Cassazione civile, sez. I, 24 maggio 2007, n. 12150
Il D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 45, comma 9 bis, vieta “la produzione, la commercializzazione e l’uso di dispositivi che, direttamente o indirettamente, segnalano la presenza e consentono la localizzazione delle apposite apparecchiature di rilevamento di cui all’art. 142 C.d.S., comma 6, utilizzate dagli organi di polizia stradale per il controllo delle violazioni” dei limiti di velocità previsti dallo stesso art. 142 C.d.S..
La ratio della disposizione è evidentemente quella di impedire che siano elusi i controlli effettuati con le apparecchiature di rilevamento della velocità e di impedire che in tal modo i veicoli possano procedere a velocità vietate.
Rispetto a tale ratio è del tutto indifferente che il dispositivo consenta al conducente di superare i controlli adeguando momentaneamente la velocità ai limiti ovvero addirittura continuando a mantenere la velocità vietata.
Alla luce di tale ratio, secondo una interpretazione che tenga conto della volontà del legislatore, deve essere intesa l’espressione “segnalano la presenza e consentono la localizzazione”; in particolare, non occorre che le due caratteristiche del dispositivo concorrano essendo, invece, sufficiente che ne ricorra soltanto una per giustificare il divieto. […]
Devono, pertanto, ritenersi vietati, in virtù di una interpretazione logica della norma e non in virtù di una sua applicazione analogica, anche i dispositivi che, ancorchè senza segnalarlo al conducente, localizzano le apparecchiature di rilevamento della velocità. Né, d’altro canto, occorre che la localizzazione si traduca in coordinate geografiche o in indicazioni topografiche, essendo sufficiente la semplice ed automatica restituzione del segnale, che, ovviamente, presuppone l’individuazione della fonte.
Cassazione civile, sez. I, 24 maggio 2007, n. 12150