Cassazione penale, sez. II, 12 marzo 2012, n. 32859
«Ricorrono gli estremi della truffa contrattuale quando uno dei contraenti tace o dissimula circostanze che, ove conosciute, avrebbero indotto l’altro contraente ad astenersi dal concludere il contratto (Cass. 6^ 13.5.98 n. 5579, ud. 3.4.98, rv. 210613; Cass. 6^ 8.5.87 n. 5705, ud. 13.2.87, Miccoli).
Sussistono gli elementi dell’ingiusto profitto e del danno anche in assenza di squilibrio tra i valori delle controprestazioni, in quanto ingiusto profitto e danno sono costituiti dal vantaggio e dal pregiudizio rispettivamente derivanti alle parti dalla stipula del contratto (Cass. 2^ 14.7.83 n. 6557, ud. 13.12.82, Cava).
Sussiste il reato di truffa “contrattuale” anche se si sia pagato il giusto corrispettivo della controprestazione effettivamente fornitagli, realizzandosi l’illecito per il solo fatto che si sia addivenuti alla stipulazione di un contratto che, senza gli artifici e i raggiri posti in essere dall’agente, non sarebbe stato stipulato (Cass. 2^ 23.9.97 n. 12027, depositata il 23.12.97, rv. 210456).
Il fatto che in tema di truffa contrattuale, l’ingiusto profitto, con correlativo danno del soggetto passivo, consiste essenzialmente nel fatto costituito dalla stipulazione del contratto, indipendentemente o meno dallo squilibrio oggettivo delle rispettive prestazioni, comporta che la sussistenza dell’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità (art. 61 cod. pen., comma 1, n. 7) deve essere valutata con esclusivo riguardo al valore economico del contratto in sé, al momento della sua stipulazione, e non con riguardo all’entità del danno risarcibile, che può differire rispetto al valore, in ragione dell’incidenza di svariati fattori concomitanti o successivi tra cui la decisione del deceptus di agire o meno in sede civile per l’annullamento del contratto”. (cfr. Cass. n. 12027 del 1997 Rv. 210457, n. 14801 del 2003 Rv. 224759; n. 7193 del 2006 Rv. 233633; n. 47623 del 2008 Rv. 242262)».
Cassazione penale, sez. II, 12 marzo 2012, n. 32859