Cassazione penale, sez. II, 3 ottobre 2006, n. 34179
La sez. II della Suprema Corte, ponendosi in contrasto con una risalente sentenza delle SS. UU. del 1986, ha ritenuto che la condotta di chi appone sul parabbrezza della propria autovettura un certificato assicurativo falso non integra il tentativo di truffa.
Tale decisione si fonda su un duplice ordine di motivi.
Innanzitutto manca l’elemento del danno patrimoniale in quanto la condotta non implica lo spostamento di risorse economiche in favore dell’autore della stessa il quale mira solamente a sottrarsi a sanzioni amministrative.
In secondo luogo mancano i tre momenti di cui si compone il reato che, dottrina e giurisprudenza, riconoscono nella produzione dell’artificio, nella successiva causazione dell’errore e nella consequenziale produzione dell’ingiusto profitto per l’agente. Nel caso di specie il profitto, consistente nel pagare una somma inferiore o nel non pagarla affatto, si consegue prima ancora di porre in essere l’alterazione del contrassegno. Ma soprattutto il profitto derivante dal circolare sprovvisti di copertura assicurativa è del tutto neutro rispetto ad un ipotetico danno erariale.
Pertanto, sulla scorta di quanto sopra, l’alterazione del certificato di assicurazione ha l’unica funzione di dissimulare un profitto già ottenuto.
Cassazione penale, sez. II, 3 ottobre 2006, n. 34179