Corte di Cassazione, sez. I, 2 ottobre 2012, n. 16770
Un’altra sentenza si aggiunge al consolidato indirizzo giurisprudenziale di legittimità che individua nell’istituto dell’amministrazione di sostegno uno strumento suscettibile di trovare applicazione in relazione ad un’ampia gamma di fruitori e a situazioni profondamente diverse, consentendo al giudice tutelare di graduare i limiti alla sfera negoziale del beneficiario, ex art. 405, co. 5 n. 3 e 4 c.c., in modo da evitare che questi possa essere esposto al rischio di compiere un’attività negoziale per sé pregiudizievole.
In linea con precedenti giurisprudenziali conformi, il Supremo Collegio con la sentenza in esame ha rigettato il ricorso proposto da un’anziana signora, titolare di un cospicuo patrimonio, nei cui confronti i cugini avevano chiesto e ottenuto dal giudice tutelare la nomina di un amministratore di sostegno, poiché, pur essendo lucida ed orientata, in essa venivano riscontrati limiti, cadute intellettive, confusioni ricorrenti. In particolare, nella relazione del CTU veniva evidenziato che la ricorrente aveva dichiarato di essere contitolare di conti con una vicina ma ciò non rispondeva al vero; era caduta in confusione, non mostrando di conoscere esattamente il rapporto di valore lira-Euro, riteneva di aver versato al difensore Euro 10.000, mentre risultavano corrisposti Euro 36.000.
La signora proponeva appello avverso il provvedimento di apertura dell’amministrazione di sostegno e non sentendo accolte le proprie ragioni ricorreva in Cassazione invocando il principio costituzionale del rispetto dei diritti inviolabili dell’uomo.
La Cassazione respinge il ricorso sulla base di tale motivazione: l’ampio potere affidato al giudice tutelare di predisporre limitazioni al compimento di atti giuridici da parte del beneficiario con un intervento flessibile e calibrato alle peculiarità del caso concreto risponde al principio ispiratore della Legge 9 gennaio 2004 n. 6, volto a salvaguardare l’autodeterminazione del soggetto e la tutela della sua dignità, nonché ad impedire interventi invasivi sulla sua vita e la sua attività.
Sono molteplici i casi in cui un soggetto, pur non avendo i requisiti per essere interdetto o inabilitato, necessita tuttavia di un aiuto in relazione alle più disparate esigenze, da quelle più importanti come l’assistenza nell’amministrazione del patrimonio a quelle quotidiane di cura della propria persona; per questi motivi il legislatore è intervenuto per innovare il precedente sistema normativo limitato alla sola previsione del beneficio dell’interdizione e dell’inabilitazione, stemperando dunque la rigidità che lo caratterizzava (è infatti noto che l’interdizione e l’inabilitazione comportano un regime di preclusione totalizzante per l’interessato in relazione al compimento dei cd. atti personalissimi, nel cui ambito sono tradizionalmente annoverati i negozi familiari (cfr. 119 – 120 c.c.), le disposizioni testamentarie (cfr. art. 591 c.c.), la donazione (cfr. art. 774 – 777 c.c.)).
Appartiene dunque al libero e ragionevole apprezzamento del giudice di merito calibrare l’intensità di tale misura tutelare in base alle specifiche esigenze dell’interessato, indicando nel decreto di nomina dell’amministratore di sostegno i singoli “atti che il beneficiario può compiere solo con l’assistenza dell’amministratore di sostegno”(art. 405, 5 co., n. 4, c.c.), come anche gli atti che lo stesso amministratore di sostegno “ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario” (art. 405, 5° co., n. 3, c.c.), “tenuto conto essenzialmente del tipo di attività che deve essere compiuta per conto del beneficiario, e considerate anche la gravità e la durata della malattia, ovvero la natura e la durata dell’impedimento, nonché tutte le altre circostanze caratterizzanti la fattispecie” (Cass. Sez. I civile sent. 12 giugno 2006 n. 13584).
Corte di Cassazione, sez. I, 2 ottobre 2012, n. 16770