Cassazione civile, sez. unite, 22 maggio 2018, n. 12568
Il licenziamento intimato prima del superamento del periodo di comporto è nullo ab origine e non inefficace sino al momento del superamento del periodo
Il licenziamento intimato per il perdurare delle assenze per malattia od infortunio del lavoratore, ma prima del superamento del periodo massimo di comporto fissato dalla contrattazione collettiva o, in difetto, dagli usi o secondo equità, è nullo per violazione della norma imperativa di cui all’art. 2110, comma 2, Codice Civile.
La Sezioni Unite sono state investite di risolvere la questione dell’alternativa tra il considerare il licenziamento intimato per il perdurare delle assenze per malattia del lavoratore, ma prima del superamento del periodo di comporto, soltanto inefficace fino a tale momento o, invece, il ritenerlo ab origine nullo per violazione dell’art. 2110 cod. civ., comma 2.
Ai sensi dell’art. 2110 cod. civ. il licenziamento per superamento del periodo di comporto costituisce una fattispecie autonoma di licenziamento, vale a dire una situazione di per sè idonea a consentirlo, diversa da quelle riconducibili ai concetti di giusta causa o giustificato motivo di cui all’art. 2119 cod. civ. e alla L. n. 604 del 1966, artt. 1 e 3.
In altre parole, nell’art. 2110 cod. civ., comma 2, si rinviene un’astratta predeterminazione (legislativo-contrattuale) del punto di equilibrio fra l’interesse del lavoratore a disporre d’un congruo periodo di assenze per ristabilirsi a seguito di malattia od infortunio e quello del datore di lavoro di non doversi fare carico a tempo indefinito del contraccolpo che tali assenze cagionano all’organizzazione aziendale.
Muovendo dall’interpretazione dell’art. 2110 cod. civ., comma 2, accolta fin dalla Cass. S.U. n. 2072/80, va evidenziato che il carattere imperativo della norma, in combinata lettura con l’art. 1418 cod. civ., non consente soluzioni diverse da quella di considerare il licenziamento prima del superamento del periodo di comporto affetta da nullità.
È noto che dottrina e giurisprudenza definiscono l’imperatività delle norme in rapporto all’esigenza di salvaguardare valori morali o sociali o valori propri d’un dato ordinamento giuridico. E il valore della tutela della salute è sicuramente prioritario all’interno dell’ordinamento - atteso che l’art. 32 Cost. lo definisce come “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” - così come lo è quello del lavoro (basti pensare, in estrema sintesi, all’art. 1 Cost., comma 1, artt. 4 e 35 Cost. e ss.).
In questa cornice di riferimento è agevole evidenziare come la salute non possa essere adeguatamente protetta se non all’interno di tempi sicuri entro i quali il lavoratore, ammalatosi o infortunatosi, possa avvalersi delle opportune terapie senza il timore di perdere, nelle more, il proprio posto di lavoro.
Art. 2110 Codice Civile
Infortunio, malattia, gravidanza, puerperio.
[I]. In caso d’infortunio, di malattia, di gravidanza o di puerperio, se la legge non stabiliscono forme equivalenti di previdenza o di assistenza, è dovuta al prestatore di lavoro la retribuzione o una indennità nella misura e per il tempo determinati dalle leggi speciali, dagli usi o secondo equità.
[II]. Nei casi indicati nel comma precedente, l’imprenditore ha diritto di recedere dal contratto a norma dell’articolo 2118, decorso il periodo stabilito dalla legge, dagli usi o secondo equità.
[III]. Il periodo di assenza dal lavoro per una delle cause anzidette deve essere computato nell’anzianità di servizio.
Cassazione civile, sez. unite, 22 maggio 2018, n. 12568