Cassazione penale, sez. unite, 14 febbraio 2008, n. 7208
Falsa testimonianza del prossimo congiunto: è punibile il testimone che abbia deposto il falso pur essendo stato avvertito della facoltà di astenersi.
L’articolo 372 c.p. prevede e punisce il reato di falsa testimonianza ovvero la condotta di «chiunque, deponendo come testimone innanzi all’autorità giudiziaria, afferma il falso o nega il vero, ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti sui quali è interrogato».
Pur tuttavia, in forza della previsione di una serie di casi di non punibilità come indicati nell’art. 384 c.p., il reato di falsa testimonianza (così come altri reati) non è punibile se commesso in particolari circostanze ovvero se chi ha commesso il fatto vi sia stato costretto dalla necessità di salvare sé stesso o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore.
La questione sottoposta all’attenzione della S.C. riguarda l’applicabilità della suddetta causa di non punibilità nel caso di soggetti che, rinunciando di avvalersi della facoltà di non rispondere, abbiano deciso volontariamente di testimoniare il falso.
Su punto la S.C., a sezioni unite, ha pronunciato il seguente principio di diritto:
«la causa di esclusione della punibilità per il delitto di falsa testimonianza, prevista per chi ha commesso il fatto per essere stato costretto dalla necessità di salvare sé o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore, non opera nell’ipotesi in cui il testimone abbia deposto il falso pur essendo stato avvertito della facoltà di astenersi».
A fondamento della decisone la considerazione secondo la quale sia l’art. 384 c.p. che esclude la punibilità per falsa testimonianza nei casi anzidetti, sia l’art. 199 c.p.p., relativo alla facoltà di astensione dal rendere testimonianza in capo ai prossimi consiunti, hanno il medesimo fondamento logico-giuridico ovvero una causa giustificativa insita nell’istinto naturale «alla conservazione della propria libertà e del proprio onore (nemo tenetur se detegere) e nell’esigenza di tener conto, agli stessi fini, dei vincoli di solidarietà familiare».
Nel riconoscere prevalenti i richiamati motivi di ordine affettivo, il legislatore ha accordato la facoltà di astenersi dal deporre solo se, ed in quanto, l’interessato reputi di non dovere, o non potere, superare il conflitto tra il dovere di deporre e dire la verità, e il desiderio o la volontà di non danneggiare il prossimo congiunto.
Una volta che il prossimo congiunto abbia accettato di deporre, «egli assume la qualità di teste al pari di qualsiasi soggetto, con tutti gli obblighi che a tale qualità l’art. 198 c.p.p. ricollega, essendo cessate, per scelta dello stesso interessato […] le ragioni che giustificavano la tutela della sua particolare posizione. Tra detti obblighi, vi è, in primo luogo, quello di rispondere secondo verità alle domande che gli sono rivolte.
Così stando le cose, non è dato comprendere come la sua violazione non debba comportare, anche nel caso in esame, ineluttabilmente, l’applicazione della norma che punisce la falsa testimonianza. Affermare il contrario, e cioè escludere la punibilità del prossimo congiunto che volutamente non si è astenuto dal testimoniare darebbe luogo ad una figura di testimone con facoltà di mentire incompatibile con il sistema processuale».
Cassazione penale, sez. unite, 14 febbraio 2008, n. 7208