Cassazione penale, sez. III, 2 maggio 2022, n. 18070
La rimessione in pristino non sempre coincide con la mera demolizione del manufatto abusivo, occorre infatti ripristinare i luoghi nel loro precedente aspetto anche ai fini dell’estinzione del reato
«La rimessione in pristino contemplata dal d. lgs. n. 42 del 2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) presuppone generalmente (anche se non necessariamente) un quid pluris rispetto alla mera demolizione delle opere abusive, occorrendo cioè, alla luce dell’impatto delle attività abusive, il compimento di condotte di tempestivo recupero dell’area sottoposta al vincolo paesaggistico, che siano in grado di far riacquistare alla stessa il precedente aspetto esteriore, con conseguente recupero del suo originario pregio estetico.
In tal senso, come già affermato da questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 37168 del 06/05/2014, Rv. 259943), la causa estintiva ex art. 181 comma 1 quinquies del d. lgs. n. 42 del 2004 ha un’evidente “funzione premiale”, essendo volta a incentivare le iniziative che, in contesti territoriali meritevoli di tutela, mirino a restituire all’area interessata dai lavori abusivi la sua connotazione originaria, condizione questa che, nel caso di specie, è stata ragionevolmente ritenuta non sussistente né possibile, in ragione del fatto che i manufatti in esame erano stati demoliti e dunque non erano più recuperabili nel loro preesistente valore storico».
Cassazione penale, sez. III, 2 maggio 2022, n. 18070