Consiglio di Stato, Ad. Plenaria, 7 aprile 2008, n. 2
Il caso oggetto della sentenza epigrafata concerne una richiesta di riesame di una precedente istanza di rilascio del permesso di costruire rispetto alla quale il Comune di Roma ha disposto una misura soprassessoria, pure distintamente impugnata, correlata all’approvazione del NPRG. La Società interessata invoca a suo favore la disposizione contenuta nell’art. 12 del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 (TU dell’edilizia), stante il quale la misura di salvaguardia, in relazione al PRG nella specie in itinere, dovrebbe ritenersi scaduta per decorso del termine triennale previsto da detta norma. Alla perdurante inerzia dell’Amministrazione sull’avanzata richiesta di riesame fa seguito un ricorso avanti al TAR del Lazio, teso alla declaratoria di illegittimità del silenzio rifiuto.
I primi giudici, pronunciando ex art. 2 comma 5 della Legge 7 agosto 1990 n. 241, introdotto dall’art. 3 comma 6 bis del DL 14 marzo 2005 n. 35 convertito in Legge 14 maggio 2005 n. 80, respingono nel merito la richiesta della Società istante. Il TAR, in particolare, affronta la vicenda ritenendo inapplicabile, nella specie, il disposto di cui all’invocato art. 12 del TU dell’edilizia, sostanzialmente riprodotto dalla Legge n. 1902/1952, a fronte della potestà legislativa esercitata in materia dalla Regione Lazio con l’art. 5 della LR 6 luglio 1977 n. 24 la quale contiene un unico termine quinquennale di efficacia delle misure soprassessorie, diversamente dalla ridetta norma statale che prevede anche un termine massimo triennale di efficacia nell’ipotesi in cui il Piano adottato non venga trasmesso all’Organo cui è demandata l’approvazione dello strumento urbanistico nel termine di un anno dalla scadenza del termine di pubblicazione della delibera di adozione.
Il problema che dunque si pone, all’Adunanza Plenaria cui viene rimessa la vertenza in secondo grado, è quello di stabilire se la norma sulla durata delle misure di salvaguardia contenuta nel citato art. 12 comma 3 del DPR n. 380/01 sia, strutturalmente, una norma urbanistica di dettaglio, ipso facto cedevole rispetto a norme previgenti da essa difformi delle Regioni a Statuto ordinario o si delinei, piuttosto, come una norma di principio dotata di carattere prevalente sulla potestà legislativa regionale ed avente quindi, in parte qua, portata ultrattiva.
La soluzione data dal Consiglio di Stato al problema interpretativo emerso si inscrive nella logica del terzo comma dell’art. 117 Cost. secondo cui: sono materie di legislazione concorrente, tra le altre, quelle relative al “governo del territorio” e, “nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”. Per quanto di interesse, l’Adunanza Plenaria cataloga l’art. 12 del DPR 380/01 alla stregua di una norma di principio, espressiva dell’esigenza di riordino del sistema che permea l’intero Testo Unico il quale, in armonia con i criteri della trasparenza, efficacia, celerità ed economicità dell’azione amministrativa ed, in generale, con gli ordinari canoni di buona amministrazione e nell’ottica dei principi di semplificazione e di non aggravamento del procedimento, vale ad indurre le Amministrazioni locali a definire tempestivamente i procedimenti che conseguono all’adozione degli strumenti urbanistici generali. Il che al giusto fine di evitare le strumentalizzazioni che un non sollecito esercizio dell’azione amministrativa renderebbe possibili e di favorire una maggiore responsabilizzazione degli amministratori locali, anche in funzione dell’esigenza di tutelare il valore costituzionale della proprietà e delle connesse facoltà edificatorie. Il Collegio, fra l’altro, avvalora il principio interpretativo testé espresso con un argomento sistematico facente capo alla Legge n. 131/2003 la quale, a sua volta, all’art. 1 comma 2 recante la disciplina transitoria relativa alle normative regionali vigenti in materie appartenenti alla legislazione esclusiva statale, prevede l’ultrattività di dette normative regionali solo sino al sopravvenire delle norme statali in proposito. Giustappunto, osserva il Consiglio di Stato, anche la determinazione di principi fondamentali nelle materie di legislazione regionale concorrente risulta “riservata alla legislazione dello Stato”, pertanto, come nel caso precedente, può coerentemente concludersi nel senso della cedevolezza di tutte le norme regionali di fronte alle norme di principio che siano fissate dallo Stato nella medesima materia.
Per tutto quanto sopra, con riferimento al caso concreto, la sentenza epigrafata, entrando nel merito della controversa istanza di riesame, statuisce nel senso che non poteva ostare al rilascio del permesso di costruire alcuna misura di salvaguardia, dal momento che era decorso il termine triennale dall’adozione del NPRG e che lo stesso non è stato sottoposto, entro l’anno dalla conclusione della fase della relativa pubblicazione, ai competenti Organi regionali; con la conseguenza che, essendo scaduti i termini di cui all’art. 20 comma 9 del stesso DPR n. 380/2001 deve ritenersi ormai formato sulla domanda avanzata il silenzio rifiuto, con ogni conseguenza in ordine all’obbligo della PA di provvedere, sempre nell’esercizio delle ordinarie potestà amministrative.
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Consiglio di Stato, Ad. Plenaria, 7 aprile 2008, n. 2