Corte Costituzionale, 16 febbraio 2006, n. 61
È inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 143-bis, 236, 237, secondo comma, 262, 299, terzo comma, del codice civile, e degli artt. 33 e 34 del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, censurati, in riferimento agli artt. 2, 3 e 29, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui prevedono che il figlio legittimo acquisti automaticamente il cognome del padre, anche quando vi sia in proposito una diversa volontà dei coniugi, legittimamente manifestata.
Infatti, l’intervento che si invoca con l’ordinanza di rimessione richiede una operazione manipolativa esorbitante dai poteri della Corte. Nonostante l’attenzione del rimettente a circoscrivere il petitum, viene comunque lasciata aperta una serie di opzioni, che vanno da quella di rimettere la scelta del cognome esclusivamente alla volontà dei coniugi, ovvero di consentire ai coniugi che abbiano raggiunto un accordo di derogare ad una regola pur sempre valida, a quella di richiedere che la scelta dei coniugi debba avvenire una sola volta, con effetto per tutti i figli, ovvero debba essere espressa all’atto della nascita di ciascuno.
Tenuto conto del vuoto di regole che determinerebbe una caducazione della disciplina denunciata, non è ipotizzabile neppure una pronuncia che, accogliendo la questione di costituzionalità, demandi ad un futuro intervento del legislatore la successiva regolamentazione organica della materia.
Nel richiamare i propri precedenti in materia, ossia le ord. n. 176 e n. 586 del 1988, la Corte ha rimarcato che l’attuale sistema di attribuzione del cognome è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’eguaglianza fra uomo e donna. (S.M.)
Corte Costituzionale, 16 febbraio 2006, n. 61