Corte Costituzionale, 12 luglio 2021, n. 150
Proprio l’indefettibilità dell’applicazione della pena detentiva, in tutte le ipotesi nelle quali non sussistano - o non possano essere considerate almeno equivalenti - circostanze attenuanti, rende la disposizione censurata incompatibile con il diritto a manifestare il proprio pensiero, riconosciuto tanto dall’art. 21 Cost., quanto dall’art. 10 CEDU.
L’indefettibilità dell’applicazione della pena detentiva è infatti in contrasto con l’esigenza, affermata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, di non dissuadere i giornalisti dall’esercizio della loro cruciale funzione di controllo dell’operato dei pubblici poteri. La reputazione individuale resta ugualmente preservata in base al combinato disposto del 2° e 3° comma dell’art. 595 cod. proc. pen.
Articolo 13 L. 47/1948
Pene per la diffamazione.
Nel caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, consistente nell’attribuzione di un fatto determinato, si applica la pena della reclusione da uno a sei anni e quella della multa non inferiore a lire 500.000.
Art. 595 cod. pen.
Diffamazione.
Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 1.032 euro.
Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a 2.065 euro.
Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a 516 euro.
Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate
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Corte Costituzionale, 12 luglio 2021, n. 150