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Indagine Antitrust sulla distribuzione carburanti: dalle pompe bianche e GDO una spinta decisiva alla riduzione dei prezzi.

Redazionedi Redazione28 Dicembre 2012
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Indagine Antitrust sulla distribuzione carburanti: dalle oltre 2.000 pompe bianche e gli 82 punti vendita gdo spinta per riduzione prezzi e per nuovo equilibrio concorrenziale.
Oltre 2.000 pompe bianche e 82 punti vendita collegati alla Grande Distribuzione Organizzata: sono i protagonisti della nuova fase che sta attraversando la rete distributiva dei carburanti per autotrazione, con effetti sui prezzi, più bassi, fino a 13 centesimi di euro al litro rispetto agli impianti delle compagnie petrolifere, laddove la spinta concorrenziale esplica gli effetti maggiori. È la principale conclusione cui giunge l’indagine conoscitiva dell’Antitrust che fotografa l’assetto del settore e chiede al legislatore ulteriori interventi normativi per rafforzare le potenzialità dei nuovi entranti, in grado di rompere l’assetto oligopolistico del mercato dei carburanti.


I numeri

L’indagine, avviata a marzo 2011, dà un quadro numerico, inedito, del settore: i punti vendita legati alle compagnie petrolifere continuano a fare la parte del leone: sono 22mila contro gli oltre 2.000 degli operatori indipendenti e gli 82 della Gdo. La classifica si capovolge se si guarda l’erogato medio per impianto: 7,2 milioni di litri per la Gdo, 1,6 per le pompe bianche, 1,4 per gli impianti colorati (quelli delle compagnie petrolifere).
In particolare, con riferimento al dato relativo alla stima sulla consistenza numerica degli impianti indipendenti senza marchio (pompe bianche), presenti sul territorio nazionale, è stato stimato un numero totale complessivo di pompe bianche (non GDO) esistenti in Italia al 31 dicembre 2010 tra 2.356 a 2.065 unità, con una preferenza per il limite inferiore dell’intervallo.
Per giungere a questo numero nell’indagine sono state utilizzate tre distinte fonti informative:
la collaborazione con la Guardia di Finanza che, utilizzando banche dati tributarie, ha inizialmente identificato sul territorio 2.719 punti vendita potenzialmente qualificabili come impianti non colorati;
le risposte a richieste di informazioni inviate agli operatori indipendenti, che hanno consentito di rilevare 755 impianti no-logo;
le risposte alle richieste di informazioni inviate alle imprese della GDO, con cui sono stati identificati gli 82 impianti.
Dall’analisi dei prezzi praticati alla pompa, lungo un periodo di circa due anni tra il 2010 ed il 2011 (figure 1 e 2 allegate), emerge che gli impianti della GDO praticano prezzi più bassi rispetto agli operatori indipendenti (pompe bianche), oltre che ovviamente rispetto agli impianti colorati delle società petrolifere. A livello assoluto la GDO praticava prezzi da 9 a 13 centesimi di euro più bassi degli impianti colorati e da 1,5 a 5 centesimi di euro più bassi degli impianti “bianchi”.
Le nuove spinte concorrenziali non hanno tuttavia lo stesso effetto sui prezzi a livello territoriale: analizzando per macrozone (Nord est, Nord ovest, Centro, Sud), a prescindere dalla tipologia di operatore, il Sud ha sempre prezzi più elevati, il Nord Est ed il Nord Ovest hanno i prezzi più bassi, il Centro ha una posizione intermedia.
In particolare sia per gli impianti della GDO che per gli impianti no logo gestiti dagli indipendenti, i prezzi più bassi sono stati quelli praticati nel Nord-Est. Al Sud, invece, gli impianti no logo non praticano prezzi particolarmente diversi da quelli delle società petrolifere colorate e sono gli impianti della GDO, ancorché in numero molto esiguo, a supplire allo scarso grado di concorrenzialità delle pompe bianche gestite dagli indipendenti. Al Centro e al Nord-Ovest, invece, si riscontra un maggiore allineamento della GDO alle politiche di prezzo degli indipendenti.
L’impatto differenziato a livello territoriale sui prezzi praticati dai nuovi entranti (pompe bianche e GDO) è legato a differenze strutturali.


Le pompe bianche

Al Sud, in termini assoluti, si concentra oltre il 40% del totale delle pompe bianche italiane ma i proprietari di tali impianti sono mediamente operatori di grande dimensione, che dispongono spesso sia di impianti convenzionati con le principali società petrolifere sia di impianti “bianchi” (c.d. operatori “misti”), e che in molti casi hanno anche impianti in “co-branding” con le compagnie petrolifere (benzina e gasolio venduto a marchio e GPL venduto “bianco”). Si tratta di impianti poco efficienti dove il self service e i servizi non oil sono poco diffusi e l’erogato medio è molto basso. Queste caratteristiche spiegano in parte i prezzi praticati dalla pompe bianche al Sud, che non risultano molto diversi da quelli praticati dalle reti colorate.
Al Nord-Est gli operatori sono di medie dimensioni (non più di venti impianti) con punti vendita evoluti, in cui il self-service e i servizi non-oil sono diffusi più ampiamente che nel resto d’Italia. Riescono così a sfruttare appieno tutte le leve concorrenziali, con un erogato medio elevato -di gran lunga superiore a quello dei punti vendita colorati che si accompagna a politiche di prezzo particolarmente aggressive.
Al Nord-Ovest la rete degli operatori indipendenti è comparabile a quella presente al Nord-Est, in termini di sviluppo sia del self-service che dei servizi non-oil, nonché delle politiche di prezzo praticate ma la loro penetrazione territoriale è contenuta e il grado di efficienza degli impianti non è superiore a quella che caratterizza la rete delle compagnie petrolifere.
Al Centro Italia le pompe bianche presentano un livello di sviluppo e di efficienza medio (diffusione del self-service ed erogato) più simile alle pompe bianche del Nord-Est, a fronte però di una pressione competitiva decisamente inferiore e più vicina a quella esercitata dagli impianti no-logo al Sud.


Il ruolo della GDO

La GDO a inizio 2011 risulta presente con 82 impianti; gli operatori con almeno 10 punti vendita sono attivi in tutte e quattro le macroregioni. Le reti dei due operatori più grandi sono tuttavia concentrate nel Nord-Ovest, dove sono localizzati circa il 45% degli impianti di Auchan e quasi tre quarti dei punti vendita di Carrefour. Il 40% della rete di Conad è invece concentrata al Sud. Una percentuale alta di impianti espone però, insieme al marchio dell’azienda GDO, anche il marchio delle compagnie petrolifere verticalmente integrate.
I prezzi degli impianti della GDO sono risultati più aggressivi (e difficili da replicare) quando i punti vendita espongono soltanto il marchio dell’operatore della grande distribuzione. I prezzi praticati dagli impianti della GDO in co-branding, invece, tendono ad essere meno aggressivi e per questo, nei contesti di mercato locali, i concorrenti verticalmente integrati riescono a reagire alle politiche di questa tipologia di impianti della GDO allineandosi ai loro prezzi (il differenziale medio è pari a -0,16 centesimi), mentre le pompe bianche sono in grado di praticare prezzi inferiori alla GDO, in media, di 2 centesimi di euro al litro. In generale, dunque il co-branding si associa a politiche di prezzo meno aggressive, il che consente ai concorrenti, anche colorati, di allinearsi alle politiche commerciali degli operatori della GDO nei bacini locali dove questi ultimi risultano attivi.

Le compagnie petrolifere verticalmente integrate
Dall’indagine emerge che le compagnie ‘tradizionalì, verticalmente integrate (dalla raffinazione alla distribuzione), mostrano una forte similitudine di comportamento delle società nella definizione dei prezzi per il canale rete (il range di variazione dei prezzi medi mensili delle diverse società non supera il 2%). Al contrario i prezzi relativi alle vendite di carburanti per autotrazione attraverso altri canali diversi dalla rete (esportazione, extra-rete, supply ad altre petrolifere) hanno mostrato andamenti meno convergenti. Ciò a fronte di una dotazione di infrastrutture logistiche e di raffinazione molto eterogenea (e che vede alcune imprese petrolifere non più presenti nella fase della raffinazione). Inoltre dall’indagine è emerso un forte ruolo delle vendite tra società petrolifere per il rifornimento delle rispettive reti (cd canali supply o stock transfer), con alcune imprese che fungono da venditrici nette rispetto al sistema ed altre che assumono il ruolo di acquirenti nette.
Ne emerge dunque, ancora ad inizio 2011, un panorama di interazione oligopolistica tra gli operatori integrati nel quale i players più efficienti (Eni ed Esso su tutti) non spingevano la competizione fino a livelli che li avrebbero differenziati davvero dai concorrenti e avrebbero minacciato di far uscire questi ultimi dal mercato.
Le sette società petrolifere attive a livello nazionale nella distribuzione di carburanti in rete sembravano ancora nel 2011 presentarsi sul mercato come soggetti nella sostanza allineati su comportamenti non troppo differenziati: uno scenario dalla chiara connotazione collusiva, che potrebbe teoricamente costituire l’esito di un coordinamento tra gli operatori verticalmente integrati. Di tale eventuale coordinamento, tuttavia, nel corso dell’indagine non sono state acquisite evidenze.


Il ruolo dell’indice Platts

L’indagine si è soffermata sull’utilizzo dell’indicatore delle quotazioni dei prodotti finiti Platts quale riferimento per la determinazione dei prezzi finali dei carburanti. È emerso che non si tratta di una peculiarità del nostro paese. Una richiesta di informazioni inviate alle principali Autorità di Concorrenza nazionali degli Stati Membri UE, infatti, ha indicato che nella maggioranza dei paesi europei tale quotazione internazionale rappresenta il prezzo di riferimento, a partire dal quale si articolano tutti i prezzi praticati nei mercati all’ingrosso ed al dettaglio.
Dall’indagine è inoltre emerso che non esistono elementi sufficienti per ritenere che Platts svolga un ruolo attivo quale veicolo di una concertazione tra operatori nazionali integrati verticalmente; le quotazioni Platts tra l’altro non sembrano discostarsi in maniera significativa dai valori di mercato forniti da altri competitors attivi nella fornitura di informazioni sulle quotazioni dei prodotti petroliferi finiti (Argus). Ciò non toglie tuttavia che si ponga un problema più generale, legato alla possibilità che le quotazioni fornite non solo da Platts, ma anche da altre agenzie giornalistiche, possano essere esposte ad un rischio di manipolazione nella misura in cui non risultino pienamente affidabili i prezzi comunicati dagli operatori di mercato sulla base dei quali le agenzie elaborano tali quotazioni. Su qtesto punto, tuttavia, si osserva come l’IOSCO, l’Organizzazione internazionale delle Autorità di vigilanza sulle Borse. ad esito di un’indagine sul settore, abbia indicato delle linee guida per gli operatori nell’ottica di migliorare il grado di affidabilità delle quotazioni fornite al mercato.


La discontinuità delle liberalizzazioni

L’indagine dà atto al processo di liberalizzazione (in particolare l’eliminazione di ogni tipo di barriera all’ingresso), avviato negli anni passati e ripreso a partire dal 2012, di avere introdotto una discontinuità che incrementando il numero di nuovi soggetti non integrati presenti sul mercato ne ha incrinato l’assetto oligopolistico. La stessa istruttoria, conclusa nel 2007 dall’Antitrust, con l’assunzione di impegni da parte delle compagnie che, tra l’altro, prevedevano: i) l’avvio di politiche di riduzione dei prezzi nella modalità di rifornimento self service; ii) iniziative finalizzate all’ingresso delle GDO, ha avuto un ruolo positivo nella stessa direzione. Anche la politica di forte scontistica, avviata questa estate dall’operatore leader di mercato, ha innescato una serie di reazioni di prezzo da parte degli attori del mercato che sembrano denotare un cambiamento in senso maggiormente concorrenziale dell’interazione di settore.
Se iniziative di questo genere dovessero riproporsi (ovviamente nel rispetto della normativa antitrust) i probabili vincitori saranno i grandi raffinatori effettivamente integrati a valle nella distribuzione (Eni ed Esso), gli operatori bianchi più dinamici e gli impianti della GDO con marchio proprio. A perdere quote di mercato potrebbero essere invece quegli operatori che detengono le rimanenti cinque reti di distribuzione a dimensione nazionale ma hanno una presenza insufficiente o addirittura assente nella raffinazione/logistica.


Quel che resta da fare

Nel breve periodo si potrebbe dunque assistere a un profondo riassetto del settore intero, con operatori che perdono terreno (o addirittura escono dal mercato) ed altri che si rafforzano. Per sostenere la dinamica concorrenziale e giungere ad un equilibrio caratterizzato da numerosi operatori che esercitano la distribuzione di carburanti in un contesto di effettiva concorrenza e non più di mera interazione oligopolistica occorre proseguire nel processo riformatore. In particolare occorre:
– sviluppare il maggior numero di operatori indipendenti efficienti, esportando il c.d. “modello Nord- Est” anche in quelle aree del Paese (tra tutte il Sud) dove attualmente gli indipendenti non rappresentano un effettivo stimolo concorrenziale;
– privilegiare lo sviluppo di impianti della GDO (ancora in numero troppo esiguo e praticamente assenti in alcuni contesti geografici), preferendo la modalità di vendita con il marchio proprio rispetto al modello del c.d. co-branding;
– incentivare una evoluzione in senso più efficiente di quelle reti colorate che non dispongono di infrastrutture logistiche e di raffinazione coerenti con una presenza uniforme sul territorio, ad esempio attraverso processi di regionalizzazione, svincolandole il più possibile dal ricorso alle vendite incrociate tra concorrenti (il c.d. canale supply);
– istituire una banca dati istituzionale che raccolga e renda pubblici i prezzi praticati, a livello di singoli impianti, su tutto il territorio nazionale, per accrescere, tra i consumatori, la percezione dell’esistenza di prezzi diversificati all’interno dei propri mercati locali di riferimento
– sfruttare il futuro avvio di un mercato delle logistica petrolifera e di un mercato all’ingrosso dei prodotti petroliferi liquidi per autotrazione per dare maggiore spazio allo sviluppo di pompe bianche “pure”, migliorare le condizioni di approvvigionamento degli operatori indipendenti, facilitare lo sviluppo di forti operatori attivi su base regionale o pluriregionale. L’accesso a tali mercati organizzati della logistica e del prodotto potrebbe essere certamente favorito dalla costituzione di gruppi di acquisto, tra operatori di piccole dimensioni: tali operatori potrebbero aggregarsi per accrescere la loro capacità di acquisto all’ingrosso di carburanti e di servizi di stoccaggio e trasporto degli stessi.
– introdurre misure per favorire l’ingresso di operatori indipendenti nella logistica per migliorare non solo le condizioni economiche per l’accesso ai servizi di stoccaggio, ma anche mantenere un adeguato grado di liquidità del mercato all’ingrosso dei prodotti petroliferi che si intende costituire. L’indagine conoscitiva ha infatti messo in evidenza come una adeguata disponibilità di infrastrutture logistiche e/o la presenza di operatori indipendenti in questa fase della filiera siano in grado di influenzare in maniera decisiva il grado di concorrenzialità dei mercati a valle della distribuzione di carburanti. Nell’ottica di sviluppare il maggior numero di operatori indipendenti sul “modello Nord- Est” anche al Sud, dove attualmente tali operatori non rappresentano un effettivo vincolo concorrenziale, appare dunque necessario individuare delle misure che vadano nella direzione di “esportare” le condizioni logistiche presenti nel Nord-Est anche in altre zone del paese al Sud. Ciò implica l’adozione di nuove misure volte a favorire l’ingresso di operatori indipendenti nella logistica, fase della filiera che al Sud è pressoché controllata in via esclusiva da società petrolifere verticalmente integrate. In questo quadro, si potrebbe ad esempio ipotizzare la cessione da parte di tali operatori verticalmente integrati di un sottoinsieme di depositi di stoccaggio a società che non operano a valle nelle distribuzione in rete di carburanti. Nello specifico, la cessione potrebbe riguardare quelle infrastrutture di raffinazione investite da processi di ristrutturazione – largamente annunciati in questi mesi – di cui è prevista la riconversione in depositi per lo stoccaggio. La trasformazione di alcune raffinerie di proprietà di società verticalmente integrate in depositi primari potrebbe dunque costituire l’occasione per ampliare la disponibilità di tali infrastrutture nella titolarità di operatori indipendenti proprio nelle aree del Paese in cui allo stato sono assenti o esigue.

Articolo tratto da: AGCM Autorità Garante Concorrenza e Mercato

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