personale di cancelleria, la evoluzione dei software, scaturente da continui aggiornamenti del sistema, allorché le modifiche evolutive o le patch incidano in maniera significativa sui programmi, così da evitare errori conseguenti alla mancata conoscenza delle evolutive stesse.
Di pari passo occorre sviluppare delle iniziative formative che, raccolte sul campo dal diritto vivente le maggiori criticità applicative e i contrasti di giurisprudenza circa la ricostruzione dell’impianto normativo del pct, formuli opportune opzioni interpretative anche propulsive di evoluzioni normative ricognitive e correttive di aspetti oscuri (es. la ammissibilità di produzioni cartacee nel corso dell’udienza, la sorte degli atti dlepositati in modo non conforme alle regole tecniche, l’ambito della rimessione in termini rispetto a profili tecnici di mancata consegna etc.).
Tale processo ermeneutico, proprio della formazione, è ineludibile per evitare che gli scopi del Pct, di velocizzare e migliorare la gestione del processo civile, siano frustrati da interpretazioni variegate prodotte da norme e regole poco chiare, dovendosi invece favorire la consapevolezza delle questioni e delle interpretazioni ai fini della certezza e uniformità del diritto e della tutela del diritto di difesa. La formazione, in ogni caso, non può limitarsi alle sole categorie dei magistrati, anche onorari, e del personale, ma in maniera coordinata o quanto meno consapevole, dovrebbe includere tutti “gli attori del Pct” estendendosi i moduli formativi alle altre categorie coinvolte, degli utenti abilitati esterni (avvocati, consulenti, curatori, notai e professionisti comunque abilitati nelle varie fasi e sedi processuali) nonché agli stagisti coinvolti nelle specifiche attività loro demandate, nell’uso della “consolle dell’assistente”.
Sulla base delle rilevazioni compiute occorre quindi:
- predisporre ed attuare (di concerto tra la Scuola della Magistratura, il C.S.M. ed il Ministero della Giustizia) un “piano straordinario” di formazione (obbligatoria) per tutti i magistrati (ordinari e onorari) destinati a funzioni civili;
- una assunzione di impegno da parte del Ministero della Giustizia (anche attraverso la valorizzazione dell’esperienza dei C.S.I.A.) e della Scuola della Magistratura (attraverso i formatori decentrati) a collaborare nelle iniziative di formazione/informazione tecnologica con i Referenti informatici distrettuali ed i magistrati di riferimento per l’informatica;
- l’individuazione di specifiche risorse umane in grado di svolgere, quantomeno in questa fase di avvio e nell’ambito di specifici piani di diffusione coordinati dai R.I.D. e dai Mag. Rif. dei singoli uffici giudiziari, attività di supporto ai magistrati (ordinari ed onorari) nell’utilizzo della degli applicativi ministeriali;
- l’estensione dei piani formativi/informativi anche ai tirocinanti ed ai cancellieri;
- la diffusione dell’utilizzo del model office, anche attraverso la possibilità di rendere disponibile (anche solo parzialmente) la base dati dell’ufficio per lo svolgimento di attività formative ovvero per la soluzione di problemi tecnologici;
- pianificare una specifica procedura di rilascio e diffusione delle modifiche evolutive distinguendo tra quelle a basso impatto per cui potrebbe essere sufficiente la diffusione di una apposita nota informativa da quelle ad “alto impatto” per cui si rende necessaria la pianificazione di apposite attività formative;
- prevedere, in ogni caso, prima del rilascio, idonee procedure di pubblicazione delle modifiche evolutive e correttive in grado di rendere tempestivamente edotta, tutta l’utenza, della porta degli interventi e delle ripercussioni organizzative sul sistema;
- accompagnare la diffusione delle modifiche evolutive con schede illustrative ed istruzioni di carattere operativo;
- realizzare un portale condiviso, tra Scuola Superiore della Magistratura, Consiglio Superiore della Magistratura e Ministero della Giustizia, dedicato al processo civile telematico, nel quale raccogliere e pubblicare materiale relativo alla formazione sul pct, alle procedure organizzative adottate e agli aspetti tecnici e tecnologici del pct utile per assicurare una formazione e informazione permanente.
3.2 L’assistenza.
Allo stato l’inadeguatezza dell’assistenza è la maggiore emergenza riscontrata nei monitoraggi eseguiti. A costituire motivo di allarme da parte degli operatori magistrati e cancellieri (per i riflessi sul blocco e/o rallentamento dell’attività giurisdizionale che ne deriva, con frustrazione degli stessi scopi del pct) non è solo la lentezza degli interventi, spesso del tutto intempestivi rispetto alle concrete emergenze, ma anche e soprattutto l’inadeguatezza degli interventi, spesso curati da operatori (esterni all’amministrazione) che mostrano una scarsa conoscenza dei sistemi, e forniscono interventi non risolutivi. E’ poi la stessa logica di funzionamento dell’assistenza (ossia quella dei cd. ticket) a costituire oggetto di doglianza in quanto, oltre una evidente ed inaccettabile lentezza nella loro evasione, si riscontra la circostanza che i cd. “ticket” rimangono spesso inevasi e senza alcun riscontro, né il sistema proposto permette di capire e conoscere quale è la loro procedimentalizzazione e gestione.
L’assistenza applicativa va quindi ripensata e razionalizzata completamente.
Vanno concepiti modelli vicini all’utente e disponibili in ampia fascia oraria (almeno 9-17 e il sabato mattina), anche dall’esterno dei palazzi di giustizia (help desk eventualmente con controllo da desktop remoto). Viceversa l’assistenza tecnica per installazioni e/o manutenzioni e guasti ai singoli apparati o software va razionalizzata superando la logica della esternalizzazione e avvalendosi di un corpo di operatori che abbia una pedissequa e aggiornata conoscenza degli oggetti hardware e software.
Occorre infine una razionalizzazione delle MEV e delle esigenze manifestate dagli uffici attraverso un canale unico nazionale affinché il Ministero possa procedere ad una valutazione centralizzata attraverso un flusso di conoscenza attendibile e costante.
Sulla base delle rilevazioni compiute soluzioni possibili potrebbero essere:
- potenziare i servizi di help desk telefonico con personale stabilmente integrato nei ruoli dell’amministrazione ed effettivamente esperto nell’utilizzo degli applicativi;
- garantire il funzionamento del servizio tutti i giorni dal lunedì al sabato quantomeno dalle ore 9:00 alle 18:30;.
- consentire, nel rispetto dei profili di sicurezza già delineati dal consiglio, l’accesso da remoto (anche dal di fuori della rete giustizia e verso pc o portatili non dell’amministrazione) ai servizi di help desk telefonico al fine di consentire una rapida soluzione dei più comuni problemi di utilizzo degli applicativi a prescindere dalla presenza in ufficio;
- garantire una assistenza applicativa costante (help desk) telefonico almeno dalle 9:00 alle 17:00 tutti giorni (sabato incluso) ed anche da casa e con controllo con desktop remoto;
- ripensare i modelli di assistenza sistemistica sino ad oggi adottati in modo tale che essi siano calibrati non solo sul numero di macchine ma anche (e soprattutto) sul numero di utenti;
- stabilizzare il personale che presta assistenza al fine di valorizzare le professionalità acquisite;
- assicurare livelli di servizio adeguati per ogni tipo di intervento;
- istituire una piattaforma che consenta un adeguato monitoraggio delle richieste formulate e del loro esito in modo tale da favorire il controllo diffuso sulla risolutività degli interventi richiesti o sulla permanenza “storica” di criticità riscontrate.
3.3 L’organizzazione delle componenti del processo.
La prassi ha mostrato in questa prima fase di applicazione del PCT il fiorire di iniziative locali volte a creare protocolli sia applicativi che interpretativi delle prassi e delle norme in tema di pct. Oltre alla intuitiva considerazione che il proliferare di protocolli differenziati sul territorio nazionale può creare un disorientamento dell’interprete e produrre situazioni di incertezza e inaccettabili difformità di fenomeni che devono essere trattati nello stesso modo nel paese (registrandosi spesso una disomogeneità nelle soluzioni prammatiche adottate dai singoli uffici e spesso all’intero dei singoli uffici articolati in sezioni), occorre segnalare che i protocolli, quando stipulati su aspetti pratici del pct, registrano spesso un inadeguato coinvolgimento di tutti ordini professionali ( ad eccezione degli avv.ti e dei dott.ri commercialisti).
Appare sul punto utile procedere nella direzione di incentivare l’istituzione centralizzata di tavoli permanenti a livello distrettuale con tutti i rappresentanti degli ordini professionali, valorizzando le attività di coordinamento dei Presidenti delle Corti d’appello in sinergia con i R.I.D.
Le buone prassi di organizzazione ed i protocolli in materia di processo civile telematico costituiscono in ogni caso materia privilegiata del lavoro di selezione e riorganizzazione, attualmente in corso, del gruppo di lavoro, costituito in seno alla S.T.O. con la collaborazione di alcuni R.I.D., della banca dati sule buone prassi, progetto che il CSM sta rilanciando con rinnovato impegno.
4. IL PCT E LE SUE PROBLEMATICHE GIURIDICHE.
4.1 Il quadro normativo di riferimento.
Il primo atto normativo che ha dato il vero impulso al Pct (dopo i decreti sull’obbligatorietà della tenuta informatica dei registri di cancelleria e dopo il fondamentale d.p.r. 123/2001, oggi per una parte della dottrina abrogato) è l’ art. 4 decreto-legge 29 dicembre 2009 n. 193, convertito con modificazioni nella legge 22 febbraio 2010, n. 24. – Interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario. Tale norma attribuisce al Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, il potere regolamentare di individuare le nuove regole tecniche per l’adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (art. 4). Introduce importanti modifiche al codice di procedura civile (artt. 125, 163 e 167 c.p.c.), prevedendo l’obbligatoria indicazione negli atti processuali del codice fiscale delle parti e dei difensori, da utilizzare come chiave primaria per la loro identificazione da parte del sistema informatico (art. 4, comma 8, lett. a, b, c). Impone altresì l’ adozione della posta elettronica certificata per tutte le comunicazioni e notificazioni nel processo civile (ed in quello penale). Altro corpo normativo cardine è poi il Codice dell’Amministrazione Digitale, cosiddetto C.A.D., ossia il decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 che, tuttavia, non esaurisce il suo ambito di applicazione al mondo della giustizia, dettando regole generali per tutte le amministrazioni. Oltre ad affermare il diritto dei cittadini all’uso delle tecnologie telematiche per interagire con le pubbliche amministrazioni, e sancire l’obbligo della p.a. di usare nuove tecnologie,
il CAD istituisce il domicilio digitale del Cittadino (art. 3 bis ) e l’INI-PEC (art. 6 bis). Ma, soprattutto, il CAD innova e disciplina la nozione di documento informatico (già prevista dal legge cd. Bassanini, n. 59/97 , dal DPR 445/2000 e in norme penali) agli artt. 20 e ss., della loro sottoscrizione (art. 24) delle varie ipotesi di copie e duplicati informatici di documenti analogici o informatici (23,23,23 bis) , in merito alle quali rinvia a regole tecniche (art. 71 ) che solo di recente sono state emanate (DPCM 13.11.2014). Sulla base del fondamentale cit. art. 4 del decreto-legge 29 dicembre 2009 n. 193 (convertito con modificazioni nella legge 22 febbraio 2010, n. 24) è stato poi emanato il DM n. 44/2011, che a sua volta ha disciplinato le basi del PCT, con le successive integrazioni e modifiche dai Decreti Ministeriali nn. 209/2012 e 48/2013. Infine il D.l. 179/2012 (come integrato e modificato dal d.l. 90/2014 e con il dl 123/2014), il d.l. 90/2014 ed il d.l. 132/2014 hanno completato la disciplina e fornito le scadenze di avvio del Processo Civile Telematico in primo e secondo grado e nelle procedure esecutive.
4.2 Le criticità riscontrate.
Notevoli sono le problematiche che si accompagnano alla gestione dematerializzata degli atti processuali che impone il pct con la sua obbligatorietà. È innegabile, invero, che pur non proponendosi le norme sul pct come una tipologia di processo diverso, per la loro stessa natura di norme che modificano lo strumento attraverso il quale il processo si realizza, esse, in definitiva, finiscono per modificare profondamente il processo stesso, proponendo nuove questioni e nodi interpretativi, che solo in parte il diritto vivente potrà dipanare in assenza di modifiche normative processuali ad hoc.
Prime fra tutte sono le questioni relative ai profili di interferenza tra norme tecniche, che impongono determinati formati per gli atti processuali inviati dai professionisti esterni, e norme processuali, di carattere primario, che non disciplinano tali profili ma dettano principi generali di sanatoria per il raggiungimento dello scopo e di conservazione degli atti. In questo ambito si collocano anche quelle circa le conseguenze processuali di atti non inviati nel formato prescritto o di atti introduttivi o di diverso tipo inviati telematicamente in uffici non autorizzati o di atti depositati in modo tradizionale cartaceo in caso di obbligatorietà. La conseguenza è il forte disorientamento dei giudici, con il sovrapporsi continuo e non omogeneo di provvedimenti organizzativi con quelli propriamente processuali, che, per la necessaria inevitabile interferenza di profili tecnici e tecnologici, mettono a dura prova il ruolo di direzione consapevole del processo dello stesso giudice. Vanno segnalate, al riguardo, quali norme di chiusura di un sistema che con le sue rigidità non voglia compromettere i diritti costituzionali di difesa, le disposizioni dell’art. art. 16 bis comma 8 e 9 del dl 179/2012 (che attribuiscono al Presidente del Tribunale in caso di malfunzionamenti o al giudice nello stesso caso o per ragioni specifiche la possibilità di “autorizzare” il deposito di atti o copie di atti in formato cd. cartaceo) i cui contorni sono concretamente, del pari, rimessi al diritto vivente.
Nell’ambito dei rapporti fra il PCT e le norme processuali, in una prospettiva de iure condendo, urge adeguare l’ordito normativo alle mutate esigenze conseguenti all’implementazione del processo telematico, che poco tollera pratiche parassitarie ed abusive dello strumento processuale, così come non è compatibile con una inutile proliferazione degli scritti difensivi, che rende disagevole, non solo per il giudice, la ricerca a video delle istanze assertive e probatorie delle parti.
Pertanto, in coerenza con quanto affermato da questo Consiglio con la delibera del 9 ottobre 2014 (nonchè con quella dell’11 luglio 2013), occorre:
- inserire nell’àmbito del libro primo del codice di rito una norma di ordine generale che vieti l’abuso dello strumento processuale, nonché espliciti l’obbligo di chiarezza e di sinteticità dei libelli difensionali, al pari di quanto già prevede il c.p.a. all’art. 3, comma 2, con conseguenze, in caso di sua violazione, non solo in punto di governo delle spese di lite, ex art. 88 c.p.c.;
- assicurare, di conseguenza, fin dalla fase introduttiva del giudizio, la completezza e autosufficienza degli atti processuali e delle articolazioni istruttorie, sì da consentire il ricorso alla concessione dei termini ex art. 183, comma 6, c.p.c. in via meramente residuale ed eccezionale,
- ossia solo quando dalla dialettica processuale emerga, a parere del giudicante, la necessità effettiva di precisare o modificare domande ed eccezioni o di chiedere l’ammissione di prove non articolabili negli atti introduttivi;
- riformare il processo contumaciale, ricollegando l’effetto della ficta confessio alla mera mancata costituzione a seguito di regolare notifica dell’atto introduttivo, nonché procedere all’eliminazione del merito possessorio, assicurando una tutela del possesso solo in sede sommaria, di modo che, una volta esaurita la fase del reclamo, sia possibile rivedere la que-stione solo con il petitorio (il che accelererebbe di gran lunga una serie di controversie, senza ingolfare la scrivania telematica del giudicante);
- con riguardo alla motivazione del prodotto decisorio, ammettere testualmente la facoltà del giudice di operare, mediante i qui auspicati richiami ipertestuali, un mero e sintetico rinvio a verbali, atti o documenti processuali nonché di far ricorso al criterio della ragione più liquida, ciò essendo suggerito da esigenze di economia processuale e dal principio costituzionale di celerità del giudizio;
- limitare con riguardo alla fase di appello i possibili motivi di gravame alla violazione di norme (di diritto sostanziale o processuale) ed all’errore manifesto di valutazione dei fatti (cfr. come sostenuto con la delibera consiliare del 5 luglio 2012).
- Un secondo novero di questioni interpretative riguarda il regolare instaurarsi del contraddittorio per le ipotesi delle comunicazioni telematiche obbligatorie di cancelleria o per le ora possibili, notifiche telematiche. I problemi giuridici, qui, attengono al perfezionamento di comunicazioni e notifiche, la cui verifica involge spesso, di fatto, accertamenti tecnici, tramite gli applicativi del giudice e della cancelleria, di non agevole interpretazione (soprattutto per i casi di avvenuta non ricezione e di comunicazione realizzata in cancelleria, come previsto dalle norme in caso di mancata consegna per cause imputabili al destinatario). La corretta individuazione dei casi di non imputabilità, connessa a complesse cognizioni tecniche di risposte dei vari server (di cui Dgsia ha dato solo una descrizione dei codici forniti dal sistema) pone un serio vulnus alla certezza del diritto e alla correttezza del contraddittorio, comportando necessità di interventi di chiarificazione a livello di normazione secondaria – oltre che di formazione precisa sul punto del personale di magistratura – per la individuazione dei casi di rimessione in termini. Analoghe considerazioni devono essere svolte per le notifiche telematiche tra parti private, non obbligatorie, ma consentite ora e acquisibili telematicamente, con la differenza che, queste ultime, pur dopo la definizione dei parametri della imputabilità o non imputabilità al destinatario, sono prive di un catalogo chiaro sulle conseguenze dell’insuccesso della notifica (non essendo riprodotta una norma analoga a quella dettata per le comunicazioni) aspetto, di non secondaria importanza, allo stato lasciato interamente al diritto vivente.
In definitiva, la necessità per il giudice di verificare la correttezza della notifica, involge la conoscenza, oltre che degli aspetti già evidenziati, anche del funzionamento dei registri informatici che raccolgono gli indirizzi dei possibili destinatari, sulla cui tenuta occorrono norme chiare di carattere primario e secondario e adeguate pubblicità. Si pensi, a mero titolo di esempio, alla nota questione della duplicazione degli indirizzi PEC, che scaturisce dalla mancata chiarezza nella gestione degli stessi nell’ambito dei pubblici registri; con il connesso tema dell’attribuibilità di indirizzi uguali a diversi soggetti, e tutte le problematiche relative alla loro duplicazione e /scadenza e riutilizzo).
Sullo sfondo si delineano i nuovi contorni dell’istituto della rimessione in termini che il diritto vivente, alla luce delle innovazioni attuali, disegnerà, in attesa di precisi dettami normativi.
Non marginali, sia pure per il loro carattere generale, sono tutte le problematiche interpretative – il terzo gruppo fra quelle qui evidenziate – che attengono alle conformità tra originali e copie, analogiche e digitali, e alla loro efficacia in giudizio, secondo le regole generali e quelle delle norme del CAD, che propongono nuove questioni ogni giorno, rimesse alla giurisprudenza.
4.3 Le criticità future: La conservazione del “digitale”.
Nel sistema giustizia, attualmente pare mancare del tutto un sistema e un luogo di conservazione dei documenti a norma con le regole tecniche di recente emanate sulla base delle norme del CAD (Capo III – Formazione, Gestione E Conservazione Dei Documenti Informatici, artt. 40 e ss.) La prima garanzia per i cittadini, per le amministrazioni e le imprese e in generale per gli utenti delle reti informatiche risiede nella capacità di pianificare per tempo le modalità di conservazione e di tener conto delle criticità future prima ancora di generare e mantenere documenti informatici, soprattutto quelli di cui sia necessaria una tenuta di medio e lungo periodo. Una formazione corretta dei materiali digitali costituisce infatti una componente cruciale di tale processo sia nelle attività amministrative e tecniche che nella vita degli individui. Ancor più l’esigenza di conservazione è fondamentale nel processo civile, e impone di identificare e qualificare modalità che assicurino corretto procedimento di formazione/gestione/tenuta e conservazione a lungo termine dei documenti informatici, per assicurare che la funzione che gli atti del processo svolgano sia idonea a durare nel tempo.
La situazione attuale del PCT, nonostante l’obbligatorietà telematica di un segmento significativo del processo civile mostra criticità per il profilo della conservazione degli atti digitali, che impone l’adozione di misure organizzative al fine di predisporre un sistema di conservazione “a norma”. La normativa di riferimento è quella di cui agli artt. 40/44 CAD, e da ultimo alle regole tecniche che hanno sostituito le precedenti, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale del 12 marzo 2014 – Regole tecniche per la conservazione dei documenti informatici (GU n. 59 del 12-3-2014 – Suppl. Ordinario n. 20). Tali regole, emanate ai sensi degli artt. 20, commi 3 e 5-bis, 23-ter, comma 4, 43, commi 1 e 3, 44, 44 -bis e 71, comma 1 del CAD, sostituiscono le precedenti regole dettate dalla deliberazione CNIPA n°11 del 2004. Essenziali caratteri per la conservazione a norma del valore legale del documento informatico sono la sua Integrità, la Leggibilità e reperibilità (art. 44 CAD) . Si evince altresì dal CAD il requisito della staticità (ovvero l’immodificabilità) e il mantenimento del valore legale delle firme elettroniche dopo la scadenza (art. 21 co.3 CAD). Le regole tecniche attuali impongono una serie di attività per la creazione e conservazione degli atti pubblici informatici. La natura di archivio pubblico comporta la necessità tecnica e organizzativa della conservazione uniforme dei documenti al fine di garantire la corretta conservazione del valore legale e la fruibilità nel tempo a prescindere dalla obsolescenza fisiologica delle tecnologie. È poi da tutelarsi anche la necessità di evitare dispersioni e duplicazioni di archivi pubblici.
Gli esempi attuali di sistemi di conservazione sono: Il registro delle imprese; la conservatoria dei Registri Immobiliari; il sistema di conservazione degli atti notarili.
Il sistema giustizia richiede un urgente adeguamento, in ragione della obbligatorietà crescente. Le regole tecniche che riguardano tutte le pubbliche amministrazioni impongono l’adozione di regole, procedure e tecnologie idonee a garantirne le caratteristiche di autenticità, integrità, affidabilità, leggibilità e reperibilità. Tali requisiti dovranno essere assicurati mediante la predisposizione di un processo di conservazione attraverso cui si provveda, in estrema sintesi, all’acquisizione e alla verifica del pacchetto di versamento, alla generazione del rapporto di versamento, alla preparazione del pacchetto di archiviazione sottoscritto con firma digitale o firma elettronica qualificata del responsabile della conservazione e, infine, alla preparazione del pacchetto di distribuzione, sempre sottoscritto con firma digitale o firma elettronica qualificata (così nelle regole tecniche di dicembre 2013).
Figura centrale del sistema di conservazione resta il Responsabile della conservazione ovvero il soggetto, interno all’ente che per legge ha l’obbligo di conservazione di un determinato documento, che definisce e attua le politiche del sistema di conservazione e ne governa la gestione con piena responsabilità e autonomia. Nello svolgere queste attività il Responsabile potrà, sotto la propria responsabilità, delegare lo svolgimento del processo di conservazione – o parte di esso – a uno o più soggetti di specifica competenza ed esperienza in relazione alle attività ad essi delegate. È inoltre obbligatoria l’adozione del Manuale della conservazione, un
«documento informatico che illustri dettagliatamente i ruoli, le responsabilità, gli obblighi e le eventuali deleghe dei soggetti coinvolti, le tipologie degli oggetti informatici conservati, il modello di funzionamento e il processo di conservazione e di trattamento dei pacchetti di archiviazione, le procedure per la produzione di duplicati o copie, le normative in vigore nei luoghi dove sono conservati i documenti. Gli attuali registri di gestione documentale della giustizia, non sembrano soddisfare i requisiti richiesti per la conservazione (neppure in relazioni alle precedenti regole tecniche) che presuppongono, pacificamente, almeno tre momenti principali della conservazione: versamento, conservazione ed esibizione, amministrati e realizzati secondo le regole tecniche. Senza interferire con le scelte ministeriali per organizzare i registri come sistema di conservazione (ad esempio prevedendo una marcatura temporale per i pacchetti in ingresso, che consenta di mantenere intatta nel tempo la validità del documento ed un sistema di leggibilità e reperibilità omogeneo) appare tuttavia indifferibile l’adozione di specifiche tecnologie (che la legge rimette al Responsabile della conservazione) per raggiungere gli obiettivi della conservazione (garantire l’autenticità, l’integrità, l’affidabilità, la leggibilità e la reperibilità dei documenti informatici conservati). Le regole tecniche al riguardo sembrano imporre la necessità di sottoscrivere digitalmente il pacchetto di archiviazione, mentre per gli altri due pacchetti la firma digitale è solo una possibilità (pur essendo suggerita dalla dottrina, soprattutto quando ove si dovesse scegliere un servizio di conservazione in outsourcing, possibilità prevista dalle regole tecniche anche per le PA). Per esempio si potrebbe prevedere una marca temporale in blocco sugli Hash dei documenti versati,che si rinnovi periodicamente così da garantire sempre (anche dopo 10 anni o 30) la autenticità, integrità, affidabilità, leggibilità e reperibilità.
Altra questione importante è l’adeguamento del sistema giustizia alle nuove regole tecniche per la protocollazione dei documenti informatici, anch’esse nella Gazzetta Ufficiale n. 59 del 12 marzo 2014 (Supplemento Ordinario n. 20) che sostituiscono l’ormai risalente DPCM 31 ottobre 2000. L’art. 5 del testo impone alle pubbliche amministrazioni di pubblicare sui rispettivi siti istituzionali il manuale di gestione dei documenti; mentre, in riferimento alle modalità di registrazione dei documenti informatici, l’art. 18 del decreto prescrive che alla registrazione di protocollo siano associate le ricevute generate dal sistema stesso e, nel caso di registrazione di messaggi di posta elettronica certificata spediti, anche i dati relativi alla consegna correlati al messaggio oggetto di registrazione rilasciati dal sistema di posta certificata. E’ evidente allora che nel sistema giustizia la realizzazione del registro di protocollo è strettamente connessa alla precedente e al più presto i sistemi devono essere adeguati anche perché dal coacervo delle regole tecniche emerge che il Responsabile del servizio per la tenuta del protocollo informatico, della gestione dei flussi documentali e degli archivi debba necessariamente operare d’intesa con il Responsabile della conservazione e il Responsabile per il trattamento dei dati personali. Appaiono rilevanti, sotto tale profilo, soprattutto le disposizioni che, in riferimento ai requisiti minimi di sicurezza dei sistemi di protocollo informatico, impongono di rispettare le misure di sicurezza previste dagli articoli da 31 a 36 e dal disciplinare tecnico di cui all’allegato B del Codice in materia di protezione dei dati personali (di cui al D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196), e che il registro giornaliero di protocollo sia trasmesso entro la giornata lavorativa successiva al sistema di conservazione, al fine di garantirne l’immodificabilità del contenuto.
5. IL P.C.T. E LE RISORSE UMANE.
L’introduzione della tecnologia sottesa al Pct richiede un adeguamento culturale oltre che organizzativo: il passaggio all’atto digitale e alla sua trasmissione telematica presuppone infatti la padronanza di uno strumento tecnologico profondamente diverso da quello tradizionale (cartaceo) e quindi il possesso di cognizioni diverse da quelle tradizionalmente richieste al personale degli uffici giudiziari. L’utilizzo massivo del Pct ha evidenziato invece una insufficienza di personale qualificato in grado di rispondere alle nuove esigenze derivanti proprio dall’utilizzo delle
tecnologie, determinando una situazione critica che si aggrava anche in ragione delle già descritte complessità e inefficienze tecniche, in sé, dello strumento stesso.
E’ indubbio che il blocco del turn-over nelle assunzioni, che ha impedito l’ingresso di personale più giovane e quindi più edotto dal punto di vista tecnologico, costituisce una criticità centrale: ma è altrettanto indubbio che all’introduzione del pct non si è accompagnata una sufficiente preparazione del personale in servizio tale quantomeno da rendere performante la capacità di risposta del sistema giudiziario rispetto all’impatto della nuova tecnologia.
Se quindi soluzione fondamentale e ineludibile è quella dell’assunzione di “nuovo e qualificato” personale amministrativo in grado di apprendere ed utilizzare le tecnologie in uso negli uffici giudiziari, occorre predisporre un piano complessivo di formazione ed aggiornamento del personale che si accompagni, a sua volta, ad una revisione delle mansioni previste dal contratto collettivo proprio in relazione alle esigenze del p.c.t..
In tale contesto è poi necessaria l’assunzione di personale tecnico per rafforzare le strutture territoriali (C.I.S.I.A.) ed offrire adeguato supporto agli utenti nell’utilizzo degli applicativi nonché svolgere funzioni di “vigilanza e coordinamento” del personale di assistenza. Il rafforzamento del personale tecnico è necessario da un lato per garantire la continuità del servizio, esigenza ormai ineludibile in un processo telematico, e dall’altro per offrire agli utenti un supporto costante nell’utilizzo delle nuove tecnologie.
In questo modo potrà conseguentemente ricondursi il ruolo dei “tirocinanti” alla loro specifica funzione di ausilio alla giurisdizione che va specificamente valorizzata, sottraendoli alle attività di mera supplenza al personale di cancelleria cui attualmente soo spesso di fatto adibiti.
Infine strategico è il ruolo dei Referenti Informatici Distrettuali che va valorizzato attraverso la pianificazione di una specifica attività formativa di carattere non solo giuridico ma anche tecnologico, la costante consultazione in fase di pianificazione e di collaudo degli interventi evolutivi, l’individuazione di specifiche responsabilità in materia di vigilanza sulla corretta tenuta del dato; attività queste ultime che involgono le concorrenti competenze del CSM e del Ministero della Giustizia. Il coinvolgimento coordinato dei Rid, quali articolazioni territoriali del CSM, nella fase di pianificazione, evoluzione e collaudo, appare strumento utile a coinvolgere la magistratura nella governance effettiva del sistema telematico.
6. IL P.C.T. ED IL PROCESSO DI APPELLO.
Come evidenziato nella ricostruzione normativa , il D.L. n. 90/2012 ha reso obbligatorio il deposito dei cd. atti “endoprocessuali” nella fase di appello a decorrere dal 30 giugno 2015, con statuizione analoga a quella già formulata per i processi di primo grado davanti ai Tribunali a decorrere dal 30 giugno 2014. Il legislatore ha inteso, in tal modo, estendere la progressiva “digitalizzazione” degli atti di parte, pressoché attuata in primo grado, alla fase successiva del giudizio, nella prospettiva della progressiva omogeneità dei sistemi di trattazione di tutte le fasi processuali.
La piena entrata in vigore della cd obbligatorietà del processo civile telematico in primo grado, e quindi la progressiva creazione del fascicolo telematico pone, per il processo d’appello, il problema relativo alla trasmissione alla Corte d’Appello dei fascicoli telematici di primo grado e quello della concreta diffusione, conoscenza e disponibilità degli applicativi (e delle relative componenti hardware) da parte dei magistrati destinati alle funzioni di appello e che tali applicativi siano efficienti. Al riguardo, gli esiti del monitoraggio condotto dal Consiglio Superiore nello scorso dicembre 2014 hanno fornito risultati preoccupanti sul punto. Le risposte pervenute, invero, hanno coinvolto 116 uffici di primo grado: una cinquantina di uffici ( pertanto un numero molto alto) hanno evidenziato che detta trasmissione non viene in alcun modo garantita; altri 39 uffici hanno risposto che riproducono a stampa gli atti e li trasmettono; 32 uffici (quindi solo il 28%) utilizzano le funzioni dei registri e trasmettono copia a stampa degli atti telematici.
Appare evidente che, nella prassi, si è ancora molto lontani dalla creazione del fascicolo telematico pensato e voluto dal legislatore. E’ altresì emerso che, nonostante sia ora possibile la produzione telematica delle notificazioni, il controllo delle stesse è soventemente effettuato mediante la riproduzione a stampa delle ricevute. Il monitoraggio ha altresì consentito di accertare la inadeguatezza dell’applicativo utilizzato per il procedimento di primo grado se calato nelle peculiarità del giudizio collegiale di secondo grado.
In particolare, le problematiche attengono :
- alla data di deposito dei provvedimenti: attualmente il sistema considera solamente, quale data di deposito, quella dell’invio del provvedimento controfirmato dal Presidente. La data del deposito della minuta da parte del relatore deve essere estratta mediante controllo dei flussi personali di deposito del magistrato. Non esiste, in sintesi, un funzione assimilabile all’attuale “registro deposito minute” dei relatori, con conseguenti ricadute sulla tempestività del deposito dei provvedimenti da parte del singolo componente del Collegio. La questione è, attualmente, oggetto di modifica evolutiva non ancora realizzata di cui si segnala l’estrema importanza;
- alle modalità di deposito della sentenza collegiale. L’applicativo non consente il deposito della sentenza controfirmata dal Presidente: quest’ultimo deve inviarla al relatore, che deve poi provvedere al deposito. Per eliminare l’inconveniente occorre che il fascicolo sia caricato “ in condivisione” al Presidente, ma ciò richiede che la cancelleria inserisca il collegio in Sicid. Detto adempimento richiede, da un lato, impegno del personale ( non concretamente esigibile in alcune Corti d’Appello che gestiscono carichi di lavoro significativi) e, comunque, adeguata formazione sulla funzionalità.
- Le descritte circostanze, unite alle problematiche relative alla diffusione del software e dell’hardware necessari alla gestione collegiale del PCT, potrebbero suggerire una graduazione dell’entrata in vigore dell’obbligatorietà per l’appello, così come prevista per il giudizio di primo grado dal d.l. 90/2014.
7. IL P.C.T. ED IL LAVORO DEL GIUDICE.
Nella sua prima fase il P.C.T. è stato utilizzato quasi esclusivamente per le comunicazioni e notificazioni di cancelleria. In base alla normativa allora vigente, la redazione ed il deposito telematico di atti e provvedimenti è stato caratterizzato dall’adesione pressoché volontaristica all’utilizzo del PCT da parte dei magistrati. In definitiva il giudice inizialmente è stato chiamato ad utilizzare in modo facoltativo ed eventuale gli applicativi ministeriali, unicamente per la firma digitale dei provvedimenti che intendeva depositare telematicamente o/e a fini di conoscenza (qualora intendesse avvalersi dell’applicativo ministeriale per la organizzazione del proprio ruolo) mentre la lettura e lo studio degli atti sono rimasti essenzialmente fondati sul fascicolo cartaceo.
Il numero contenuto di depositi telematici (spesso limitato solo ai ricorsi monitori, alle comparse conclusionali ed alle memorie di replica), l’adozione di specifici protocolli organizzativi e la collaborazione tra le componenti del processo ha consentito di garantire al giudice la sostanziale conservazione delle proprie modalità di lavoro e soprattutto non ha precluso in alcun modo l’esame dei fascicoli (e delle istanze) nella forma ritenuta più funzionale. Per quanto consta, in quella fase, gli uffici giudiziari che hanno inteso avvalersi delle funzionalità del PCT in via sperimentale, hanno risposto positivamente all’introduzione delle tecnologie nel processo e vi è stata una convinta adesione all’uso dello strumento informatico ed un proficuo conseguente impegno nell’apprendimento della tecnologia informatica con ovvie ripercussioni positive in termini di efficienza. Tale modulo organizzativo, rimesso alla volontà degli utilizzatori, tuttavia, non ha consentito una omogenea diffusione dei servizi telematici con l’effetto di generare (anche nelle medesime aree geografiche) realtà a “diverse velocità”.
L’introduzione delle norme che hanno imposto l’obbligatorietà del deposito telematico degli atti e dei documenti di parte e degli ausiliari del giudice (con sostanziale esclusione solo di quelli introduttivi) e dei provvedimenti monitori ha, invece, inciso (ed incide tutt’ora) profondamente sull’intera organizzazione del lavoro del giudice e, soprattutto, sulle modalità di svolgimento e sulla sua qualità.
Il regime di obbligatorietà se, da un lato, infatti, ha favorito la diffusione delle nuove tecnologie ed il superamento di quelle disomogeneità appena rilevate, dall’altro, ha comportato il manifestarsi e l’acuirsi di alcune criticità strettamente attinenti il lavoro del giudice ed in ordine alle quali occorre svolgere alcune considerazioni.
Preliminarmente deve essere registrata positivamente la grande disponibilità dimostrata dai magistrati italiani all’utilizzo concreto dei mezzi informatici. I dati sulla diffusione del P.C.T. da ultimo pubblicati dal Ministero della Giustizia confermano, infatti, che i giudici non si limitano al deposito di decreti ingiuntivi ma utilizzano gli strumenti a loro disposizione anche per redigere i verbali d’udienza (atti, per altro, non di loro competenza, supplendo così di fatto alla mancanza di assistenti) e gli altri provvedimenti. Si registra, anzi, un costante incremento dei flussi di deposito a prescindere dalla sussistenza di obblighi specifici. Da ciò si deduce che i giudici italiani stanno decisamente trasformando le modalità lavorative, incentrandole di fatto, sull’utilizzo degli applicativi del pct.
Ciò nonostante si riscontra:
- la generalmente denunciata difficoltà nell’esame degli atti e (soprattutto) dei documenti depositati telematicamente e ciò, non solo per la mancanza di formazione e informazione in ordine alle modalità di utilizzo dei software o per la mancata adozione di accorgimenti organizzativi, ma anche per l’indubbia complessità di lettura a video degli atti processuali e per la mancanza di adeguati programmi di gestione documentale;
- la sussistenza di difficoltà nell’esame dei fascicoli (sia analogici, sia telematici) per la loro sostanziale incompletezza e ciò in quanto, non sempre si procede alla digitalizzazione dei documenti e degli atti prodotti in forma cartacea (pure prevista dall’art. 9 del D.M.n.44/2011) e quasi mai alla sistemica riproduzione a stampa (ed all’inserimento nel fascicolo cartaceo) degli atti e dei documenti depositati telematicamente;
- l’accentuarsi del rapporto di interdipendenza tra il concreto esercizio della funzione giudiziaria ed il funzionamento dell’infrastruttura tecnologica con la conseguenza che all’indisponibilità dell’infrastruttura informatica spesso consegue l’impossibilità per il giudice di esercitare la propria funzione (in tali casi, peraltro, è stata da più parti segnalata la mancanza di tempestive informazioni circa le ragioni e la durata dei malfunzionamenti senza le quali gli uffici giudiziari non sono posti in grado di adottare tempestivamente soluzioni organizzative alternative all’utilizzo dell’infrastrutture);
- l’ abrogazione di fatto della figura del cancelliere di udienza;
- la preoccupazione per la mancanza di dotazioni necessarie ed utili per la tutela delle condizioni di salute dei magistrati e del personale in conseguenza dell’introduzione del processo civile telematico.
Sulla base delle rilevazioni compiute si ritiene necessario:
- procedere ad una adeguata evoluzione dei software in modo tale che ne sia consentita la facile “usabilità” su dispositivi più idonei alla lettura degli atti (come, ad esempio, i tablet) e semplificando la rilevabilità degli aggiornamenti dei fascicoli in seguito all’invio di nuovi atti;
- incentivare la “tipizzazione” gli atti, con l’introduzione di regole in ordine alla loro forma rendendo cogente l’impegno alla sinteticità e consentire (anche sotto il profilo normativo) il ricorso all’ipertesto specialmente per l’indicizzazione dei documenti;
- prevedere livelli di servizio idonei a presidiare e garantire il costante funzionamento del sistema e la costante informazione degli operatori della giustizia in casi di blocchi o sospensioni anche non programmate per evitare che il blocco del sistema precluda l’acceso agli atti telematici da parte del giudice e degli utenti;
- impartire istruzioni chiare agli uffici giudiziari quantomeno in termini di potenzialità ed utilizzo degli applicativi,
- garantire le adeguate condizioni di salute dei magistrati e del personale nell’esercizio delle funzioni connesse al processo civile telematico.
In attesa di tecnologie più performanti e strumenti tecnologici più evoluti (quali, ad esempio, scrivanie elettroniche) l’uso della carta per la lettura e soprattutto lo studio degli atti rimane imprescindibile.
Occorre, quindi, nell’immediatezza l’adozione di norme o regolamenti che soddisfino la necessità di preservare il fascicolo cartaceo prevedendo, quantomeno, la sistematica riproduzione a stampa (salvo diversa disposizione del giudice) degli atti e consentendo la stampa dei documenti (ovvero il loro deposito in forma cartacea) su disposizione del giudice.
È opportuno chiarire che tali copie, funzionali alle concrete esigenze del magistrato, non possono e non devono sostituire il fascicolo elettronico la cui fondamentale utilità (per la conoscibilità degli atti, l’eliminazione del rilascio delle copie, la continua reperibilità e disponibilità) non è messa in discussione: anzi, al contrario (proprio nella logica del perfetto parallelismo tra fascicolo cartaceo e telematico) va effettivamente perseguito l’obbligo di digitalizzazione degli atti acquisiti in forma analogica prescritto ma non omogeneamente adempiuto.
8. CONCLUSIONI.
L’insieme dei dati e delle informazioni raccolte hanno permesso di evidenziare che l’introduzione delle tecnologie dell’informatica nel processo civile rappresentano un innegabile elemento di modernizzazione del sistema giudiziario ed uno strumento irrinunciabile per rende più efficiente e trasparente l’amministrazione della giustizia.
È anche emerso, tuttavia, che la massiva introduzione di nuove tecnologie nel processo civile ha reso il quotidiano esercizio della giurisdizione strettamente dipendente dal funzionamento e dalla funzionalità dell’infrastruttura tecnologia. Per questo motivo oggi più che mai è importante che le scelte strategiche, le politiche di conservazione dei documenti e logiche di sicurezza dei sistemi siano programmate per tempo, rese trasparenti ed oggetto di analisi tra il Ministero della Giustizia ed il Consiglio Superiore della Magistratura.
Il processo civile telematico, per la sua stessa natura, ha senz’altro indotto, anche per far fronte a vere e proprie emergenze iniziali conseguenti ad un inizio quantomeno inadeguato in termini di risorse e procedure, una ormai indispensabile diffusione negli uffici giudiziari della cultura dell’organizzazione e della cooperazione tra tutti gli attori del processo (magistrati, avvocati, cancellieri, consulenti tecnici, periti, pubbliche amministrazioni, ecc.).
Il capillare (e sempre più corretto) utilizzo dei registri informatici di cancelleria e l’emanazione di provvedimenti giurisdizionali digitali costituiscono la precondizione per una corretta rilevazione dei dati e, quindi, il presupposto perché possano compiersi responsabili scelte strategiche nell’amministrazione della giustizia e nella distribuzione delle risorse. La diffusione delle notifiche telematiche e la obbligatorietà delle comunicazioni telematiche di cancelleria consentono oggi una più rapida e certa instaurazione del contraddittorio e forti risparmi non solo in termini strettamente monetari, ma sopratutto di tempi processuali. Il diffondersi dei depositi telematici non solo favorisce l’accesso alla giurisdizione a prescindere dalla contiguità con l’ufficio giudiziario ma appare anche l’unica vera credibile soluzione alla necessità di una corretta gestione documentale dei fascicoli ed dell’acquisizione dei dati.
L’introduzione dell’obbligatorietà di una parte degli atti procedimentali ha costituito sotto il profilo organizzativo e procedimentale una vera e propria rivoluzione per gli uffici giudiziari. I dati forniti
dal Ministero della Giustizia ed i rilievi compiuti dal Consiglio Superiore della Magistratura hanno evidenziato una risposta più che positiva da parte tutti gli utenti, che hanno ovviato con impegno e spirito di collaborazione alle oggettive difficoltà di sistema. Solo in taluni casi, del resto, come nel caso dei procedimenti monitori, l’impatto del nuovo processo telematico ha fatto registrare un effettivo, per quanto sensibile, abbattimento nei tempi di risposta del sistema giudiziario.
In definitiva, sebbene la scelta di fondo sia condivisibile e, nel quadro della complessiva riduzione delle risorse (grazie anche alla grande disponibilità mostrata dai magistrati, dal personale amministrativo e dagli ordini professionali) i risultati ottenuti siano complessivamente positivi, la risposta proveniente dagli uffici giudiziari è che il sistema richiede notevoli aggiustamenti oltre che interventi di carattere normativo e di generale risistemazione.
In quest’ottica, posto che l’obbiettivo del processo civile telematico non può che essere quello di offrire uno strumento che agevoli lo scopo costituzionale del processo volto alla piena tutela dei diritti,
Occorre quanto prima:
Intervenire sul livello di efficienza del sistema giudiziario:
- semplificando ancor più l’accesso agli uffici giudiziari che il telematico assicura;
- semplificando i sistemi dei registri così da abbattere i tempi di lavorazione delle cancellerie e assicurare la genuinità e correttezza dei dati raccolti;
- curando la conservazione digitale dei documenti;
- formulando norme processuali chiare che chiariscano le principali questioni processuali poste dal pct assicurando certezza e uniformità del diritto;
- proponendo, in chiave evolutiva, norme che favoriscano la delocalizzazione delle funzioni consentendo il lavoro a distanza, la videoconferenza, la registrazione e la ripresa del processo;
Intervenire non solo sul “tempo delle decisioni” ma anche sulla loro “qualità”:
- consentendo agevolmente al giudice di avere la piena disponibilità di tutti gli atti del processo nella forma da questi ritenuta più idonea con interventi normativi che chiariscano in maniera inequivocabile il rapporto tra cartaceo e telematico;
- garantendo la piena condivisione (tra giudici ed avvocati) della “conoscenza giuridica” attraverso la capillare diffusione delle banche dati di giurisprudenza anche di merito sia distrettuali che nazionali;
- offrendo al giudice anche al di fuori del p.c.t. gli strumenti gestionali più idonei per poter amministrare il proprio ruolo e assumere le decisioni (agende digitali ecc.);
- garantendo il massimo diritto di difesa alle parti rendendo immediatamente disponibili gli scritti difensivi ed i documenti loro allegati;
favorire il livello di trasparenza del sistema giudiziario
- consentendo (effettivamente) ad ogni cittadino di poter essere costantemente informato sullo svolgimento del proprio processo e sul generale andamento dell’ufficio giudiziario;
- consentendo alle pubbliche amministrazioni (nei limiti delle esigenze strettamente connesse all’esercizio delle loro funzioni) di avere piena conoscenza dei procedimenti dai quali sono coinvolte;
- offrendo al Ministero della Giustizia ed al C.S.M. elementi di valutazione certi per poter compiere scelte responsabili fondate su dati concreti e attendibili; e dunque procedere :
- al graduale superamento della P.E.C. come veicolo per il deposito di atti e documenti e sviluppo di un nuovo sistema basato sulle funzionalità dei portali e sull’upload dei documenti e, conseguentemente, superamento dell’attuale sistema basato sui redattori (per lo più sviluppati e forniti da privati e non soggetti ad alcuna forma di validazione e controllo) e sviluppo di un nuovo sistema di acquisizione dei dati basato su strutture messe a disposizione sui portali dell’amministrazione; conseguentemente al potenziamento della P.E.C. esclusivamente come “veicolo” per le comunicazioni e notificazioni e l’ attribuzione al Ministero della giustizia delle funzioni di vigilanza sulla tenuta dei registri pubblici (di indirizzi P.E.C.);
- al superamento (quantomeno per gli avvocati e per i soggetti abilitati interni) del sistema delle anagrafiche distrettuali in favore di una anagrafica unica nazionale;
- al cambiamento del concetto tradizionale di udienza verso forme nuove di dibattito procedimentale che assumano come centrale l’utilizzo delle nuove tecnologie (videoconferenza e registrazione in luogo della verbalizzazione);
- all’integrazione del sistema giustizia con il sistema economico e finanziario mediante il potenziamento dei sistemi di pagamento telematici, l’ accessibilità ai depositi giudiziari, ecc.
- alla salvaguardia del valore della collegialità nella decisione, migliorando le funzioni degli applicativi per i magistrati e semplificando la visualizzazione dei fascicoli;
- alla piena integrazione della Procura della Repubblica nei sistemi informatici del civile;
- alla migliore diffusione della cultura del dato, attraverso la puntuale indicazione di quelli necessari ed un attenta politica di acquisizione e sviluppo (specialmente in settori nevralgici come il fallimentare e l’esecuzione forzata);
- allo stimolo alla cooperazione tra le varie componenti del processo (giudice, cancellieri, avvocati, ausiliari, ecc.) semplificando le funzioni di messaggistica e favorendo lo scambio di informazioni (ad esempio attraverso l’effettivo sviluppo dei rapporti riepilogativi);
- alla piena integrazione degli uffici N.E.P. e loro dotazione di moderne apparecchiature e sistemi in grado di rispondere alle nuove esigenze richieste dalla normativa processuale;
- al completamento delle funzionalità del P.C.T. per i settori ancora non informatizzati (soprattutto nella volontaria giurisdizione e nei rapporti con gli ausiliari e delegati del giudice) ed anche per l’appello e per la Cassazione.
- alle modifiche normative del codice di rito sopra esposte e già richieste da questo Consiglio con le delibere del 9 ottobre 2014, 11 luglio 2013 e 5 luglio 2012.
L’esperienza del processo civile telematico, con le sue potenzialità e le riferite criticità, deve rappresentare un precedente utile – da valorizzare per i suoi aspetti positivi e da migliorare per quelli problematici – nel processo in corso di progressiva informatizzazione del settore penale. Appare necessario in questo settore procedere con una programmazione tempestiva ed una governance chiara ed incisiva, per evitare di ripetere errori e sprecare preziose risorse.
Delibera
• di prendere atto con favore della progressiva estensione dell’obbligatorietà del Processo civile telematico;
• di procedere, nell’ambito del progetto buone prassi – di cui è in corso la reingegnerizzazione della relativa banca dati consiliare – nella valorizzazione e diffusione delle buone prassi di organizzazione sperimentate negli uffici giudiziari nel settore del processo civile telematico, invitando i dirigenti degli uffici alla comunicazione dei protocolli sperimentati e rivelatisi efficaci ed utili.
• di invitare il Ministro della Giustizia a provvedere in ordine alla urgente risoluzione delle criticità del processo civile telematico indicate in premessa ed in particolare:
- ad incrementare le risorse impiegate nell’intero sistema di funzionamento e supporto al processo civile telematico, con particolare riferimento al miglioramento delle forniture di hardware, alla compiuta evoluzione dei sistemi software e degli applicativi, al rafforzamento delle infrastrutture e delle reti, all’incremento dei livelli di assistenza;
- a procedere all’assunzione di personale amministrativo qualificato per le mansioni che il nuovo processo telematico richiede, sia per l’assistenza del giudice che per le incombenze tecniche;
- ad assicurare una adeguata e costante formazione del personale amministrativo in servizio per adeguarne le professionalità alle nuove esigenze del funzionamento del processo telematico;
- a dare attuazione alla costituzione dell’ufficio del processo in considerazione delle mutate esigenze organizzative conseguenti all’introduzione del processo telematico;
- a provvedere ad assumere le iniziative necessarie all’adeguamento delle norme primarie e secondarie per rendere efficace e funzionale il processo civile telematico;
- a costituire un sistema di conservazione dei documenti telematici sicuro e duraturo nel tempo;
- a preservare, attraverso le necessarie dotazioni, le condizioni di salute dei magistrati e del personale impegnato nel funzionamento del processo civile telematico;
- a tenere conto dell’esperienza del processo civile telematico, delle sue criticità e delle sue potenzialità, nel processo di progressiva informatizzazione del settore penale attualmente in atto.
- di invitare la Scuola Superiore della Magistratura a considerare la materia dell’informatica giuridica e giudiziaria, ed in particolare le questioni attinenti al processo civile telematico ed all’informatizzazione del processo penale, quali parti imprescindibili e prioritarie del complessivo progetto di formazione dei magistrati, da attuarsi anche in sinergia con il Ministero della Giustizia ed il Consiglio Superiore della Magistratura, nell’ambito delle rispettive prerogative e competenze.
Articolo tratto da: Consiglio Superiore della Magistratura