Cassazione penale, sez. I, 25 gennaio 2008, n. 4060
Con la decisione in esame la Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi proposti avverso le condanne all’ergastolo di tre ex ufficiali delle forze naziste responsabili della “strage di Sant’Anna di Strazzema”, commessa il 12 agosto 1944, concretatasi nello sterminio di circa 500 persone (in prevalenza anziani, donne e bambini) e qualificata come violazione delle “regole dettate dagli Stati per disciplinare la violenza nei conflitti armati (ius in bello) in vista della salvaguardia degli interessi protetti dalla normativa internazionale e della tutela della persona umana come bene assoluto”.
In particolare, la Corte ha ribadito l’orientamento – già espresso nelle sentenze relative all’eccidio delle Fosse Ardeatine (v. Cass., Sez. I, 16/11/1998 n. 12595, Hass e Priebke) – secondo cui, ai fini della sottoposizione alla giurisdizione militare per reati contro le leggi e gli usi della guerra, gli ufficiali nazisti del corpo delle SS devono qualificarsi come appartenenti a forze armate nemiche, in quanto, da un lato, il predetto corpo era organizzato secondo gli schemi delle vere e proprie formazioni militari, al comando tattico dell’esercito tedesco, e, dall’altro lato, la Repubblica Sociale Italiana, alleata della Germania nazista, era priva di ogni legittimazione giuridica e aveva un ruolo di mera collaborazione con l’esercito occupante.
La Corte ha altresì riconosciuto la legittimità della costituzione di parte civile della Regione Toscana, della Provincia di Lucca, del Comune di Stazzema e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, rilevando che il crimine di guerra in esame, “commesso con lo sterminio di buona parte della popolazione di Sant’Anna di Stazzema, composta prevalentemente da vecchi, donne e bambini, ed (…) attuato con modalità efferate, in totale dispregio del più elementare senso di umanità e dei valori comunemente accolti in ogni società civile, anche in tempo di guerra”, ha “provocato dolore, sofferenze, sbigottimento nella collettività di cui le parti civili costituiscono enti esponenziali, creando nella memoria collettiva – per l’inimmaginabile livello di spietatezza e di crudeltà – una ferita non rimarginata, che ancora oggi è fonte di indelebile turbamento ed è produttiva di danno non patrimoniale risarcibile”.
Cassazione penale, sez. I, 25 gennaio 2008, n. 4060