Cosa è la cessione del credito
Come previsto dall’art. 1260 c.c., il creditore può trasferire a titolo oneroso o gratuito il suo credito, anche senza il consenso del debitore, purché il credito non abbia carattere strettamente personale o il trasferimento non sia vietato dalla legge.
Le parti possono escludere la cedibilità del credito, ma il patto non è opponibile al cessionario, se non si prova che egli lo conosceva al tempo della cessione.
Attraverso la cessione del credito si realizza, dunque, un fenomeno successorio nella titolarità attiva di un determinato rapporto obbligatorio; in pratica, la sostituzione del soggetto avente diritto all’esecuzione della prestazione.
La successione nella titolarità del medesimo rapporto obbligatorio deve essere tenuta distinta, secondo parte della dottrina, dalla novazione soggettiva attiva. Sarebbe infatti consentito alle parti di un rapporto obbligatorio, nel rispetto dell’autonomia contrattuale loro riconosciuta dalla legge, determinare l’estinzione del rapporto obbligatorio originario mediante la sostituzione del creditore.
In realtà, secondo l’opinione dominante in dottrina e giurisprudenza, ciò non sarebbe possibile, in quanto l’estinzione del rapporto originario per novazione potrebbe avvenire solo in presenza di una modificazione essenziale dell’obbligazione preesistente, riguardante il titolo o l’oggetto, mentre non può discendere, in presenza della sola volontà delle parti, dalla sostituzione della persona del creditore. Il creditore, infatti, non assurge mai ad elemento essenziale del rapporto, in quanto per il debitore è generalmente indifferente adempiere nelle mani di uno o di un altro soggetto.
La cessione è un contratto consensuale che si perfeziona - in omaggio al generale principio di cui all’art. 1376 c.c. - in forza del semplice consenso idoneamente manifestato tra creditore cedente e terzo cessionario.
Si ritiene, invece, che non occorrano particolari formalismi ovvero condotte materiali, quali per esempio la consegna del documento; l’onere di cui all’art. 1262 c.c., di consegnare i documenti probatori del credito, infatti, costituisce adempimento di una obbligo attinente ad un contratto già perfezionato.
Con l’espressione ‘’cessione’’ si intende un fenomeno di vasta portata, ossia il trasferimento di un diritto di credito, sia esso a titolo oneroso, gratuito o per mero spirito di liberalità.
Nel caso in cui il trasferimento del credito avvenga a titolo oneroso avremmo a tutti gli effetti una cessione/vendita, la quale sarà regolata anche dalle norme sulla vendita. Qualora, invece, la cessione avvenga per spirito di liberalità, essa costituirà una vera e propria donazione indiretta, la quale sarà assoggettata anche alle norme sulla donazione. D’altra parte, vi sarà cessione/permuta nel caso in cui il credito sia ceduto in cambio del trasferimento di una cosa.
Secondo l’opinione maggioritaria, quindi, la cessione è priva di una causa propria, ma si identifica con quella del negozio sottostante, che può essere una vendita come una donazione.
Per parte della dottrina, invece, la cessione del credito sarebbe un negozio a causa astratta, cioè un atto traslativo svincolato da qualsiasi giustificazione causale.
Altri, ancora, ravvisano nella cessione la sussistenza di due diverse cause: una generica relativa al negozio di cessione, ed una specifica inerente invece al negozio sottostante.
Per la giurisprudenza di legittimità, la cessione del credito costituisce un negozio a causa variabile, per la quale vige il principio di ‘’presunzione della causa’’ che, pertanto, può anche non essere indicata nell’atto di cessione.
Detto questo, la variabilità della causa della cessione influisce necessariamente sui vincoli formali dell’atto con il quale si perfeziona. Se la cessione è posta in essere per spirito di liberalità, allora risulterà indispensabile, per la sua validità, l’atto pubblico in presenza di due testimoni, a meno che, configurando una donazione di modico valore, non possa applicarsi l’art. 783 c.c. Nel caso in cui, invece, venga stipulata a titolo transattivo, allora sarà necessaria la forma scritta ad probationem, venendo ad assumere il vincolo formale proprio del negozio di transazione.
Secondo la lettera della legge è vietata la cessione di quei crediti aventi carattere strettamente personale, ossia di quelli dipendenti da circostanze inerenti alla persona del loro titolare.
Si pensi, per esempio, al credito alimentare, il quale dipende dallo stato di bisogno di un parente dell’obbligato.
In alcuni casi, poi, è la legge stessa ad intervenire vietando la cessione del credito: si pensi all’art. 1261 c.c., secondo il quale i magistrati dell’ordine giudiziario, i funzionari delle cancellerie e segreterie giudiziarie, gli ufficiali giudiziari, gli avvocati, i procuratori ed i notai non possono, neppure per interposta persona, rendersi cessionari di diritti sui quali è sorta contestazione davanti l’autorità giudiziaria di cui fanno parte o nella cui giurisdizione esercitano le loro funzioni, sotto pena di nullità e dei danni.
La ratio della norma è quella di impedire che i soggetti indicati acquisiscano, per effetto della cessione del credito contestato, un interesse personale nella causa, che, come tale, potrebbe influire sulla correttezza delle funzioni esercitate. Per l’applicazione della disposizione è dunque necessario che la contestazione del credito sia ancora in atto, con esclusione quindi di quei casi già definiti con sentenza passata in giudicato.
Allo stesso tempo, si concede alle parti del rapporto obbligatorio di accordarsi per vietare la cessione del credito; in questo caso, però, è onere delle stesse portare alla conoscenza dei terzi il relativo patto, il quale non è opponibile al cessionario se non si dimostra che egli lo conosceva al momento della cessione. Si tutela così l’affidamento incolpevole del cessionario circa la cedibilità del credito.
Effetti della cessione nei confronti del debitore ceduto
Ai sensi dell’art. 1264 c.c., la cessione ha effetto nei confronti del debitore ceduto quando questi l’ha accettata o quando gli stata notificata.
Come affermato espressamente dalla legge, la cessione del credito non richiede il consenso del debitore ceduto, per il quale è di norma indifferente adempiere nei confronti di uno piuttosto che di un altro soggetto.
La cessione deve comunque essere portata a conoscenza del debitore ceduto, il quale deve naturalmente essere informato dell’obbligo di adempiere la prestazione nei confronti del nuovo creditore; è per tale ragione, infatti, che la legge subordina l’efficacia della cessione alla notificazione al debitore o, comunque, alla sua accettazione.
La notificazione della cessione al debitore, ovviamente, non sarebbe necessaria nel caso in cui egli abbia partecipato all’accordo tra creditore cedente e creditore cessionario, dando il proprio consenso alla cessione del credito.
Considerato che l’accordo di cessione può presupporre la partecipazione di tre distinti soggetti, oltre del creditore cedente e del cessionario, anche del debitore ceduto, si discute in ordine alla struttura di tale fattispecie.
Secondo parte della dottrina la cessione del credito ha sempre struttura bilaterale, in quanto il debitore ceduto non diventa mai parte dell’accordo, rimanendo sempre esterno ad esso. In quest’ottica, l’eventuale accettazione del debitore si pone come una condizione legale sospensiva dell’accordo intervenuto tra cedente e cessionario, ossia come requisito di efficacia del negozio.
Altri, invece, sostengono che la cessione del credito abbia in realtà una duplice struttura, bilaterale o trilaterale, a seconda che ad essa vi partecipi o meno il debitore ceduto.
Nel caso in cui manchi l’accettazione del terzo, invece, le parti dell’accordo dovranno procedere alla notificazione della cessione. Per la validità di tale notificazione è sufficiente qualsiasi forma di comunicazione, che sia comunque idonea a portare a conoscenza del debitore ceduto l’avvenuta cessione.
Come chiarito dalla giurisprudenza, il contenuto della notificazione varia a seconda che essa provenga dal cedente o dal cessionario, ossia da colui il quale ha acquistato il credito; nel primo caso, infatti, la notifica proviene da un soggetto che il debitore già riconosce come proprio creditore. Mentre il cedente, dunque, potrà limitarsi ad informare dell’avvenuta cessione il debitore, il cessionario dovrà dimostrare anche la titolarità del diritto e, dunque, l’avvenuto trasferimento del diritto di credito.
A seguito della notificazione o dell’accettazione della cessione, quindi, il debitore ceduto potrà liberarsi dall’obbligazione solo adempiendo nelle mani del cessionario, suo nuovo creditore.
In ogni caso, come previsto dall’art. 1264, comma 2, c.c., anche prima della notificazione, il debitore che paga al cedente non è liberato se il cessionario prova che il debitore medesimo era a conoscenza dell’avvenuta cessione. Ciò a conferma della funzione che nella cessione assumono la notificazione o l’accettazione del debitore ceduto. L’accettazione e la notificazione, d’altra parte, assumono rilevanza al fine di accertare quale cessione debba prevalere, nel caso in cui il cedente abbia provveduto a cedere il medesimo credito a più soggetti. Ai sensi dell’art. 1265 c.c., infatti, se il medesimo credito ha formato oggetto di più cessioni a persona diverse, prevale la cessione notificata per prima al debitore, o quella che è stata prima accettata dallo stesso con atto avente data certa, ancorché sia di data posteriore; la stessa norma si applica quando il credito ha formato oggetto di usufrutto o di pegno.
Secondo la giurisprudenza, in tali ipotesi non sarebbe sufficiente qualsiasi forma di comunicazione al debitore ceduto, occorrendo al contrario che la notificazione avvenga secondo le norme poste dal legislatore in materia, se non altro per assicurare la certezza della data.
Come detto, la cessione del credito comporta successione nella titolarità del medesimo rapporto obbligatorio, con tutte le conseguenze che ne derivano in tema di accessori del credito.
Per effetto della cessione, recita l’art. 1263 c.c., il credito è trasferito al cessionario con i privilegi, le garanzie personali e reali e con gli altri accessori.
Fa eccezione, tuttavia, il possesso del pegno, il quale rimane del cedente qualora non sussista il consenso del debitore ceduto al trasferimento della cosa.
Conseguenza del fenomeno successorio, d’altra parte, è la possibilità del debitore ceduto di opporre al creditore tutte le eccezioni che avrebbe potuto opporre al cedente, salvo l’eccezione di compensazione, in quanto, afferma la giurisprudenza, accettando puramente e semplicemente la cessione riconosce come suo nuovo debitore il cessionario e, dunque, non può ad esso opporgli i crediti che aveva verso il cedente. Oltre alle eccezioni che avrebbe potuto opporre al cedente, ovviamente, il debitore ceduto può opporre al cessionario le eccezioni fondate sul contratto attraverso il quale è avvenuta la cessione.
Cessione del credito a titolo oneroso o a titolo gratuito
Ai sensi dell’art. 1460 c.c., la cessione del credito può essere a titolo oneroso o a titolo gratuito.
Quando la cessione è a titolo oneroso, afferma l’art. 1266 c.c., il cedente è tenuto a garantire l’esistenza del credito al tempo della cessione; la garanzia può però essere esclusa per patto, ma il cedente resta obbligato per fatto proprio. Se la cessione è a titolo gratuito, invece, la garanzia è dovuta solo nei casi e nei limiti in cui la legge pone a carico del donante la garanzia per l’evizione, ossia quando abbia espressamente promesso tale garanzia ovvero quando l’inesistenza del credito dipenda da suo dolo o colpa.
Al contrario se la cessione del credito è a titolo gratuito, il cedente non è mai tenuto a garantire la solvibilità del debitore ceduto, salvo che non abbia assunto espressamente tale garanzia (art. 1267, comma 1, c.c.). In tal caso egli risponde nei limiti di quanto ricevuto come corrispettivo della cessione e deve, inoltre, corrispondere gli interessi, rimborsare le spese della cessione e quelle che il cessionario abbia sopportate per escutere il debitore, nonché risarcire il danno. Ogni patto diretto ad aggravare la responsabilità del cedente deve ritenersi senza effetto.
Cessione pro solvendo e pro soluto
Quando il cedente ha garantito la solvenza del debitore, la garanzia cessa se la mancata realizzazione del credito per insolvenza del debitore sia dipesa da negligenza del cessionario nell’iniziare o nel proseguire le istanze contro il debitore stesso (art. 1267, comma 2, c.c.).
Si distingue così tra cessione pro soluto e cessione pro solvendo:
- nel caso di cessione pro soluto il creditore cedente garantisce esclusivamente l’esistenza del credito al momento in cui avviene la cessione e, di conseguenza, è liberato nel momento stesso in cui cede al cessionario;
- nella cessione pro solvendo, invece, il cedente garantisce anche la solvibilità del debitore ceduto e, pertanto, potrà liberarsi solo nell’istante in cui il ceduto realizza l’adempimento del credito nella mani del cessionario.
Un tipico esempio di cessione pro solvendo si rinviene nella previsione di cui all’art. 1198 c.c., secondo il quale, quando in luogo dell’adempimento viene ceduto un credito, l’obbligazione si estingue con la riscossione del credito, se non risulta una diversa volontà delle parti.
Vedi anche: Cessione pro solvendo e pro soluto: differenze.