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Lavoro Previdenza Sentenze

Corte dei Conti Toscana, 24 gennaio 2008, n. 51

Redazionedi Redazione24 Gennaio 2008
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iscrizione contemporanea a due albi professionali

SENTENZA

sull’appello, iscritto al n. 26755 del registro di segreteria, proposto dal Ministero della difesa
avverso
la sentenza 22.3.2006, n. 315/06 della Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la regione Emilia-Romagna, e nei confronti dei sigg.ri:
(omissis)
rappresentati e difesi dall’avv. Gabriele De Paola ed elettivamente domiciliati presso il suo studio in Roma, piazzale delle Belle Arti n. 1.
Visti l’atto di appello e gli altri atti e documenti della causa;
UDITO, nella Camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2008, il consigliere relatore dr. Piergiorgio Della Ventura e l’avv. Antonio Taviano, su delega dell’avv. De Paola per gli appellati; nessuno intervenuto per l’amministrazione appellante;
Ritenuto in

FATTO

Con ricorso cumulativo depositato in data 12 novembre 1996, gli ex carabinieri in epigrafe indicati, tutti già beneficiari dei miglioramenti di cui al d.P.R. n. 69 del 1984 e collocati in varie date ricadenti nel periodo di vigenza economica dell’accordo in questione, si gravavano innanzi alla Sezione giurisdizionale per l’Emilia-Romagna della Corte dei conti sostenendo di aver diritto alla riliquidazione della pensione in godimento, sulla base degli aumenti stipendiali di cui al d.P.R. n. 69 del 1984, dapprima calcolata sugli scaglioni attribuiti e poi definitivamente quantificato sulla retribuzione finale prevista dall’accordo predetto in quanto lo stesso si riferirebbe – come secondo i ricorrenti si evince dall’art. 1, ultimo comma dello stesso decreto presidenziale al periodo che va dal 1° gennaio 1982 al 30 giugno 1995, comprendendo la data del loro collocamento a riposo.
I ricorrenti chiedevano quindi che venisse riconosciuto il loro diritto alla riliquidazione del trattamento pensionistico in godimento con applicazione dei benefici contrattuali scaglionati dal 1° gennaio 1984 e dal 1° gennaio 1985, con rivalutazione monetaria, secondo gli indici ISTAT, e con gli interessi legali, dal sorgere del diritto al saldo, sulle somme che sarebbero risultate essere loro dovute.
Con la sentenza qui impugnata il Giudice di prime cure ha innanzi tutto premesso che, anche se il riferimento normativo operato dai ricorrenti indica quale fonte della pretesa pensionistica il d.P.R. n. 69 del 1984, detta normativa concerne unicamente il personale dei ruoli della Polizia di Stato, con esclusione dei dirigenti, e non anche gli appartenenti all’Arma dei Carabinieri, inquadrati, all’epoca di riferimento, tra il personale militare per il quale trova applicazione la legge 20 marzo 1984 n. 34.
Ha poi aggiunto, per quanto concerne l’interpretazione della su detta legge n. 34 del 1984, che la giurisprudenza (ritenuta maggioritaria) in materia ha affermato il diritto alla riliquidazione della pensione per quanti abbiano beneficiato, in servizio, di almeno uno degli aumenti previsti dalla medesima legge, sulla falsariga di quanto affermato anche per il contratto relativo al comparto scuola, approvato con il d.P.R. n. 345 del 1983. In particolare, la giurisprudenza della Sezione giurisdizionale per l’Emilia-Romagna (cita la sentenza n. 575/04/M, n. 400 dell’8 luglio 1996 e n. 479 del 21 giugno 1999) ha già affermato la sussistenza del diritto dei dipendenti, collocati in quiescenza nel corso della vigenza economica dell’accordo di cui alla legge n. 34 del 1984, alla riliquidazione della pensione sulla base dei benefici economici posteriori alla data di collocamento a riposo.
Per il caso concreto, ha osservato che i ricorrenti sono cessati dal servizio successivamente alla data (1° gennaio 1983) di decorrenza economica dei benefici introdotti dalla legge succitata: i ricorrenti medesimi sono stati pertanto ritenuti destinatari di tali benefici, poichè lo scaglionamento nel tempo previsto dalla normativa in questione deve essere inteso come finalizzato non già a parcellizzare un diritto all’aumento che è unico in forza della norma anzidetta ma soltanto a graduarne nel tempo l’effetto finanziario in relazione alle esigenze del bilancio dello Stato.
La linea interpretativa seguita, aggiunge, non sarebbe in contrasto con il precetto di cui all’art. 53 del d.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092, secondo cui, ai fini della determinazione della misura del trattamento di quiescenza del personale militare, la base pensionabile è costituita dall’ultimo stipendio o dall’ultima paga e dagli assegni e dalle indennità pensionabili “integralmente percepiti”: espressione che, per costante giurisprudenza della Corte dei conti, deve essere intesa sempre secondo il primo Giudice non nel senso di “concretamente riscossi”, ma nel senso di entrati “a far parte della sfera giuridico-patrimoniale del soggetto prima del suo collocamento a riposo”, il che si sarebbe verificato per tutti i ricorrenti.
Per tali motivi ha quindi accolto il ricorso, con declaratoria del diritto degli interessati alla riliquidazione, alle scadenze previste dalla legge n. 34 del 1984, del trattamento pensionistico diretto in godimento tenendo conto degli scaglioni stipendiali in detto accordo contemplati aventi decorrenza successiva alla data di cessazione dal servizio dei ricorrenti medesimi; ha dichiarato altresì la spettanza, sulle somme che risulteranno dovute, della rivalutazione monetaria e degli interessi come per legge, da calcolare da ciascuna singola scadenza all’effettivo soddisfo, nei termini e con le modalità di cui all’art. 16, comma 6, l. 30 dicembre 1991, n. 412 ed all’art. 22, comma 36, l. 23 dicembre 1994 n. 724, secondo l’interpretazione recata dall’art. 45, comma 6, della l. 23 dicembre 1998 n. 448.

Avverso tale sentenza ha interposto appello il Ministero della difesa, chiedendone la riforma.
L’amministrazione appellante ricorda che, rispetto ad una giurisprudenza inizialmente oscillante poi stabilizzatasi per effetto di pronunce delle Sezioni Riunite della Corte dei Conti in sede di risoluzioni di questioni di massima, quale in particolare la sentenza n. 17/99/QM del 31/05/1999, è stato precisato che “ogni accordo risponde pur nei limiti di legge a principi e regole proprie e funzionali alle esigenze del comparto medesimo ivi disciplinate; per cui ciascuno di essi va interpretato autonomamente essendo per legge non necessario un livellamento paritetico ovvero una omogeneizzazione di tutti i contratti né per i successivi periodi temporali né per i diversi comparti cui essi afferiscono”.
Da ciò conseguirebbe l’infondatezza di quelle considerazioni che, facendo leva sull’interpretazione data per un certo accordo contrattuale, quale ad esempio quello per il personale della scuola, pretendono di trarre fondamento per un’interpretazione valida anche in relazione ad un differente accordo proprio di un diverso comparto, quale quello concernente il personale di pubblica sicurezza a cui in tal caso è equiparato quello appartenente all’ Arma dei Carabinieri.
Ricorda ancora l’appellante che la suddetta legge, quale normativa applicabile al caso in esame, ha determinato la misura degli stipendi spettanti ai militari delle Forze Annate a decorrere dal 1/1/83, precisando che “l’importo derivante dalla differenza tra lo stipendio dovuto al 1/1/83 e quello in godimento al 31/12/82 sarà corrisposto secondo le decorrenze e le percentuali indicate dalla legge”.
Orbene, apparirebbe chiaro a parte appellante, per l’inequivoca formulazione della norma, che l’art. 4 della legge 34/84 nell’attribuire detti miglioramenti economici con distinte e determinate decorrenze non abbia inteso rateizzare un unico beneficio, bensì costituire in maniera graduata il diritto agli aumenti esclusivamente in favore del personale in attività di servizio alle diverse date espressamente indicate dalla legge. Sarebbe cioè evidente che la legge ha riconosciuto una pluralità di obbligazioni non perfette dalla nascita ma che vengono a perfezionarsi in tempi diversi, i cui vantaggi spettano solo ai dipendenti ancora in servizio alle rispettive date di operatività degli aumenti percentuali.
Lo stesso legislatore all’art. 5 della legge n. 34/84 ha poi disposto che i nuovi stipendi negli importi “effettivamente corrisposti” in relazione allo scaglionamento del beneficio, di cui al precedente art. 4, hanno effetto sul trattamento di quiescenza normale o privilegiato. Nel riferirsi sia alla “effettività”, sia allo “scaglionamento”, esso avrebbe allora inteso richiamare un principio fondamentale dell’ordinamento pensionistico, quale quello del necessario collegamento allo stipendio “maturato” all’atto del collocamento a riposo, ex art. 43 e 53 del T.U. n. 1092/73.
Pertanto, in ordine al ricalcolo della pensione con l’inclusione nella base pensionabile anche degli aumenti contrattuali in scadenza successivamente al collocamento a riposo, osserva il Ministero che, ai sensi dell’articolo 43 per il personale civile e art. 53 per il personale militare del DPR 29 dicembre 1973, n. 1092, il trattamento economico di quiescenza è determinato sulla base pensionabile, “costituita dall’ultimo stipendio o dall’ultima paga o retribuzione e dagli assegni o indennità pensionabili integralmente percepiti” all’atto del collocamento a riposo”. Il legislatore avrebbe quindi inteso escludere che variazioni retributive successive al collocamento in pensione possano incidere sulla base pensionabile, se non in presenza di una espressa disposizione normativa che legittimi tale deroga al principio generale della non automatica estensione dei miglioramenti retributivi del personale in servizio ai pensionati; nel calcolo della pensione potrebbero in altri termini confluire ed essere presi in considerazione soltanto quegli elementi della retribuzione che il dipendente abbia acquisito il diritto di percepire in costanza di servizio e non anche quelli che vengono a maturazione in un momento successivo, i quali riguardano soltanto coloro che, in tale momento, sono in servizio.
Su tale principi parte appellante richiama varia giurisprudenza di questa Corte dei conti, in particolare la sentenza n. 11/98/QM in data 15 maggio 1998 delle Sezioni riunite.
Alla luce di quanto sopra riferito, l’Amministrazione ritiene che il personale già appartenente all’ Arma dei Carabinieri, a cui la sentenza impugnata ha riconosciuto il diritto agli interi aumenti stipendiali di cui alla normativa sopra richiamata, non abbia diritto a tali emolumenti se non nella misura in cui ne abbia già percepito all’atto della cessazione dal servizio a seguito della maturazione del diritto per costanza di rapporto e, pertanto, non può essere richiamata alcuna fonte normativa o contrattuale che differentemente disponga in quanto quella agli stessi applicabile sancisce chiaramente ed esplicitamente il principio dell’effettività, come nei termini sopra esposti. Chiede, conclusivamente, l’annullamento dell’impugnata sentenza per violazione e falsa applicazione della legge n. 34 del 20/03/1984 e del d.p.r. del 27/03/1984 n. 69 ai sensi dell’art. 360, commi 3 e 5, c.p.c..
Gli appellati e le vedove dei sigg.ri Vannuccini e Dolfi, medio tempore deceduti, si sono costituiti in giudizio con il patrocinio dell’avvocato Gabriele De Paola ed hanno eccepito, in rito, l’inammissibilità dell’appello per difetto dello jus postulandi.
A tale proposito, è stato evidenziato che l’appello è stato proposto dal Ministero della difesa senza l’ausilio di un difensore, ossia dell’Avvocatura generale dello Stato ovvero un funzionario munito di apposita delega: risulta solo la firma di un dirigente identificato genericamente con il nominativo, senza che risulti lo jus postulandi (la qualifica, cioè, di dirigente, o vicario, dell’ufficio che ha emanato l’atto impugnato).
Nel merito, parte appellata ha sostenuto che l’appello è infondato. Infatti è stato ritenuto puntualmente dalla sentenza della Corte dei Conti Emilia Romagna che gli interessati (o danti causa) sono cessati dal servizio successivamente alla data (1° gennaio 1983) di decorrenza economica dei benefici introdotti dalla legge n. 34/1984: i ricorrenti medesimi devono pertanto ritenersi destinatari di tali benefici dovendosi considerare lo scaglionamento nel tempo previsto dalla normativa in questione come inteso non a parcellizzare un diritto all’aumento che è unico in forza della norma anzidetta ma soltanto a graduarne nel tempo l’effetto finanziario in relazione alle esigenze del bilancio dello Stato. Conclusivamente parte appellata chiede che questa Sezione centrale di Appello respinga il gravame proposto dal Ministero della difesa per inammissibilità ed infondatezza, con vittoria di spese diritti onorari.
All’odierna udienza, nessuno intervenuto per l’appellante, l’avv. Taviano si è riportato agli scritti difensivi chiedendo, in rito, la declaratoria di inammissibilità dell’appello e, nel merito, il rigetto.

DIRITTO

1. In rito, va respinta l’eccezione di inammissibilità dell’appello per difetto dello jus postulandi, sollevata dagli appellati in relazione alla (supposta) carenza, in capo al firmatario dell’atto di appello, della qualifica di dirigente, o vicario, dell’ufficio che ha emanato l’atto impugnato in primo grado.
L’atto di appello è stato sottoscritto dal dr. Bartolomeo Damato, dirigente pro-tempore del II Reparto – 5^ divisione della Direzione generale delle pensioni militari, del collocamento al lavoro dei volontari congedati e della leva. Tale ufficio, risulta ancora dalla intestazione dell’atto stesso, era in precedenza denominato 21^ Divisione – VI Reparto di PERSOMIL.
Orbene, è agli atti della segreteria di questa Sezione copia del decreto n. VI/2004 del 12.1.2004 del Direttore generale, con il quale il dirigente della 21^ Divisione (indicato nel medesimo dr. Bartolomeo Damato) è delegato, tra l’altro, alla proposizione degli appelli innanzi a questa Corte dei conti.
Tale decreto, a tutta evidenza, integra pienamente i presupposti dello jus postulandi, di cui all’art. 6, comma 4, della L. n. 19/1994 (“L’amministrazione, ove non ritenga di avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, può farsi rappresentare in giudizio da un proprio dirigente o da un funzionario appositamente delegato”), secondo l’interpretazione che di tale norma ha fornito la giurisprudenza: v., in proposito, Corte dei conti, Sezione I app., 9.12.1999, n. 65/ord..
2. Nel merito, l’appello è fondato e deve essere accolto.
La normativa regolatrice dei rapporti giuridici ed economici per il personale dell’Arma dei carabinieri, per il periodo cui si fa riferimento, è dettata dalla legge 20 marzo 1984, n. 34, “Copertura finanziaria del decreto del Presidente della Repubblica di attuazione dell’accordo contrattuale triennale relativo al personale della polizia di Stato, estensione agli altri Corpi di polizia, nonché concessione di miglioramenti economici al personale militare escluso dalla contrattazione” e – per effetto del rinvio operato appunto da tale legge – da quelle del D.P.R 27 marzo 1984, n. 69, contenente le norme risultanti dalla disciplina prevista dall’accordo del 15 dicembre 1983 concernente il personale dei ruoli della Polizia di Stato, con esclusione dei dirigenti.
Ciò posto, non appare consentita una lettura dell’art. 2 del D.P.R. n. 69/84, relativo all’indicazione dei nuovi livelli stipendiali iniziali, del tutto svincolata dalla previsione di cui al successivo art. 4, che prevede lo scaglionamento degli oneri e dei benefici economici derivanti dall’attribuzione dei nuovi stipendi e dei nuovi livelli: dal 1º gennaio 1983 il 35 per cento; dal 1º gennaio 1984 il 75 per cento; infine, dal 1º gennaio 1985 il 100 per cento.
Appare infatti chiaro, per l’inequivoca formulazione della norma, che il su detto art. 4, nell’attribuire i detti miglioramenti con le distinte e determinate decorrenze ivi indicate, non abbia inteso rateizzare un unico beneficio bensì costituire in maniera graduata il diritto agli aumenti esclusivamente in favore del personale in attività di servizio alle diverse date espressamente indicate.
Consegue da quanto sopra che i medesimi miglioramenti non possono avere riflessi indifferenziati al fine della determinazione del trattamento pensionistico spettante al personale collocato a riposo prima delle singole scadenze temporali: ciò si evince anche dalla lettera del successivo art. 10: “I nuovi stipendi, negli importi effettivamente corrisposti in relazione allo scaglionamento del beneficio di cui al precedente art. 4, hanno effetto sulla tredicesima mensilità, sul trattamento ordinario di quiescenza, normale e privilegiato, sull’indennità di buonuscita e di licenziamento, sull’equo indennizzo, sull’assegno alimentare previsto dall’art. 82 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, o da disposizioni analoghe, sulle ritenute previdenziali ed assistenziali e relativi contributi, compresi la ritenuta in conto entrate Tesoro o altre analoghe ed i contributi di riscatto”.
Conseguentemente, i soggetti cessati nel corso di vigenza dell’accordo collettivo di cui trattasi non hanno diritto al computo integrale, nella base pensionabile, dei benefici economici ivi previsti, ma solo di quelli effettivamente corrisposti in servizio.
La giurisprudenza assolutamente maggioritaria di questa Corte dei conti – che il Collegio pienamente condivide – è del tutto ferma su tale posizione; v., ex plurimis, SS.RR., 31.5.1999, n. 17/QM; Sezione II^ app., 13.4.2000, n. 133; id., 12.9.2002, n. 2922; id., 1.3.2004, n. 61; id., 7.6.2007, n. 195.
Né potrebbe richiamarsi, per sostenere l’opposta tesi, la diversa soluzione interpretativa adottata con riferimento al CCNL del personale della scuola (DPR n. 345/1983).
In materia, infatti, è fondamentale la considerazione che ogni accordo collettivo costituisce un corpo a sé, per la peculiarità dei diversi comparti di contrattazione collettiva e, nell’ambito di questi, delle categorie di dipendenti che vi sono comprese e del relativo ordinamento previdenziale. Tale concetto è stato più volte ribadito dalle Sezioni Riunite (v. sentenza n. 17/99/QM del 31 maggio 1999, innanzi citata, nella quale è precisato che “ogni accordo risponde, pur nei limiti di legge, a principi e regole proprie funzionali alle esigenze del comparto medesimo ivi disciplinate; per cui ciascuno di essi va interpretato autonomamente, essendo per legge non necessario un livellamento paritetico ovvero una omogeneizzazione di tutti i contratti né per i successivi periodi temporali né per i diversi comparti cui essi afferiscono”).
Del resto, si osserva, in ordine al ricalcolo della pensione con l’inclusione nella base pensionabile anche degli aumenti contrattuali successivi al collocamento a riposo, che, ai sensi dell’articolo 43 del DPR 29 dicembre 1973, n. 1092, il trattamento economico di quiescenza è determinato sulla base pensionabile, “costituita dall’ultimo stipendio o dall’ultima paga o retribuzione e dagli assegni o indennità pensionabili integralmente percepiti” all’atto del collocamento a riposo: principio generale cui non potrebbe derogarsi se non sulla base di un’espressa formula normativa, che qui, a tutta evidenza, non ricorre.
3. In conclusione, il gravame dell’amministrazione si appalesa fondato e deve essere accolto, con conseguente annullamento dell’impugnata sentenza di prime cure.
Sussistono peraltro motivi, ratione materiae, per disporre la compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.

P. Q. M.

La Corte dei conti Sezione Prima Giurisdizionale Centrale definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza e deduzione reiette,
ACCOGLIE
l’appello e, per l’effetto, annulla l’impugnata sentenza 22.3.2006, n. 315/06 della Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la regione Emilia-Romagna.

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