Cassazione civile, sez. lavoro, 5 giugno 2024, n. 15700
In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ove sia stata accertata l’insussistenza del fatto, va sempre dispostala la reintegrazione del lavoratore
In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ove sia stata accertata la “manifesta insussistenza del fatto”, a seguito della sentenza n. 125 del 2022 della Corte costituzionale (che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 3 Cost., l’art. 18, settimo comma, secondo periodo, della Legge n. 300/1970, come modificato dall’art. 1, comma 42, lett. b), legge n. 92/2012, nella parte in cui prevedeva un potere discrezionale del giudice in ordine all’applicazione della tutela reale) va sempre applicata, a seguito della sentenza n. 59 del 2021 della Corte costituzionale, la sanzione reintegratoria, senza che assuma rilevanza la valutazione sulla non eccessiva onerosità del rimedio.
Costituisce, infatti, principio consolidato nella giurisprudenza della Suprema Corte quello secondo il quale l’efficacia delle sentenze dichiarative dell’illegittimità costituzionale di una norma di legge, quali quelle sopra citate, non si estende ai soli rapporti già esauriti per formazione del giudicato o per essersi comunque verificato altro evento cui l’ordinamento ricollega il consolidamento del rapporto medesimo, mentre tale efficacia si dispiega pienamente in tutte le altre ipotesi (Cass. n. 2406 del 2003; Cass. n. 1277 del 2002; Cass. n. 1203 del 1999; Cass. n. 891 del 1974).
Con la sentenza n. 125 del 2022, il Giudice delle leggi ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, settimo comma, secondo periodo, della L. n. 300 del 1970, come modificato dall’art. 1, comma 42, lettera b), della L. n. 92 del 2012, limitatamente alla parola “manifesta”, con la conseguenza che, in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ove sia stata accertata la “insussistenza dei fatto” (da intendersi, nella giurisprudenza consolidata di questa Corte inaugurata da Cass. n. 10435 del 2018, comprensivo della impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore) va applicata la sanzione reintegratoria, senza che assuma rilevanza la valutazione circa la sussistenza, o meno, di una chiara, evidente e facilmente verificabile assenza dei presupposti dì legittimità del recesso.
Inoltre, con la sentenza n. 59 del 2021, era già stata dichiarata l’illegittimità costituzionale della medesima disposizione nella parte in cui prevedeva, in caso di accertata illegittimità del licenziamento, un potere discrezionale del giudice in ordine all’applicazione della tutela reale (cfr. Cass. n. 16975 del 2022; Cass. n. 30167 del 2022; Cass. n. 34049 del 2022; Cass. n. 34051 del 2022; Cass. n. 35496 del 2022; Cass. n. 36956 del 2022; Cass. n. 37949 del 2022; Cass. n. 38183 del 2022; Cass. n. 1299 del 2023; alle quali tutte si rinvia anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.).
Cassazione civile, sez. lavoro, 5 giugno 2024, n. 15700